04-07-2019

Bruno Verjus: amore per la cucina, senza confini

Lo chef francese, ospite a Identità Golose Milano fino a sabato 6 luglio, racconta la grande passione per il cibo e la sua storia

Bruno Verjus sulla soglia dell'Hub di Identit

Bruno Verjus sulla soglia dell'Hub di Identità (tutte le foto di OnStageStudio)

Chissà quanti sono, tra gli appassionati di cucina che stanno leggendo questo articolo, quelli che almeno una volta nella vita hanno pensato: “dovrei proprio aprire un mio ristorante”. Bruno Verjus è uno che c’è riuscito: come racconta lui stesso, lo chef francese - ospite a Identità Golose Milano fino a sabato 6 luglio per far assaggiare al pubblico meneghino la cucina del suo ristorante parigino Table - ha più volte cambiato vita. 

Manager e imprenditore prima, critico gastronomico di grande successo poi, infine cuoco (una storia raccontata da Gabriele Zanatta in questo articolo). Scelte coraggiose e guidate dalla passione, in particolare per il cibo, i suoi ingredienti e la sua storia. Chiacchierare con Verjus significa incontrare un uomo di grande cultura, ironico, affabile, sempre pronto al sorriso. Impossibile non chiedergli come prima cosa di raccontare quest’ultima sua trasformazione, avvenuta nel 2013. Come si diventa chef, secondo Bruno Verjus?

«Vuoi che ti racconti come si passa dalla parte sbagliata della barricata?» risponde con un’altra domanda il francese. «Esattamente non lo so neanch'io come sia successo. So che dopo aver fatto per diverso tempo una trasmissione radiofonica parlando di cucina - "On ne parle pas la bouche pleine" insieme al mio amico Alain Kruger - mi sono reso conto tutto d’un tratto che per comunicare quello che mi stava a cuore sarebbe stato più efficace cucinare, proporre dei piatti al pubblico, invece di parlare. Mi ricordo ancora quando ebbi questa illuminazione. Ero stato a Singapore, dove avevo girato molto, provato ristoranti, assaggiato mille cose. Dovevo scriverne per diversi giornali e per Omnivore. Dopo aver scritto un piccolo articolo, mi sono accorto di aver in qualche modo messo nero su bianco il manifesto di quello che poi sarebbe stato il mio ristorante Table. E che quella era la strada che volevo intraprendere».

E cosa avevi scritto?
Era molto semplice: che siamo noi a decidere in che mondo vogliamo vivere in base a quello che mangiamo. Siamo noi a decidere se vogliamo mangiare cibi industriali, della grande distribuzione, se vogliamo dare soldi a queste organizzazioni, anche quando siamo consapevoli che questa scelta non sia la migliore né per la nostra salute, né per il nostro pianeta, né per le persone che lavorano per quelle realtà. Oppure se invece vogliamo sostenere con le nostre scelte alimentari quei produttori che sono davvero appassionati del proprio lavoro, che fanno di tutto per coltivare in modo sano e sostenibile, difendendo la stagionalità e le varietà che rischiano di scomparire, che allevano gli animali pensando sempre al loro benessere, che pescano in modo etico e consapevole. Quando fai la scelta giusta, diventi una specie di banca che investe su un mondo migliore. Quello che compresi allora fu che il modo migliore per comunicare queste idee era nutrire le persone attraverso un mio ristorante. Mi sembrava così lineare ed efficace. Mi dimenticavo solo di un aspetto…

Con il resdident chef di Identità Golose Milano, Alessandro Rinaldi

Con il resdident chef di Identità Golose Milano, Alessandro Rinaldi

Quale?
Io semplicemente sapevo di amare tantissimo cucinare. Sapevo di conoscere molto bene gli ingredienti, sapevo di conoscere molto bene la haute cuisine, ero convinto di potermi cimentare con questa sfida. Non avevo tenuto in conto che se cucinare mi sembrava una cosa molto cool, cucinare 11 volte alla settimana per circa 30 persone non lo era affatto. Cucinare per 1300 persone al mese, per 15000 persone all’anno, non è cool: è un lavoro vero e durissimo. E non è tutto. Fare il cuoco era solo un aspetto: io in più ero anche il titolare di un ristorante. Quella persona che mentre cerca di concentrarsi sul lato poetico della sua nuova vita, pensando ai piatti e alle materie prime, a far stare bene le persone che entrano nel ristorante...viene costantemente riportata alla realtà dal guasto di un bagno, dal problema con quel cliente, da mille cose diverse. 

Hai dovuto superare molte difficoltà, insomma.
Ho tenuto duro. Anche perché in Francia se non sei uno chef affermato, se non sei conosciuto come titolare di un ristorante, non sono tante le persone che vogliono venire a lavorare per te. Non hai un'autorevolezza in quel settore, quindi ti ritrovi a dover scegliere collaboratori che magari non sono i migliori che potresti trovare. Dopo un anno e mezzo di lavoro mi guardai intorno e pensai di non essere il padrone di un ristorante, ma di un centro psichiatrico, di uno zoo. C’era da mettersi le mani nei capelli. Ma ho tenuto duro e passo dopo passo le cose sono gradualmente migliorate. Ho iniziato a ricevere i curriculum di seri professionisti che volevano lavorare con me in cucina, la mia credibilità ha incominciato ad affermarsi. Da lì ogni cosa è diventata più facile.

