Esistono le buone cene, le ottime cene, infine – poche, pochissime – quelle assolutamente memorabili. La nostra, recente, daGorini a Bagno di Romagna, rientra nell’ultimo ristretto gruppo. Il passato è passato: il presente indica come Gianluca Gorini, classe 1983, stia trovando nel suo nuovo ristorante – il primo di proprietà, per lui – e nella realtà appartata e amichevole di Bagno di Romagna un equilibrio interiore, una serenità di vita che traspaiono poi nei/dai suoi piatti. Mai così complessi, eleganti, di una creatività spinta eppure mai eccessiva: come se la nuova situazione in cui si trova a lavorare dallo scorso settembre stesse facendo da potente detonatore a un talento che si sapeva già cristallino, ma che – lo scopriamo ora – non era ancora del tutto dispiegato.

Sulle pareti, opere di ceramisti faentini
Sono preparazioni connesse con la tradizione e il territorio, eppure chiaramente autoriali; perché, al di là degli ovvi riferimenti ai suoi maestri di sempre,
Paolo Lopriore su tutti (e dunque a prescindere dall’influenza che questi ultimi hanno esercitato nella crescita del
Gorini-pensiero in cucina), quello che appare chiaro è come il giovane chef stia strutturando sempre più un suo stile personale, originale, distintivo e unico. Di grandissima classe.

Carciofo arrosto, salsa di carciofo, capperi salati e tè Matcha
Prendiamo un nuovo piatto,
Carciofo arrosto, salsa di carciofo, capperi salati e tè Matcha: basta assaggiarlo per capire immediatamente come diventerà un prossimo classico contemporaneo, un
signature dish, insomma entrerà nel novero di quelle realizzazioni di tavola moderna destinate a rimanere nel tempo. E’ di bontà e finezza clamorosa: il carciofo è croccante esternamente (tanto da ricordarne la versione alla giudia, ma non è fritto, solo spadellato) e tenerissimo all’interno, quasi fondente, con la sua salsa che ne concentra il sapore, una sorta di “
assoluto di...” (potrebbe piacere molto a
Niko Romito), poi i capperi per note iodate e aromatiche e il tè Matcha per quell’amaro che diventa chiave di volta di tutto il boccone. Perfezione pura.
E se
Romito si ritroverebbe nel carciofo goriniano,
Massimo Bottura e
Riccardo Camanini hanno applaudito i
Passatelli affumicati in brodo di foglie di verza e semi di zucca (questi ultimi elementi tostati e macerati per due notti, delle quali una in riduzione di salsa di soia), sorta di
ramen romagnolo che crea discussione, perché ribalta un modello intoccabile: «Non lo servo più alla gente del posto – ci racconta lo chef – Per loro è una bestemmia. L’altro giorno avevo ospite una famiglia, tanti complimenti ma ai passatelli mi hanno detto: “Bocciatissimi”».
E in quanto abbiamo appena detto emergono due caratteristiche distintive del daGorini. Prima: è pellegrinaggio di tanti colleghi, quelli più sensibili alle novità e che se ne accorgono subito, quando la nebulosa inizia ad addensarsi, forma massa che s’accresce sempre più, fino a formare una nuova stella. Secondo: il ristorante dialoga coi dintorni, e non solo per le forniture («Sono in una zona che mi offre materie prime straordinarie»). «Abbiamo un buon 40% di clientela locale», il che fa del daGorini non il solito ufo d’alta cucina che plana su un territorio, rimanendone però corpo alieno, ma qualcosa di invece integrato in esso.
Sarà anche merito della sede, quella vecchia della
Locanda al Gambero Rosso di
Giuliana Saragoni, entrata da tempo nel patrimonio collettivo e identitario di Bagno di Romagna (peraltro, è stata splendidamente sistemata, mantenendo gli elementi strutturali d’antan e ma accostandoli e vivificandoli con tocchi di design contemporaneo. Così che s’addice perfettamente anche allo stile dello chef). Sarà perché i
Gorini sono anche umanamente squisiti, la moglie
Sara Silvani a presiedere la sala, il piccolo
Giulio a scorrazzare tra i tavoli, quando la situazione è tranquilla; la loro storia, insomma piace.
Sarà ancora per il bel clima che si è creato nel locale, anche per quanto detto sopra: la gente sorride, daGorini funziona non solo per la cucina ma anche per quell’altro addendo – insieme professionale e un poco imponderabile – che è l’accoglienza, «penso che la difficoltà di tanti grandi chef nell'approcciarsi a una clientela "normale" stia non tanto nella complessiotà dei piatti che propongono, quanto al disagio di entrare in sintonia con ambienti che appaiono troppo "distanti"».
Sarà, ancora, perché la cantina è affidata a
Matteo Albanesi, classe 1985, già al
Reale Casadonna: lui è di Cattolica e sa appassionare attraverso la propria proposta di abbinamento con etichette di un territorio a lungo negletto nel panorama vinicolo italiano. E sarà per un'onestissima politica dei prezzi, il degustazione breve a 40 euro, tutte le portate del menu tra i 10 e i 18 euro, «la prima volta il diffidente ordina alla carta, la seconda gli mando un piatto in assaggio, di quelli più complessi, la terza si affida. Il
superchef spaventa, io non voglio apparire tale»
Sarà per tutto questo e altro ancora. Il fatto è che Bagno di Romagna, nuova meta food, è entrata di slancio tra i luoghi della grande cucina italiana contemporanea (e c’è anche lo storico Paolo Teverini, del quale scriveremo a breve e dove peraltro il pesarese Gorini ha lavorato, dal 2003 al 2008, conoscendovi Sara, che è del posto, all'inizio di una carriera che lo avrebbe portato poi a Siena con Lopriore, dal 2008 al 2012, al Borgo San Felice con Bracali, 2012-2013, e infine a Le Giare, 2013-2016).
«La mia è stata prima di tutto una scelta di umanità, volevo stare bene, essere libero, con mia moglie e mio figlio. Credo di riuscire oggi, nei miei piatti, a esprimere la mia attuale serenità. Sono circondato da persone che mi vogliono bene, nonché da grandi prodotti. Sono davvero soddisfatto. E sono contento di una cosa che mi ha detto Riccardo Camanini: "Gianluca, questa cucina è solo tua"».