C’è una forza silenziosa che attraversa le colline e scivola lungo l’Aniene, fino al cuore antico di Tivoli. È la stessa forza che da secoli muove i pastori, i contadini, le stagioni. Oggi prende forma in un ristorante che non si limita a servire piatti, ma racconta una visione: Al Madrigale, il nuovo progetto di Andrea La Caita insieme allo chef Daniele Lippi e al resident Gian Marco Bianchi, manifesto gastronomico che intreccia terra, memoria e immaginazione, dispositivo culturale, piattaforma di idee e di gusto.
Il fermento ristorativo di Tivoli trova in Al Madrigale la sua espressione più matura. Merito dell’intuito di La Caita, imprenditore con alle spalle progetti di peso come Acquolina e Alto a Roma, e una lunga militanza nel rilancio di insegne storiche tiburtine come La Sibilla.
Gli spazi, curati nei minimi dettagli, raccontano la stessa storia della cucina. Marmo, legno e ferro plasmati da
Yatran Stenico, cementine antiche, caloriferi in ghisa recuperati dal vecchio ospedale, sculture mitologiche di
Gianni Lopez, opere di
Marco di Priamo e menu rilegati in pelle d’anguilla dagli artigiani
Consani e Giannini: ogni elemento contribuisce a creare un’atmosfera calda e stratificata.
Qui si mangia, certo. Ma soprattutto ci si nutre di paesaggio, cultura, idee. Al Madrigale va oltre la cucina e oltre la sala: è racconto di pastorizia, transumanza, agricoltura. Non come nostalgia folcloristica, ma come civiltà viva, attuale. Il cibo diventa veicolo di una narrazione lunga secoli, e il servizio ne è complice: ci si siede per una cena e ci si ritrova in un piccolo viaggio, tra l’Appennino e il Tavoliere, tra la rosa canina e le muffe nobili, tra la brace e l’infuso di fieno.
La sala, intima e raccolta, ospita appena venti coperti distribuiti su due livelli. L’esperienza inizia con un aperitivo al piano inferiore, poi prosegue allo chef’s table accanto alla cucina: un movimento fisico che ricalca la transumanza, invito a cambiare prospettiva, a lasciarsi sorprendere.
Due i percorsi degustazione: Misera/mente (80 euro), omaggio all’essenzialità contadina trasformata in consapevolezza gastronomica, e Migra/azione (100 euro), narrazione dinamica di territori e rotte, tra terra e mare. È possibile anche costruire un proprio percorso da 4 portate (70 euro). I titoli non sono giochi di parole, ma dichiarazioni d’intenti.
Il benvenuto è già un menu in miniatura tra l’ottima Patata, baccalà mantecato e tartufo nero, la Cialda croccante con zucchina alla scapece e menta o ancora il Cavolo cappuccio con crema di fave, cetriolini e uova di trota. Il tutto si gusta nel salottino che apre le porte del locale mentre l’intermezzo al tavolo dello chef vista cucina, Meringa di pere, stracchinato di pecora, polvere di ginepro e infuso caldo di fieno e camomilla, richiama un cacio e pepe contadino in forma di coccola.
Tra i piatti simbolo spicca la
Ventricina di pecora, stagionata 15 giorni e servita su focaccia al vapore finita alla brace: intensità norcina in abiti sartoriali. Lo
Storione, segale e mora reinterpreta il lardo in chiave lacustre, con storione del
Lago dei Reali
stagionato e servito con more sotto spirito e brodo di pane colonizzato da muffe nobili: un piatto che vibra d’identità. Poi l’
Uovo in purgatorio, dove il pomodoro lascia spazio a una salsa di rosa canina, con ricotta salata grattugiata e prezzemolo: poesia della memoria. Indimenticabile lo
Gnocco di patata e baccalà, prima lessato e poi arrostito, accompagnato da
pil pil di baccalà e cipolla caramellata. L’
Agnello cacio e uova, in versione brodettata, è nuovo classico rustico ed elegante mentre la
Taccola alla brace con battuto di mentuccia e basilico, sa di orto e fuoco. E ancora c'è il sorprendente
Spaghettone alla fragola con fragole confit di Carchitti, polvere di alici e pepe rosa: un piccolo atto di coraggio gastronomico.
Tra le prove più audaci, l’
Animella e vongole, con fiori di sambuco sotto aceto e salsa estratta dall’acqua delle vongole, completata da olio al prezzemolo e paccasassi: un piatto che unisce estremi e li trasforma in armonia. Anche i dessert sono parte integrante della narrazione: la
Fragolina e aglio nero seduce e disorienta. Il gran finale? Un sontuoso
Panpepato con zabaione espresso: chiusura che sa di festa contadina, senza retorica.
In cucina, la brigata si muove come un organismo coeso, lavorando per obiettivi comuni. «Ci si profetta attorno a un’idea lunga un menu, che racchiude ricordi e nuovi pensieri dell’agricoltore più divertente d’Italia», racconta Gian Marco Bianchi, con alle spalle esperienze da Genovese a Lippi, da Maaemo a Schloss Schauenstein. Il suo sapere internazionale è stato trapiantato con rispetto nel tessuto locale, dando vita a una cucina profondamente radicata ma capace di volare alto.
Quella di
Al Madrigale è una cucina viva e autentica. Non si prende troppo sul serio, ma gioca con intelligenza. È creatività solida, mai decorativa, che evolve stagione dopo stagione restando fedele a sé stessa. È pensiero agricolo e pastorale, nel senso più alto e contemporaneo: si coltiva, si raccoglie, si trasforma. Si cucina, ma soprattutto si pensa.
Al Madrigale è un luogo che plasma materia e narrazione. Che emoziona senza effetti speciali, affonda le mani nella terra e lo sguardo nel futuro. Gioca con il cliente con ironia e consapevolezza, elabora il vegetale con profondità, trasforma gli scarti in bocconi affilati. È un’insegna giovane, sì, ma già matura. Destinata a durare.
Al Madrigale
Via Ponte Gregoriano 1 - Tivoli (Roma)
Tel. +39 0774 011261
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Menu degustazione a 80 e 100 euro
Lunedi, giovedi e venerdi aperto solo a cena, sabato e domenica anche a pranzo. Chiuso martedi e mercoledi