Ci si avvia all’ultima settimana dell’Hub di via Romagnosi (ultimo servizio prima della pausa estiva, martedì 30 giugno) e il finale tiene incollati alla sedia. Scena madre: Roscioli, il cognome più celebre della ristorazione romana tradizionale, che sigla 3 cene di fila a Milano, da mercoledì 24 a venerdì 26 giugno. È la prima volta che succede da quando la famiglia ha aperto il Forno di via dei Chiavari (1972 ma la fornace esisteva dal 1824) e poi trasformato l’ex pizzicheria di via dei Giubbonari in una Salumeria con Cucina (fine 2002). Oggi gronda 350 tipologie di formaggi, 150 salumi, 2.800 etichette di vino e un arcobaleno innumerabile di conserve, salse, mostarde, sott’olii, paste, oli e aceti.
«Abbiamo riaperto il 25 maggio dopo la crisi», spiega Alessandro Roscioli, colonna della bengodi a un passo da Campo de’ Fiori al pari del fratello Pierluigi e di Nabil Hadj Hassen, cuoco da oltre 15 anni, «i numeri non sono certo quelli di prima, ma non possiamo lamentarci. Stanno cominciando ad arrivare anche i primi turisti olandesi e tedeschi, proprio quelli che fecero più resistenza alla concessione dei fondi all’Italia. Del resto, c’è da capirli: è come mettere una scimmia sulla motocicletta», scherza.
Di sicuro loro padroneggiano benissimo il mezzo. Anzi, hanno raddoppiato gli sforzi, aprendo dal primo giugno pure il
Rosciolino al
Play Pisana, nella periferia capitolina occidentale. Ci si fa un tuffo e poi si sbocconcellano a bordo piscina i bendiddio della piccola cucina orchestrata da
Gabriele Giura (da anni secondo di
Nabil), la pizza napoletana di
Luca Issa del
Piccolo Buco, gli snack del bancone o i miscelati del cocktail bar. «Con quest’apertura», spiega
Alessandro, «abbiamo tolto tutti i ragazzi dalla cassa integrazione e assunto altre quattro persone». Complimenti.
E il menu di Milano? «Porteremo i nostri piatti simbolo perché siamo letteralmente incollati alle nostre radici». Non così tanto da
bigiare fino a Milano per 3 giorni, per fortuna. Il dettaglio.
Per l’antipasto basta il nome a trasformarci in cavie di
Pavlov:
Fiori di zucca ripieni di coda alla vaccinara con fonduta di cacio e pepe. «Abbiamo sostituito mozzarella e alici, il classico ripieno della tradizione romana, con una gustosissima coda alla vacinara. Poi l’abbiamo resa ancora più ‘light’ con una salsa di cacio e pepe. Da noi è in carta da 5 anni. Abbiamo provato a toglierlo ma poi abbiamo dovuto sedare una rivolta rimettendoli». PS: i fiori di zucca arrivano dal mercato di Testaccio, non da quello celeberrimo di Campo de’ Fiori, ormai spot colorato a uso turisti.
Il primo piatto è la
Carbonara forse più celebre
de’ Roma, un primato costruito sull’inarrivabile qualità di ogni addendo - forse il timbro più marcato dell’approccio roscioliano - e sulla cura semplice e lineare di ogni passaggio fuori e sul fuoco. La carta d’identità precisa: «La pasta è di solito lo spaghetto ma a Milano porteremo il
rigatone di
Benedetto Cavalieri: ha una tenuta di cottura impressionante, caratteristica necessaria per un posto piccolo come il nostro, che cucina tutto espresso. Il
guanciale arriva da
Paolo Emiliani, un piccolo produttore del Conero che abbiamo impiegato 5 anni a scovare: lo fa solo per noi e ha 45/50 giorni di stagionatura, l’intervallo perfetto, crediamo. Il
pepe ce lo manda
Roellinger da Cancale, in Francia, e mette assieme 3 tipologie: Indonesia, Vietnam leggermente affumicato e il Sarawak della Malesia, una combinazione che non amplifica troppo il gusto dell’
uovo. Che da 15 anni è firmato da
Paolo Parisi: elegante, delicato, imbattibile. Il pecorino viene infine da
Giuseppe Lopez, produttore della campagna romana, fornitore dai tempi di nostro padre. Il problema del pecorino è che ci sono periodi dell’anno (da febbraio a maggio) in cui è molto sapido. In quei 3 mesi lo smussiamo con un 20% con pecorino pugliese dolce». La scienza della carbonara.
Per secondo, planeranno delle
Polpette della tradizione romana con pomodoro San Marzano, ricotta affumicata e polentina di castagne: «Regione d’Italia che vai, polpette che trovi. Ovunque, è un piatto di recupero. La nostra ricetta non sfugge alla regola e riproduce una ricetta molto classica: carne macinata di vitello e manzo, mortadella, pane raffermo - bagnato nel latte, e non nel brodo come da tradizione -, sedano, carote e cipolla, pochissimo aglio. Non le friggiamo, le cuociamo a fuoco bassissimo nel pomodoro».
Il dessert sarà
Il nostro Tiramisu, ora in carta anche al
Rosciolino: «Uovo ancora di
Paolo Parisi, mascarpone d’altissima qualità di
Carena, biscotto
camporello al posto del classico savoiardo, cacao 70%
Valrhona Guanaja e caffè di
Gianni Frasi. Io e mio fratello abbiamo tanti difetti ma non quello di risparmiare sulla materia prima».
La cena si può prenotare in due turni (ore 19.30 e 21) e costa 75 euro a persona, vini inclusi. Per prenotazioni, clicca qui.