Otto chef, sedici piatti e un concorso con una giuria d’eccezione della quale, tra gli altri, hanno fatto parte Davide Oldani e Antonia Klugmann. Oltre, naturalmente, a Pietro Leemann, colui che The Vegetarian Chance lo ha ideato quattro anni fa (con la collaborazione di Gabriele Eschenazi) insieme al Festival internazionale di cultura e cucina vegetariana che lo ingloba. «Il motivo per cui ho deciso di dare vita a questo concorso è stimolare i cuochi a pensare ai piatti in modo vegetariano. Non bisogna dimenticare che la cucina veg è più complessa perché per chi la interpreta in un ristorante va al di là del pensiero etico e implica un modo diverso di trattare le materie prime per dare piacere all’ospite», spiega Leemann che col suo Joia, in Italia, è l’unico chef vegetariano (anzi, a dire il vero sempre più vegano) ad avere ottenuto la stella Michelin.

Gijs Kemmeren con l'altro piatto, dedicato agli asparagi
Ad avere raccolto il guanto di sfida lanciato da
Leemann sono stati in tanti. E, come il regolamento prescriveva, «tutti chef professionisti di alto livello con almeno quattro anni di esperienza», valutati in base a due ricette: un piatto della tradizione del Paese di provenienza, anche rivisitato, e una propria creazione. Tra gli otto selezionati per la finale, Il vincitore della IV edizione di
The Vegetarian Chance, è stato l’olandese
Gijs Kemmeren. Trentun’anni,
Gijs impiattando una
Zuppa di piselli (tradizione) e un
Asparago classico (creazione) ha convinto la giuria. Ad aiutarlo, probabilmente, il fatto che – pur non essendo un vegetariano – fosse, però, l’unico dei concorrenti a lavorare in un ristorante vegetariano: l’
Herberg de Kop van’t Land di Dordrecht. «Al ristorante abbiamo un menu di sette portate il cui concept è rendere speciali gli ingredienti semplici che sono tutti biologici», spiega
Kemmeren che, fatto salvo per un breve stage in Francia, ha sempre lavorato in Olanda.

I piatti di Rafael Rodriguez, patron chef del milanese Quechua: Foresta amazzonica (creazione)...

...e Gnocchi andini (tradizione)
Al secondo posto si è classificato il peruviano
Rafael Rodriguez, patron chef del milanese
Quechua con i suoi
Gnocchi andini (tradizione) e la
Foresta amazzonica (creazione). «Tutti gli ingredienti utilizzati sono peruviani. Noi lavoriamo sostenibilmente con cooperative di tre diverse regioni (Puno, Ajacucho e Madre de Dios) del Paese», ha sottolineato
Rodriguez che nel suo menu tiene stabilmente, tra gli altri, anche 4 piatti vegani ed è pronto a mettere in carta proposte «che saranno un concentrato di Perù dedicato a chi vorrà fare un viaggio nel gusto del mio Paese».

Il Fazzoletto, pera e caffé di Gianluca Casini, patron-chef de L’arte in Cucina di Düsseldorf

Il Nero Gioiello di Fabio Vacca del ristorante del Relais Villa del Golfo di Cannigione in Sardegna

Carota, carota e carota di Andrea Valle del Piccolo Lago di Verbania e Cappelletti in brodo di "Rispetto" di Daniele Succi del ristorante dell’hotel I-Fame di Rimini
Tra gli altri concorrenti, tutti in gara con piatti di buon livello, gli italiani
Daniele Succi del ristorante dell’hotel
I-Fame di Rimini (dove per i vegetariani c’è il menu “
Naturalmente”),
Fabio Vacca del ristorante del
Relais Villa del Golfo di Cannigione in Sardegna (buona l’interpretazione del riso nero Gioiello di Passiu),
Andrea Valle del
Piccolo Lago di Verbania (originale il suo antipasto
Carota, carota e carota presentato in coppa con una cialda di copertura dello stesso bicchiere) e
Gianluca Casini, patron-chef de
L’arte in Cucina di Düsseldorf (i suo
Fazzoletti erano preparati con farina di farro, pere e grano saraceno).

Lo splendido Mazzolino del giapponese Hitoshi Sugiura del Patinastella Shibuya-ku di Tokio

Il piatto concettuale dell’olandese Lennart van Weert del Cabillaud di Venlo: Viaggio nella memoria
E poi il giapponese
Hitoshi Sugiura del
Patinastella Shibuya-ku di Tokio (distintosi per l’impiattamento del suo
Mazzolino con cui ha ringraziato gli organizzatori del concorso) e l’olandese
Lennart van Weert del
Cabillaud di Venlo con un concettuale impiattamento con tanto di orologi (veri) e sabbia commestibile del suo
Viaggio nella memoria.
«Sono felice che i colleghi onnivori, che sono stati la totalità dei partecipanti, si siano lasciati prendere dal concorso perché, differentemente da chi raccoglie solo l’esigenza di una scelta salutista – ha concluso Leemann - sono interessati alla cucina in sé».