11-03-2016
Don Luigi Ciotti con Matteo e Salvatore Aloe. Il terzetto anima la nuova sede di Berberè a Torino, nello stabile che ospita anche il Gruppo Abele
Sabato 27 febbraio Berberè ha aperto il suo quarto locale a Torino. Come ci piace fare, non è un locale uguale agli altri, non è una situazione uguale alle altre vissute in passato. C’è solo una cosa che li accomuna tutti: la voglia di portate avanti la nostra idea di pizza e tutto il fantastico mondo che ci sta attorno. L’idea da cui siamo partiti era semplice: prendere la pizza in quanto cibo semplice, dalla storia incredibile, facile da comunicare, trasversale nel mondo, e renderla un prodotto vero. Per realizzarlo, abbiamo ripercorso la storia dell’umanità – perché la lievitazione e la coltivazione dei cereali hanno una storia millenaria – e abbiamo scoperto che era possibile creare un prodotto autentico e genuino. Partendo dall’impasto, dalla scelta delle farine e da tutto quello che viene messo sopra, il condimento. Questa è stata la nostra piccola rivoluzione.
E così che, come abbiamo sempre fatto da quel lontanissimo 8 dicembre 2010, Massimo Giuliana, il nostro chef di pizza, e Ylenia Esposto, responsabile area manager, si stanno impegnando a trasferire i nostri principi di produzione e servizio al nuovo team torinese, che in cucina sarà seguito da Gazy Khalequzzaman, giovane e volenteroso pizzaiolo che si è fatto le ossa per quasi 3 anni nel nostro ristorante di via Petroni a Bologna e che a Torino porterà la sua esperienza, il suo entusiasmo e le conoscenze apprese, rispondendo con la qualità ai commenti razzisti di chi pensa (ci è capitato di leggere anche questo su TripAdvisor) che un bravo pizzaiolo debba essere "italiano", un concetto che oggi nel 2016 suona da Medioevo. Il miglior pizzaiolo del 9° Campionato Internazionale del Pizzaiuolo Napoli-Trofeo Caputo è un giapponese (Akinari "Pasquale" Makishima), così come il nostro talentuoso Mia Faysal che nel 2014 si è classificato terzo nel concorso Pizza Chef Emergente: credo che sia giusto premiare chi porta avanti la tradizione al suo meglio e la preserva, al di là del suo colore di pelle o provenienza.
Berberè a Torino
Con mio fratello Salvatore, abbiamo dato vita a un progetto caratterizzato da punti fermi, fermissimi: la pizza deve essere sempre buonissima, servita gentilmente, in locali bellissimi. Tutto il resto può avere deroghe. Per questo motivo abbiamo deciso di non fare franchising con la nostra insegna, ma di seguire sempre personalmente ogni locale e la formazione del suo personale, così che le regole fissate rimangano ferme a Castel Maggiore, a Bologna, a Firenze, a Torino e speriamo presto a Milano e a Venezia.
Il mestiere si apprende nel tempo e con la volontà. Vogliamo trasferire la sensibilità riguardo alle ricette e ai prodotti che usiamo a chi dovrà poi spiegarli a chi è seduto al tavolo. È la parte più impegnativa per noi ma, come spesso accade, è quella che dà maggiori soddisfazioni perché diffondiamo a giovani ragazze e ragazzi conoscenza, rispetto e amore per tutto il mondo che gira attorno alla pizza: coltivatori, allevatori, pizzaioli, camerieri, fruitori. Questo è ciò che intendiamo quando parliamo di artigianalità. È proprio questo che sotto sotto ci carica ad andare avanti. È questo che don Ciotti fa da decenni, da 50 anni. Ci ha raccontato che tanti anni fa aveva aperto la pizzeria del Gruppo Abele, si chiamava Il punto della situazione. Oggi Berberè si è avvicinato al Gruppo Abele proprio perché ha fatto il punto della situazione. Non per solidarietà, ma per responsabilità imprenditoriale.
Uomini che abbandonano per un attimo mestoli e padelle per raccontare le proprie esperienze e punti di vista
di
Classe 1986, laureato in Economia e marketing a Bologna, è cuoco e manager dei locali aperti assieme al fratello Salvatore: Berberè e Radio Alice Londra. Appena può, cerca di fare stage e esperienze all'estero, preferendo i paesi nordici