03-12-2013
Iniziamo oggi, con il pensiero di Cristina Bowerman (nella foto di italianmasterchefs.com) del ristorante Glass di Roma, 1 stella Michelin, una serie di riflessioni in replica al dibattito, avviato da Paolo Marchi in quest'articolo, sul ruolo della donna nella ristorazione italiana
Ciak: anni Settanta, provincia italiana, famiglia borghese. Immagina un ragazzino che cresce bene senza particolari problemi, studia 5 lingue, poi si laurea in legge e si trasferisce da solo dall'altra parte del mondo. Lavora sodo e si fa un nome in un mondo diverso. Decide di cambiare carriera e si laurea in arti culinarie, ritorna in Italia e ha di nuovo successo in una carriera diversa dalla prima.
Lavora sodo ogni giorno, amando il suo lavoro e continuando a studiare. Viene riconosciuto dai suoi colleghi e dalla sua clientela come una persona valida e umile. «Bella storia, credibile, fanno bene a farci un film. Un bel ritratto di un bravo cuoco». «Veramente è una cuoca». «Una cuoca? Ah no, e come farebbe con la famiglia e i figli?». Scusate l'autoreferenzialità ma questo è quello che accade (quasi) sempre. Prima domanda: «Come concilia il suo ruolo di mamma?». È un fatto di cultura, l'uomo lavora e la sua carriera parla di sè, la donna è l'angelo del focolare e la sua carriera ostacola la sua funzione.
Poche le donne anche nel presepe degli chef di San Gregoro Armeno (nella foto, Nadia Santini con Aimo Moroni)
Non è una lamentela, non batto i piedi piangendo su me stessa. Chi mi conosce, sa benissimo che io non mi lamento mai della situazione, anche perché non ho veramente nulla di cui lamentarmi, e in ogni caso lamentarsi non serve a nulla. Spesso mi domando il perché e trascurando per una volta le ovvie motivazioni numeriche, culturali (che tra l'altro sbarrano la strada a molte ragazze che non vengono ammesse nelle cucine importanti in quanto donne), per fare un'analisi spicciola e basica, direi che anche una componente interessante da valutare è la sexual aurea che avvolge gli chef maschili.
E’ notorio ed evidente: basta guardare le foto di Cracco nudo o sentir parlare di Scabin (la loro bravura è fuori discussione, per cui non hanno giustamente motivo di preoccuparsi se qualcuno li considera anche belli e affascinanti) per capire che il testosterone ha a che fare con la notorietà. Infatti, a riprova di questo, chef non bravi tanto quanto i soprammenzionati, magari senza neanche le beghe di un ristorante, sono altrettanto famosi in grado di attrarre più pubblico di quanto una tristellata possa fare.
Viviana Varese e Marianna Vitale, campane con stella
La Michelin è una guida giudicata da molti (me compresa) seria. Non ho liste di ispettori, non ho soffiate e quelle rarissime volte (due) in cui un ispettore si è presentato dopo la cena, sono sempre rimasta di stucco domandandomi come si fa a riconoscerne uno. Io devo molto a molti e la Michelin è una di questi. La Rossa è stata più lungimirante nei miei confronti, più di quanto non lo siano state altre guide italiane.
Per una persona con il mio background culturale e formativo, essere "letta" da una clientela internazionale è stato ed è fondamentale. Difatti, io non finirò mai di benedirla per il successo ricevuto, non solo di fama ma di clientela, che mi permette oggi di fare quello che mi piace nella migliore maniera possibile. E anche sull'aspetto che stiamo ora trattando, il rapporto numerico tra uomini e donne, ritengo che la Michelin abbia la giusta visione.
Julia Child, cuoca di spicco dell'America del Novecento
Uomini che abbandonano per un attimo mestoli e padelle per raccontare le proprie esperienze e punti di vista
di
Cuoca laureata in Legge e in Arti Culinarie, parla tre lingue e continua a studiare e fare stage. Oltre 15 anni all’estero, nel 2006 apre Glass Hostaria. È primo presidente dell'associazione Ambasciatori del Gusto