05-05-2017

La svolta di Tondo a Parigi

Come il giovane sardo ha rilevato un'insegna simbolo della bistronomie ed elevato l'ambizione della sua cucina

L'ingresso del ristorante Tondo in rue de Cott

L'ingresso del ristorante Tondo in rue de Cotte 29 a Parigi. Il cuoco sardo Simone Tondo l'ha aperto l'11 giugno 2016, nella stessa sede della Gazzetta di Petter Nilsson, precusore della bistronomie parigina con Iñaki Aizpitarte

Parigi, anno 2006. A poche settimane di distanza aprono Chateubriand all’undicesimo arrondissment e La Gazzetta al dodicesimo. Iñaki Aizpitarte e Petter Nilsson, un cuoco basco e uno svedese, inaugurano la stagione della bistronomie, un ciclone di freschezza che s’abbatte sulla capitale mondiale dell’alta cucina e delle tavole iper-super-blasonate.

Sono locali che semplificano al massimo il servizio, azzerano ogni rituale pomposo e cancellano l’allure che distanzia lo chef dal cliente. A tavola arrivano piatti privi di artificio, costruzioni piuttosto elementari con combinazioni osate e in qualche caso geniali. C’è un largo ricorso alle verdure di stagione e al menu degustazione, uno stratagemma che, eliminando il menu alla carta, consente di svuotare i frigo, tenere i prezzi bassi e dare quindi forma a una clientela giovane, curiosa e fidelizzata. Una generazione che alimenterà il fuoco di questa piccola rivoluzione.

A breve (o media) distanza arrivano i primi epigoni di Iñaki e Petter: Sven Chartier (Saturne), Bertrand Grebaut (Septime), Grégory Marchand (Frenchie), l’americano Daniel Rose (Spring), Stéphane Jégo (L’Ami Jeane), gli italiani Giovanni Passerini (Rino) prima e Simone Tondo (Roseval) dopo.

Una foto del 2011 rubata dal Guardian con i leader della bistronomie parigina: da sinistra a destra, Gregory Marchand, Iñaki Aizpitarte, Daniel Rose, Giovanni Passerini e Stéphane Jégo. (copyright Denis Rouvre/The Guardian)

Una foto del 2011 rubata dal Guardian con i leader della bistronomie parigina: da sinistra a destra, Gregory Marchand, Iñaki Aizpitarte, Daniel Rose, Giovanni Passerini e Stéphane Jégo. (copyright Denis Rouvre/The Guardian)

Un decennio dopo non possiamo dire che il modello della bistronomie sia in crisi perché Parigi rimane sempre la città in cui, più che altrove nel mondo, è possibile mangiare bene senza spendere fortune. Ma l’anarchia frizzante e fertile delle origini è un po’ evaporata, frammentata in tanti ristoranti che hanno intepretato in modo un po’ troppo libero e furbo lo spartito delle origini (non è il caso di A Mére, Le Servan o Virtus, i più promettenti della nuova nidiata).

Nel frattempo Aizpitarte si è un po’ perso (il suo ristorante, 11mo nella 50Best 2011, oggi è 93mo), Nilsson è tornato a Stoccolma (Spritmuseum), Rose a New York (Le Coucou) e Chartier, Grebaut e Marchand hanno assunto un piglio più imprenditoriale, con l’apertura di seconde o anche terze insegne (Clown Bar o Clamato sono quelle più di successo).

Quanto alla costola italiana del movimento, della splendida conversione in neo-osteria di Giovanni Passerini si è già detto. Qui parliamo della nuova avventura del suo ex allievo Simone Tondo, il cuoco che fece parlare abbondantemente di sé nel triennio (2012-2015) del bistronomico Roseval. L’11 giugno 2016, dopo una lunga ricerca, il 29enne sardo ha rilevato proprio la Gazzetta di Petter Nilsson in rue de Cotte e le ha dato il suo nome, Tondo. Una scelta che è un riconoscimento implicito di filiazione ma anche un modo per staccare il cordone ombelicale della bistronomie e cercare nuove sfide.

