07-05-2020
Lorenzo Dal Bo e Olimpia Ventura Montecamozzo nella mensa del Policlinico S.Orsola Malpighi di Bologna
«Sono tempi duri questi», dicono. Eppure siamo in casa, a condurre una vita tranquilla: la fretta e lo stress non sono più all'ordine del giorno. A me che sono cuoco, tutto questo pare un controsenso. Mi chiamo Lorenzo e quando è iniziata la pandemia lavoravo a Sölden, in Austria, al ristorante IceQ. Una location da film di 007, a 3mila metri di quota sul livello del mare. All'improvviso, il colpo di scena: lockdown, stagione sciistica finita. Tutto chiuso, tutti a casa. Da un giorno all'altro mi ritrovo disoccupato e mi rendo conto che è meglio darsi una mossa se non voglio rimanere bloccato tra le montagne. Come James Bond, organizzo al volo una macchina a noleggio last minute, metto insieme il bagaglio delle ultime esperienze e senza guardarmi indietro mi metto in viaggio per l’Italia. All'inizio, un po' come tutti, mi godo la quarantena. È bellissimo prendere il sole sul terrazzo, ascoltare la musica e avere il tempo di aprire quei libri mai letti. Ma il pensiero continua a tornare inevitabilmente al mondo reale. Telefono a un amico dottore per capire come vanno le cose in ospedale. Casualmente scopro che il centro agroalimentare di Bologna (Caab) sta facendo delle donazioni alla cucina del Policlinico S.Orsola Malpighi. Di questi tempi, noi cuochi siamo un po’ sfortunati: fino a ieri stavamo vivendo il pieno boom della gastronomia globale e oggi ci ritroviamo disoccupati. Ma dobbiamo rimanere lucidi e pensare al domani. Faccio una riflessione: potrei investire un po' del mio tempo per aiutare chi è ancora più sfortunato di me. Chiamo in ospedale. In direzione sono felici di avere una mano perché il personale è in diminuzione: tanti hanno paura di venire al lavoro. Vinta la burocrazia, organizzo il rientro a Bologna e mi stabilisco in una camera d'albergo offerta dalla Fondazione Sant’Orsola a volontari e medici. Per chi non lo conoscesse, il Policlinico S.Orsola Malpighi è l'ospedale più grande della città: si articola su 2 km di diametro, vi transitano circa 20mila persone al giorno e dà da mangiare a circa 5mila persone tra degenti e personale ospedaliero. Da febbraio, è un punto di riferimento nella lotta al Covid-19. La sua particolarità è quella di avere lottato per mantenere una gestione autonoma della cucina affinché il cibo diventi potente alleato del percorso terapeutico. Proprio per questo obiettivo (e molti altri) è nato un progetto dedicato: si chiama Crunch, acronimo di Cucina e ristorazione uniti nella nutrizione clinica h-ospedaliera.
A sinistra, Costolette di radicchio al forno glassate all'Aceto Balsamico
Di necessità, virtù
Lorenzo tra Virgilio Martinez e Bobo Cerea, Identità New York 2017
Il team del Policlinico. «Lasciatemi ringraziare», scrive Lorenzo, «Giulia Leone, Giacomo Merlani, Martina Baratto, Virginia Valle. Per il progetto Crunch: Ferdinando Antonino Giannone, Olimpia Ventura Montecamozzo. In cucina Alessandro Guerzoni, Davide Sarti e la carica dei 101 cuochi che da anni sfama migliaia di persone. Per il team dei servizi di supporto alla persona, Patrizia Collina e Matteo Falletta, Alessandra Fiorini, Francesca Martino, Marco Storchi»
Uomini che abbandonano per un attimo mestoli e padelle per raccontare le proprie esperienze e punti di vista
di
bolognese, classe 1993, dopo gli studi all'Alma di Colorno decide di partire per le Isole Faroe, in stage al ristorante Koks di Tórshavn. Dopo esperienze al Noma di Copenahagen, Da Vittorio a Brusaporto e Nuova Zelanda parte per Lima, Perù. Lavora per 2 anni al Central di Virgilio Martinez, diventando sous chef. Dal 2019, è sous chef del ristorante IceQ a Sölden, in Austria
Virgilio Martinez questo pomeriggio sul palco degli East End Studios di Milano, sede della quinta edizione della San Pellegrino Young Chef
Gioiosi ieri sera a Valencia, la scienziata Malena Martinez e i cuochi Pia Leon e Virgilio Martinez, le 3 colonne del progetto Central, miglior ristorante del mondo per la World's 50Best 2023