Chi non c’è mai stato prima, è portato a pensare a Ischia per cine-stereotipi. Per esempio, nel Talento di mister Ripley c’è un Matt Damon piuttosto nerd, coi capelli leccati dalla dolce vita passata tra sdraio in spiaggia, feste scatenate e vespetta per le strade (poi, su barchetta al largo, d’improvviso apre il cranio di Jude Law a mazzate coi remi, ma tant'è). Forse avrete visto anche Bud Spencer che, nella sfortunata fiction tv I Delitti del Cuoco è un ex commissario che, stufo dei crimini, decide di aprire un ristorante commettendone così un altro che andrebbe sbattuto in cella lui e lontana la chiave. Perché c’è soprattutto il luogo comune "gastro", quello dei conigli all’ischitana, delle paranze, dei limoncelli e del butta-dentro sull’uscio che intona a russi e americani tu vo’ fa l’americano, che a un italiano non-campano non viene tanta voglia di prendere il traghetto da Napoli-Beverello per provare la cucina locale. In posti che magari ti spellano vivo tra Casamicciola, Lacco Ameno e Forio, comuni dell’isola che potrebbero (finalmente) ritrovarsi sotto l'unica amministrazione di Ischia dopo il referendum del 5-6 giugno.

Pasquale Palamaro, 33 anni
Per ora, a metter d’accordo i palati dei gastro-addicted filoischitani pensa principalmente
Nino Di Costanzo, cuoco abbondantemente stellato al
Mosaico del
Terme Manzi, sulla cui mano felice torneremo. Dietro di lui iniziano a osare ragazzi di buona volontà come
Giuseppe D’Abundo dello
Chandelier del
Mezzatorre. Ma ci sono talenti già sbocciati come
Andrea Migliaccio, che però se l’è filata tempo fa a Capri, ereditando tra l'altro da poco il timone dell’
Olivo di
Oliver Glowig, a sua volta filatosela
a Roma. Uno che è ben felice di rimanere a Ischia è
Pasquale Palamaro, un ragazzo di cui si parla ancora poco. Trentatre anni, è l’executive dell’
Indaco, insegna gourmet del
Regina Isabella, un celebre resort che se ora stai leggendo con la città rovente fuori dalla finestra, non cliccare su
questo link. Sì, russi e americani à la
Ripley vi accorrerebbero per il setting marittimo spettacolare. Ma il bello è che il cuoco non è che se ne sta lì a pensare, come farebbero tanti al suo posto: «beh, dai, con questa piscina naturale davanti, chiusa dalla parete tufacea, alla gente posso anche rifilare della comune sbobba cucinata corretta». Siamo matti? Imbeccato nello spirito audace da
Antonino Cannavacciuolo o
Anthony Genovese, due che l’ebbero in stage, con l’aiuto di un’attivissima cellula locale di
Slow Food, il ragazzo è un continuo andare a caccia di materie locali dimenticate o mai rese commestibili. Che un conto è farlo perlustrando 5 nazioni (come ha fatto il grande
Redzepi agli albori della
New Nordic Cuisine) oppure le vastità amazzoniche (come
Atala sulla sua barchetta nella jungla), un altro è farlo su un’isola di soli 60mila abitanti, con una storia tracciabile fino al Neolitico.
Appuntiamoci allora le note palamariane che vergano la Nuova cucina ischitana. Il piatto in apertura è
Bavette Gerardo di Nola alla murena contadina, limoni di Procida e radici di spinacio in bianco e cela una preparazione più complicata del nome perché, intanto, a spinare la murena ci vuole la pazienza di un condannato a spaccare pietre. Poi, il limone di Procida non è lo sfusato amalfitano perché quello dell’isola accanto, spiega il cuoco, «ha un albedo (il bianco del limone,
ndr) molto interessante, che lo fa sembrare un cedro».
PP lo gratta a crudo. E la crema di radici di spinaci? «Volevo qualcosa di terroso, e non volevo accontentarmi della rapa». Ovvio, per uno che sfugge all'ovvio. Le radici sono cotte nel latte. E l’insieme della pietanza è gustosissimo.

Perla di cioccolato bianco con ananas liquida e granita di finocchio e mela verde, pre-dessert dell'Indaco
Alla voce primi piatti, occhio appena dopo ai
Ravioli di farina di ghiande di quercia, ghiande raccolte a Casamicciola alta e macinate in prima persona. L’idea gli è venuta riflettendo sul
jamon iberico, pregiato soprattutto perché il maiale spagnolo si nutre di ghiande fin da poppante. Il problema in questo caso è che la ghianda ha pochi amidi e quindi la legatura del raviolo fatto con la sua farina risulta complessa. Ma il ragazzo ha trovato su un libro di
Bocchia il legante giusto (il nome ci sfugge, confessiamo). E il gusto? Forse eccede in personalità perché i ravioli al momento sono in carta con ragù napoletano, melanzane e ricotta di scorza nera di Rotolo Gregorio. Sapori forti che sul palato cadrebbero forse meglio con un condimento più leggero, che non copra il ghianda
taste. Ma succederà. Dopo il pescato del giorno (una pezzogna cotta sotto sabbia e acqua termale, con patate alla carbonella), credete infine che il dolce arrivi perché proprio non se ne può fare a meno? Non è, perché il Migliaccio di grano e cannella, semifreddo alle noci pecan e fragole al miele di castagno emoziona vieppiù per ricerca filologica, tecnica e sovrapposizione fortunata di strutture e gusti dissimili. Del resto «io amo tantissimo i dolci: alla prossima chiusura del
Regina Isabella voglio andare in stage da
Pasquale Marigliano, pasticcere a
San Gennarello di Ottaviano, sulle pendici vesuviane. Mi hanno detto che fa il panettone meglio di tanti lombardi». Accorriamo. Prima di lasciare l’isola, però, tutti al
Negombo o ai
Bagni Poseidon. Per passare dai bollori creativi a quelli termali.