22-10-2022
Alcuni dei piatti del ristorante Antonio Chiodi Latini - si chiama come il suo chef e patron - a Torino
Il ristorante Antonio Chiodi Latini nasce a Torino nel 2017 mutuando il suo nome da quello del suo chef, determinato nell'idea che la cucina onnivora parlasse al suo passato, fosse stata parte delle sua vita, ma che stesse perdendo il suo ruolo centrale nel presente e per il futuro. Non una scelta ideologica, ma innanzitutto personale, come uomo prima che come cuoco; un cambiamento che lo ha portato a cercare per vie diverse la strada che congiungesse la tutela della propria salute e la soddisfazione gastronomica. Sono, questi, elementi che emergono chiari assaggiando i suoi piatti e soprattutto vedendo Chiodi Latini - barba bianca ed espressione serena - all'opera mentre è affacendato in cucina, di fronte ai commensali accomodati ai ravvicinati tavoli.
Lui è di Piossasco, piccola città sulle colline tra Torino e Pinerolo, ma vanta origini bresciane, provincia dalla quale si è trasferito sotto la Mole ancora giovanissimo. Nella città sabauda ha frequentato l’Istituto alberghiero e sempre qui, da metà anni Ottanta, ha iniziato la sua esperienza nei ristoranti: lo si è visto in brigata in tante insegne storiche del panorama cittadino, come il Ristorante della Rocca o Villa Somis. Nel 1994 ha cambiato aria (ma non di molto): ristorante I nove merli al castello di Piossasco, dove è rimasto fino a pochi anni fa, proponendo una tavola insieme tradizionale e contemporanea. Dal 2017, dopo qualche altro esperimento, la scelta di diventare cuoco della terra, come ama definirsi, proprio per porre l’accento sui prodotti che ci fornisce il suolo e utilizzarli con tutto il rispetto culinario con cui si trattano in genere le proteine animali.
Antonio Chiodi Latini
Oggi nella cucina di Antonio Chiodi Latini (e del ristorante Antonio Chiodi Latini) la proposta gastronomica è costruita incrociando solo ingredienti di origine vegetale, cui s'aggiunge la scelta di mantenerli spesso crudi per esaltarne il gusto e offrirli così al commensale nella loro naturale consistenza, nella loro essenza profonda. Dice del suo menu, o meglio della sua "underground vegetable cuisine", come la definisce: «Se la spiego, la dimentichi. Se la guardi, la ricordi. Se la gusti, la capisci». Ed è vero, benché nella stessa descrizione dei piatti vi siano interessantissimi elementi di conoscenza, tanto risulta inusuale certa materia prima che il modo col quale viene lavorata e quindi offerta.
Il menu degustazione parte da 4 e arriva sino a 9 portate per la scelta a mani libere dello chef, con una crescita progressiva nel numero dei piatti che va incontro alle esigenze di pancia ma anche di portafoglio. L'opzione di fondo è far sì che il locale rimanga sempre molto inclusivo, pensiamo ai soli 25 euro richiesti per il menu prandiale base, a salire fino agli 85 euro del menu serale completo, con ben quattro soluzioni di prezzo intermedie.
Degustazione di oli e bottoni vegetali
«La foglia d'ostrica e il kiwi costruiscono insieme il trionfo dell'acqua salata. Chiudete gli occhi e aprite le papille gustative: il mare è ad appena un boccone di distanza. Questa è la grandissima magia del vegetale»
«Ho voluto ripensare l'insalata mista. Quella che mangi d'estate in riva al mare, in una assolata pausa pranzo. Avete presente? Ecco, quella. Nella mia versione dell'insalata, il mais è sotto forma di pasta, accompagnato da tutte le foglie del mio orto. Distruggetela come fareste con un'insalata, mescolatela, e concentratevi sul modo in cui rispecchia tutte le variazioni di gusto che si possono provare»
«La strada che ho intrapreso per i miei risotti va nella direzione del Vialone Nano della Lomellina dell'azienda agricola Riserva San Massimo. Per questo piatto, vado a mantecarlo con la pasta di borragine estratta dall'evaporatore rotante. Niente soffritto: cuocio lo scalogno e la papaya in cottura bianca, e utilizzo i semi del frutto come parte astringente del piatto. La parte dolce e fresca la dà l'acqua di macadamia, con un sapore che ricorda un po' quello del mare. La mia ricerca dell'equilibrio, in un saliscendi vegetale»
«La zucchina, la nespola e il nasturzio mi portano in riva al mare. Mi siedo, assaggio e sento il rumore delle onde. Lavorare a questo menu mi ha regalato bellissime emozioni, le stesse che spero di trasmettere a voi»
Radici, ovvero zuppa di topinambur con lampascioni e pastinaca
Lampone e tardivo. «Radicchio tardivo, sapore dolce e amaro che ben coniuga la mia filosofia gastronomica vegetale. Le foglie lunghe e ricurve vengono cotte a bassa temperatura con liquore di topinambur e zucchero, ridotte su vivo fuoco a dare consistenza. La radice viene cotta solo da una parte, come se fosse squama di pesce. Il lampone è la giusta nota di acidità fresca»
Ravioli con fitoalimurgia
In definitiva: andare da Chiodi Latini significa provare una cucina di passione e divertimento, prima di tutto per lo chef e poi - di conseguenza - per i commensali. Quasi che la felicità avesse origine dalla terra, riposasse dentro alle verdure.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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gastronomo per passione e assaggiatore seriale, abitante della periferia montana del Regno Sabaudo, nel tempo che resta prova a innovare il sistema di welfare italiano. Ancora si emoziona prima di aprire il menu di un nuovo ristorante
Il progetto di interior design del nuovo Il Gramsci è stato curato dallo studio Cohesion di Torino
Lo chef Salvo Campagna del Secondo Tempo di Termini Imerese (Palermo) ebdue dei suoi piatti veg, in alto Fagiolini saltati con sesamo e zenzero, su crema di tofu al pistacchio, in basso Fungo cardoncello delle Madonie glassato con chimichurri leggero e quinoa soffiata
Insalata Mista è il Piatto della bella stagione di Antonio Chiodi Latini, chef dell'omonimo ristorante a Torino