Non chiamateli figli nostrani della Nordic Cuisine. Certo esplorano i boschi e prodotti della selva, amano l’acqua dolce e i pesci che vi nuotano, conoscono uno a uno i nomi di germogli, fiori, erbe spontanee, non disdegnano acidità nel piatto e ingredienti fermentati… In generale raccontano una cucina lontana dal modello mediterraneo classico, “fredda”, che tiene certo conto di Redzepi (ma anche di Adrià, per dire. Un giovane chef di talento non può ignorare i maestri e quanto hanno insegnato), senza scimmiottature. Anzi, per meglio dire: riscoprendo una sorta di New Nordic (Italian) Cuisine, perché sono ragazzi che lavorano nel Settentrione; si rifanno alle tradizioni gastronomiche locali, a volte riscoprendole; recuperano antiche tecniche e prodotti in disuso, ne forniscono versioni contemporanee di alta cucina. (A ben vedere, è un’operazione simile a quella che stanno compiendo Floriano Pellegrino e Isabella Potì al Bros di Lecce, la declinano ovviamente sulla loro terra, la abbiamo chiamata infatti Nuova Cucina Mediterranea, leggi: Da Bros le prove tecniche di una Nuova Cucina Mediterranea).
Sono chef in grande crescita come – citiamo alla rinfusa e senza alcuna pretesa di completezza - Davide Caranchini (leggi: Promosso in ogni Materia), Alessandro Dal Degan (Il favoloso mondo di Dal Degan), Francesco Brutto (Lavorare è Brutto), Oliver Piras, a suo modo anche l’ultimo Christian Milone (Milone: me ne vado in campagna) e via elencando. In tale lista va annoverato anche un milanese classe 1983, meno noto dei suddetti, assai austero per non dire riservato, dal curriculum più breve e con minor esperienza, ma non per questo meno promettente: Federico Beretta.

Federico Beretta ed Elisa Forlanelli
E’ chef-patron dal 2014 del
Feel a Como, un’insegna acronimo che deriva dal nome suo proprio e da quello della compagna di vita e di lavoro
Elisa Forlanelli, sommelier che cura la cantina andando alla ricerca di chicche tra piccoli vignaioli senza essere schiava delle etichette
mainstream.
Beretta non ha avuto grandi maestri, semmai una (relativamente) lunga gavetta tra insegne milanesi e poi qualche esperienza svizzera «in locali i cui patron dopo un po’ iniziavano a tagliare sulla qualità della materia prima, e allora io me ne andavo». Per risolvere il problema, ha scelto di fare da solo, creando il suo
Feel nelle mura di un antico palazzo a due passi dal Duomo, in pieno centro cittadino; a curare il progetto la stessa
Forlanelli, laureata in Architettura.
Tre anni fa, al momento dell'esordio, Como e la sua provincia erano ancora considerate luoghi assai difficili per l’alta cucina (oggi le cose sono cambiate, basta pensare a tanti nuovi ristoranti che ne arricchiscono la scena gourmet: c’è un big come Paolo Lopriore a Il Portico ma anche tanti giovani, Davide Maci al The Market Place, Sara Preceruti all’Acquada, il citato Caranchini al Materia, alla Locanda del Notaio il finalista italiano alla prossima S.Pellegrino Young Chef, Edoardo Fumagalli…). Sia come sia, all’inizio Beretta è partito “schiscio”, come dicono i lumbard: profilo basso, «avevamo in carta la cotoletta alla milanese, i bigoli», ricorda ora. Aveva scelto Como perché «qui c’è tutto per lavorare bene, prodotti straordinari» e poi perché alla ricerca di un posto tranquillo, non ama il caos delle metropoli, a partire dalla frenesia della sua Milano – lui peraltro non è meneghino doc, mamma Mariangela è nata a Oderzo. Elisa, poi, è di Pordenone. Insomma, Profondo Nord.

La svolta stilistica in cucina è giunta circa un anno e mezzo fa: recentissima. In così poco tempo, a noi gli esiti sembrano già notevoli.
Beretta racconta così la sua
feel-osophy: «Guardiamo con attenzione alla scelta della materia prima, locale, di stagione, proveniente da piccoli produttori, allevatori e pescatori rigorosamente d'acqua dolce. Il territorio - lariano e alpino in più larga scala - ci offre prodotti di alta montagna e di lago, di bosco e torrente, ma anche di richiamo mediterraneo grazie ad alcuni microclimi delle sponde dei laghi: una offerta incredibile ed affascinante, a cui non potevamo resistere».
A scorrere il menu, ci si accorge al primo impatto della cura e della passione - “Federico Beretta è forse il ristoratore con il maggior carico di entusiasmo della provincia di Como” ha scritto il nostro Raffaele Foglia, comasco a sua volta, sulla Guida Identità Golose 2017 - con le quali i due lavorano. Nella carta ogni piatto viene raccontato specificando prodotti (di nicchia) utilizzati e loro (perlopiù piccoli) fornitori; persino i vini sono spiegati uno a uno in schede apposite.
Tutte cose interessanti, ma che sarebbero alla fine di complemento se la cucina, stringi stringi, non risultasse convincente. Invece lo è, eccome: i piatti sono curati, anche esteticamente; c’è sempre un’idea di fondo e una personalità all’esame del palato, mai invece un asservimento alla tecnica fine a sé stessa.
Beretta cura il giusto equilibrio tra le temperature; tra le texture; persino, nel percorso di degustazione, tra proposte più immediate, “di gusto”, ma che non rinunciano comunque alla complessità (
Storione tonné, olio evo, caviale, capperi e lattuga; Spaghettoni Mancini all'aglio nero e lumache, perle di sottobosco, piantaggine) e altre di grande raffinatezza (
Salmerino affumicato menta & timo, lamponi, rafano e gel di fiori di sambuco), a volte persino border line (
Fungo porcino, senape, caffè monoarabica Etiopia).
Si esce davvero soddisfatti, anche per il conto ragionevolissimo: degustazione di 4 portate “Ghe pensi mi” a 50/60 euro, il “Ghe pensi mi gourmet” ne richiede 90 con 8 portate e 3 piccole sorprese.