10-11-2022

Alex Atala: «Gli influencer non capiscono nulla, l’informazione torni a prevalere»

Il brasiliano, atteso protagonista a Identità 2023: «Il giornalismo ha meno voce che in passato. E così rimangono nell’ombra contadini e cuochi di valore». E annuncia: «Mi ritiro dalla cucina»

Alex Atala, 54 anni, sul palco di MesaSP, in Brasi

Alex Atala, 54 anni, sul palco di MesaSP, in Brasile. Lo chef e patron del ristorante DOM di San Paolo tornerà il 28 gennaio a lezione a Milano 10 anni dopo l'ultima volta e la sera prima cucinerà con Mauricio Zillo a Identità Golose Milano

Ricordiamo Alex Atala piombare al congresso di Identità Golose 2012, elettrizzato da un raro magnetismo. Tatuato e palestrato, era il cuoco rampante di un paese impaziente di lampeggiare sui radar della gastronomia del nuovo millennio. Nel giorno della sua lezione, prima di parlare di tecniche e bontà dell’Amazzonia, l’ex dj paulista di origini palestinesi si avventurò in dichiarazioni politiche: «Caro Lula», tuonò rivolto al presidente del Brasile di allora (che poi è anche il neo-presidente di oggi) «estradate subito in Italia il brigatista Cesare Battisti», regalando strilli inattesi ai nostri quotidiani.

Un decennio dopo, Atala si esprime con la saggezza del maestro. Sa di aver segnato la vita di tanti giovani cuochi. Non solo quelli di San Paolo, ma di un Paese e di un continente intero. Era sufficiente osservare l’adorazione dell’audience di Mesa San Paolo nell’intervento che, settimana scorsa, ha chiuso l’ultima edizione del congresso più antico del Sudamerica. «Dopo 35 anni di mestiere», ha dichiarato il cuoco all’improvviso, «mi ritiro dalla cucina del mio ristorante. Che può serenamente andare avanti senza di me. Ed è anche l’ultima volta che salgo su questo palco». Chissà se sarà anche l’ultima a Identità Golose, palco milanese che tornerà a ricalcare per la seconda volta sabato 28 gennaio 2023. Abbiamo scambiato due chiacchiere nel backstage del meeting paulista e ha concesso dichiarazioni non banali.

Nel 2012 ci parlò di jabuticaba, pirarucù e priprioca, simboli allora sconosciuti dal paese più biodiverso al mondo. Oggi che quel patrimonio è acquisito, quale sfida attende la cucina brasiliana?
Una grande sfida sociale. Ora che i cuochi hanno uno status, occorre riconoscere il lavoro dei contadini. Che va sottolineato in tutta la sua dignità. Voi in Italia avete dettato l’esempio: dietro a un grande prodotto c’è sempre una persona che fatica. Noi in Brasile non siamo così bravi: iper-processiamo prodotti per 200 milioni di abitanti ma poi non diamo valore a chi lavora la nostra terra. La sfida dei prossimi anni 10/15 anni è raccontare tutti gli anelli della filiera alimentare. E i primi sono quelli più importanti.

Congresso di Identità Golose, marzo 2012, Alex Atala con Andrea Berton: furono autori di una cena memorabile a 4 mani al Trussardi alla Scala

Congresso di Identità Golose, marzo 2012, Alex Atala con Andrea Berton: furono autori di una cena memorabile a 4 mani al Trussardi alla Scala

Proprio qui a Mesa, Carlo Petrini sottolineava con asprezza le crepe del sistema alimentare globale e chiedeva di pagare il giusto i contadini.
Ha perfettamente ragione: i contadini non sono riconosciuti e in Brasile ancora meno che altrove. Voi italiani non vi fate problemi a pagare di più per i prodotti buoni; qui no: la gente si arrabbia se qualcuno spende tanto per un formaggio. E poi magari compra i funghi cileni, che fanno schifo. Non è solo un problema politico, ma culturale.

La sfida si vince anche con l’informazione, spiegava sempre Petrini. Com’è cambiata la comunicazione del cibo negli ultimi anni?
È cambiata in peggio perché 10-15 anni fa il giornalismo contava più di oggi. Oggi gli influencer hanno molto più peso di un giornalista del Corriere della Sera o di Folha de S.Paulo. E questo è il problema più grande. Io vorrei confrontarmi con esperti, studiosi, giornalisti; non con influencer. Hanno voce solo loro ma non capiscono nulla. L’informazione alimentare deve riprendersi gli spazi che aveva. E parlare non solo di gastronomia ma di tutto quello che viene prima.

Abbiamo trovato la scena gastronomica di San Paolo incontenibile.
Ci sono grandi cuochi che trascinano la città. Come Rodrigo Oliveira di Mocotò. Sta facendo cose egregie lontano da tutto, nella periferia che noi chiamiamo quebrado. È un ristorante che mi rende orgoglioso della mia città e merita tutte le attenzioni che riceve. Ma in Brasile ci sono anche cuochi che meriterebbero di più, come Manu Buffara, che lavora a Curitiba. Non ha mai lavorato con me ma abbiamo un bellissimo rapporto. Per me è la migliore cuoca del Brasile ma non la trovate nemmeno qui, nel cartellone di Mesa San Paolo. Sono cose che mi stupiscono. Perché succede? Perché da lei gli influencer non vanno. Dieci anni fa avrebbe avuto tutte le attenzioni che merita.

Atala coi suoi fan a San Paolo

Atala coi suoi fan a San Paolo

Cosa prova a tornare in Italia a gennaio?
Sono appena stato ad Ein Prosit: mi sono commosso a cena dagli Alajmo. Ma anche da Fredi, un posto semplice ma splendido a Udine. Io adoro il vostro paese: mi sono anche sposato a Milano, nel 1992. Ho imparato tantissimo da voi. Ero un giovane brasiliano che faceva cucina francese e voleva lavorare nel fine dining o nei posti importanti. Arrivato da voi, ho capito l’importanza della cucina semplice, degli spaghetti al pomodoro e basilico, buonissimi sia al ristorante sia a casa degli amici. Non sarà magari il migliore piatto del mondo ma è un inno alla semplicità. Un capolavoro che ha cambiato il mio modo di cucinare.


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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