«Nel 2008», rievoca con noi Tondo, «ero in stage da Cracco a Milano. Lessi un articolo della Gazzetta sul Gambero Rosso e decisi che volevo andare a imparare lì, da questo cuoco gentile che fondeva nord e mediterraneo con eleganza e senza fronzoli. Lo ammiravo già dai tempi del Les Trois Salon di Uzès (Paolo Marchi ne scrisse nel 2005, ndr). Ricordo ancora un dessert che facevamo al Gazzetta: Gelato al latte, cetriolo e pelle di pesce fritta. Ma anche dei Tortelli con brodo di granchio e maggiorana. Sapeva fare tutto. Macinava coperti. E la clientela era entusiasta». Si noti bene: a pranzo si pagava 16 euro e mezzo e la sera c’erano due menu degustazione da appena 38 e 49 euro. Un affronto per i templi pluristellati dell’epoca.

Simone Tondo con la direttrice di sala Stephanie Crockford

Simone Tondo con la direttrice di sala Stephanie Crockford

«Quando un anno fa mi hanno proposto di rilevare l’ex Gazzetta non ho tentennato un secondo. Per romanticismo, certo. Ma soprattutto perché, per volumi ed eleganza, è ancora oggi uno dei ristoranti più belli in città». Era tempo di cambiare formula, sia rispetto alla Gazzetta di Petter sia rispetto all'esperienza precedente di Ménilmontant: «Era naturale pensare che non potessi più cucinare all’infinito Zuppe di patate affumicate con foglie di capperi e scampo (il piatto simbolo del Roseval, ndr). Volevo costruire qualcosa di più solido e ambizioso. Volevo crescere».

Tondo ha ridotto i coperti della Gazzetta ma raddoppiato quelli di Roseval. Al contrario di Passerini, ha scelto un concetto ben più gastro che bistrot: è tornata la tovaglia, ci sono le posate belle e i fiori svettano fuori da grandi vasi. A circolare in sala non c’è più il personale pacche-sulle-spalle yeah-yeah di prima ma la misurata Stephanie Crockford, già al Fera del Claridge’s e Brasserie Blanc, un mostro a dettare il ritmo al servizio col sorriso, spalleggiata dal sommelier nippo-danese Jos Kjer, ex Chateubriand.

Tuttavia il personale di cucina reca ancora uno stampo gazzettiano: con Tondo cucinano solo in 3 (tra cui lo svelto Matteo Testa, figlio del cantautore Gianmaria): «Formare cuochi in Francia costa», lamenta lo chef, «se potessi disporre degli stagisti come in Italia sarebbe tutto più semplice». Come ai tempi di Nilsson, la formula ha ancora prezzi popolari: 25 euro a pranzo (per 3 entrée più piatto principale) e la sera menu degustazione 60 euro per 7 portate. Piano piano, sta introducendo anche la carta, una piccola violenza per un menudegustazioniano-bistronomico come lui: «Rispetto a 10 anni fa, il gusto della gente è cambiato: tanti oggi vogliono poter scegliere cosa mangiare». Non è più tempo dello chef che s’impone col foulard bianco e il volto paonazzo.

Zucca, mandarino e ricci di Simone Tondo

Zucca, mandarino e ricci di Simone Tondo

Da Tondo oggi si va per una generosa cucina di prodotto e mercato, tradotta in piatti più ragionati e più ordinati nella costruzione. Tecniche solide che salpano dall’Italia ma senza zavorre territoriali perché libere di attingere dal basso Mediterraneo, dal Nord Europa o dal Giappone. Lo schema parte sempre con una trilogia di entrée: un benvenuto caldo (brodo), un fritto (eterei funghi in tempura) e un prodotto fresco, cotto o crudo che sia (clamorosa la Ricotta di pecora affumicata al fieno con zabaione all’aceto, purè di spinaci e fiori d’aglio).

Poi arrivano i main di carne (Piccione, rabarbaro e rapa rossa, col volatile cotto sull’osso alla francese, niente forni o sottovuoto) e pesce (Rombo e piselli pil pil). Cotture che spaccano il millimetro e una complessità di sapori e strutture del tutto personale. Seguono i dessert, il primo che di solito azzera il palato (Riso al latte di tapioca con vaniglia, caffè e aceto) e uno più godurioso alla fine (Torta di cioccolato alle nocciole). Il menu si chiude con un bignè di pasta choux, il migliore degli arrivederci perché costringe a tornare. 


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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