Siamo sempre felici di scoprire nuove realtà e lo siamo ancora di più quando realizziamo che dietro a fresche aperture e a una cucina di qualità ci sono dei ragazzi molto giovani, in gamba, e che – soprattutto - hanno ancora voglia di investire tempo e risorse nella ristorazione.
Simone Saraceni, per esempio, di anni ne ha appena 26 anni, la sua compagna, Chiara Balsami, 25, mentre Francesco D’Andrea ne ha appena 21.
I primi due in cucina, il terzo in sala, da circa un anno hanno preso in gestione la trattoria Il Porcellino, una storica insegna ai piedi del Gran Sasso nel comune di Montorio al Vomano (Teramo), cittadina natale di Simone che, proprio lì, gestiva una piccola bottega, la Topperia, dove ogni giorno sfornava panini strepitosi, memorabili per i locals: bun fatti in casa, ingredienti di primissima scelta, combinazioni spaziali e un bel seguito di appassionati a sostenerlo sin da subito. Fino a quando, a causa di una serie di vicissitudini, Simone è costretto a rinunciare a quel posto tanto amato: una potenziale soluzione? Trasferire la Topperia a Bologna, ma il destino lo avrebbe voluto ancora una volta in Abruzzo.
Si presenta, infatti, un’opportunità irrinunciabile: la proprietà di una trattoria ben radicata sul territorio è in cerca di nuove leve che possano prendere in gestione la propria creatura, Il Porcellino, appunto. Un locale rustico, pensato per famiglie, tavolate copiose, con una bella veranda esterna che dà sulla strada in direzione Prati di Tivo, verso la frescura di boschi rigogliosi, tra rocce nude e cascate di acqua fresca, sentieri sospesi tra un verde sconfinato e il blu del cielo.

Simone ha le idee ben chiare in merito a cosa sia meglio per “la sua casa”: non si perde nel mare della banalità, della forma, né avverte il bisogno di creare un ristorante “bomboniera”, sebbene inizi a riflettere sulla possibilità di diminuire i coperti per riuscire a dedicare maggior tempo all’ospite, avvicinandolo a quella relazione unica che viene a crearsi tra le mani del cuoco e gli ingredienti che usa. Perché, dopotutto, è questa la base fondante di una trattoria: un senso di intimità tra persone e materia, un luogo di prodotto e spontaneità, e naturalmente di godimento puro e vero a tavola.

Asparagi selvatici alla brace
A fare la differenza, però rispetto a una qualsiasi trattoria è il grado di accuratezza, la selezione controllata dell’ingrediente strettamente locale, le cotture millimetriche, affinché ogni singolo piatto assuma delle connotazioni gustative inconfondibili, invitando a riscoprire l’identità dell’ingrediente stesso, preservata e amplificata dal tocco del cuoco.

Battuta di fassona con tartufo estivo
«Le generazioni dei nostri nonni hanno vissuto con la certezza della genuinità dei prodotti che giungevano sulle proprie tavole; davano valore al sacrificio necessario per produrli, e con largo anticipo veniva già programmato il lavoro per conservare nel tempo quanto abbondasse; ora, invece, il consumismo generale ci travolge, siamo invasi da prodotti facilmente reperibili, ma ne conosciamo le origini? Noi vogliamo tenerci stretta la nostra eredità, vogliamo restare ancorati al territorio: non è semplice, e ci vuole una gran forza di volontà, ma è ciò che ci dà maggior soddisfazione» dichiara Saraceni.

Il tocco ruvido della brace, appena introdotta, sostituisce le cotture in forno a legna, che restano semplici, naturali, quanto più ancestrali possibili, evitando contaminazioni persino dai fondi che, se da una parte recuperano gli ossi, al contempo necessitano di lunghe e lunghe ore di cottura, il che non sempre soddisfa quei cari presunti criteri di sostenibilità. E dopotutto, una carne eccezionale, proveniente da animali il cui tempo di vita viene rispettato, lavorata come si deve e cotta a puntino non ha bisogno di altro per lasciarsi godere a pieno.

La brace, quindi, ma anche una gentilezza di fondo che origina dall’amore per questo lavoro; la manualità allenata quotidianamente nel gesto di sfornare un pane strepitoso, obiettivo raggiunto coinvolgendo professionisti specializzati, per muoversi poi in autonomia; solo lievito madre e farine grezze - niente lievito - per un pane fragrante, e la focaccia, soffice e scioglievole, profumatissima, da intingere nell’oro verde d’Abruzzo, l'olio.

Lonzino di maiale al peperoncino
Una tavola che celebra anche la bellezza dell’artigianato domestico locale: streganti i salumi del cognato di Simone, quindi un lonzino tagliato a fette spesse per articolare la masticazione e potenziare la percezione della carnosità, un grasso gustoso dalle note affumicate, aromatizzato al peperoncino e poi una pancetta setosa, che sfiora il palato stuzzicandolo.

Pallottole di pecora stracotta
Quindi un fritto, asciutto, dorato, di un’oliva all’ascolana e quella che pare un’arancina, in realtà nasconde un ripieno di pecora stracotta, sfilacciosa, umida, raccolta in una panatura croccante. Fino ai crudi… di terra: salsiccia conservata sotto strutto da mangiare a mo’ di bon bon, la battuta di fassona con i primi tartufi estivi e un carpaccio delicato di picanha, nudo, servito con solo un pizzico di sale, dolce. La sequenza continua con pasta fresca fatta in casa – regina, la Pappardella al ragù di cinghiale -, e poi una selezione ristretta di carni alla brace, con un assortimento del giorno che varia puntualmente. Scegli il taglio, la cottura e poi godi. Nel nostro caso ancora picanha, al sangue, ricca di grasso, burroso, assorbe il fumo della brace. Contorni magistrali: i cuori di carciofo, ancora alla brace, gli asparagi selvatici, sottili, ma così intensi, e una cicorietta saltata, amara, dal gusto concentratissimo.

La cucina italiana ha bisogno di storie come queste; di chi ha compreso che la risposta a una richiesta di autenticità non può che derivare dal territorio, dalla capacità di rendere il ristorante parte di una filiera: un punto nevralgico in cui si concentrano le primizie di un fecondo vicinato che completano e sigillano il processo creativo.

La Galantina di pollo con giardiniera Podere Francesco
Pensiamo alla Galantina di pollo condita con la giardiniera di Podere Francesco, azienda agricola del teramano, la stessa che fornisce una composta di uva Montepulciano, succosissima, naturalmente dolce, con cui farcire il bocconotto montoriano, che a differenza di quello classico prevede una pasta frolla molto più sottile e friabile, merito dell’uso dell’olio d’oliva, e poi un tripudio di confettura, cioccolato fondente salato, uvetta e mandorla tostata.
Una ristorazione-ingranaggio di un sistema, un racconto concreto e reale, che esaudisce il bisogno di assaporare una tavola davvero locale. «Il nostro obiettivo è quello di presentare la tradizione che ben conosciamo in una forma tutta nuova, e vogliamo farlo credendo soprattutto nelle micro-produzioni, nelle realtà familiari, insomma in chi non solo si preoccupa della propria professionalità, ma soprattutto mette in ogni sua azione anima e cuore».