Quindi non ti sei mai pentito di questa scelta?
Sono un uomo che ha cambiato più volte vita. Credo che siano state scelte giuste, ma per decidere di fare lo chef in questo modo ci vuole grande convinzione, perché saranno tante le persone che cercheranno di scoraggiarti, e ci vuole anche un bel po’ di ingenuità. Perché a voler essere pragmatici, basandosi sui numeri di un business plan, osservando con consapevolezza tutte le difficoltà, la conclusione sarebbe sempre e solo: “non farlo”. Io avevo questa ingenuità e questa grande convinzione. Ero certo di poter proporre una grande cucina d’autore che si basasse su ingredienti meravigliosi, incredibili, e su una cucina tutta fatta à la minute. Non ho mai mollato e sono felice di aver tenuto il punto: faccio il mestiere più bello del mondo, lavoro tantissimo, do tutto di me, ma sono pieno di soddisfazioni e quello che ricevo in cambio dalla gente che viene a mangiare da me conta molto di più di qualsiasi sforzo.

Quando sei passato, come dicevamo, dall’altra parte della barricata, diventando uno chef: come ti hanno trattato i tuoi ex-colleghi critici gastronomici?
Devo dire di non aver mai avuto un problema con gli altri critici gastronomici. Anzi, molti di loro sono stati proprio gentili con me, perché credo di poter dire che all'esordio non fossi certamente perfetto. Chi invece è stato molto duro con me sono stati gli altri chef. Molti chef che avevo difeso nei miei articoli, appena ho preso questa decisione mi hanno attaccato con rabbia. Ho ricevuto telefonate in cui mi si diceva: “Ma chi credi di essere, come ti permetti di inventarti chef in questo modo, ma chi vuoi prendere in giro?”. Poi però ci sono stati altri chef, uno su tutti Alain Passard, che mi sono stati vicino. Alain mi chiamava spesso, mi diceva che capiva le mie difficoltà, mi faceva coraggio. Un altro è stato Bernard Pacaud, che non conoscevo direttamente, ma che è venuto a mangiare nel mio ristorante e mi ha sostenuto, diventando un cliente abituale. 

Triglia, tempura di ibisco, anguilla affumicata e maionese di agrumi

Triglia, tempura di ibisco, anguilla affumicata e maionese di agrumi

Da food writer sei sempre stato estremamente curioso della storia delle cucine del mondo, hai esplorato la gastronomia di molti paesi con i tuoi viaggi. Come chef, quanto ti senti influenzato da queste cucine e quanto invece ti senti legato alla tradizione dell'alta cucina francese?
Come dicevi, la mia passione è sempre stata la storia della cucina, esplorare e studiare il passato, per comprendere il presente. In questo modo ho presto capito che non può esistere il nazionalismo in cucina. Non esiste una cucina francese, una italiana, una giapponese: non esistono le cucine, esiste la cucina. E la cucina si muove, si sposta, gli ingredienti viaggiano attraverso il mondo, insieme alle persone. Oggi potremmo dire: “Non esiste la cucina italiana senza il pomodoro”. Vero: ma esisteva una cucina italiana senza il pomodoro e la pasta veniva condita con le fragole, per fare un esempio. Come potremmo pensare alla cucina italiana senza gli gnocchi? Però le patate non sono di origine italiana. Potremmo fare mille esempi di questo genere. Oggi io potrei spiegare come mi piaccia usare lo zenzero nelle mie ricette, e qualcuno potrebbe commentare che questo denota delle influenze asiatiche. Ma io invece vorrei rispondere che nel Medioevo in Francia la spezia più usata nei condimenti era proprio lo zenzero, arrivato certamente dall’Asia, ma già coltivato nel sud del paese, e molto diffuso, perché le altre spezie, come il pepe, erano carissime. Adoro la storia della cucina anche perché è la perfetta dimostrazione della stupidità del razzismo. Un razzista oggi dovrebbe ammettere di non poter mangiare il proprio piatto nazionale, perché gli ingredienti che si trovano in quel piatto sono arrivati nel suo paese grazie a uno straniero. Il potere gentile della cucina è questo: fare incontrare storie e tradizioni, ingredienti e sapori. E sconfiggere qualsiasi idea di purismo nazionalista grazie al melting pot che rappresenta. Noi cuochi, infine, inventiamo le ricette che inventiamo grazie alla storia che ci ha preceduto, e a nostra volta tramandiamo un piccolo pezzo di questa storia a chi verrà dopo di noi. Come si fa a non amare la cucina?

Astice blu ‘Table’: Trancio di astice temperato con burro chiarificato di vacche rosse delle Fiandre, carciofi viola in vapore di agrumi, zabaione acidulato, passeggiata marittima tra le foglie e i fiori di primavera

Astice blu ‘Table’: Trancio di astice temperato con burro chiarificato di vacche rosse delle Fiandre, carciofi viola in vapore di agrumi, zabaione acidulato, passeggiata marittima tra le foglie e i fiori di primavera

Hai portato questa tua grande passione, che hai appena raccontato in modo splendido, qui a Milano, nell’Hub di Identità Golose. Come hai scelto proprio questo menu?
Conosco Identità Golose da molti anni, ho frequentato il congresso molte volte e ogni volta per me è stata un'esperienza meravigliosa, ho sempre pensato che fosse uno degli appuntamenti migliori del mondo per chi amava la cucina d'autore come me. Quando Paolo Marchi è venuto a mangiare da me a Table è stata una grande gioia: adoro Paolo e credo che abbia fatto un lavoro straordinario. Così quando mi ha invitato a cucinare qui mi sono emozionato. Ho semplicemente costruito il menu pensando all’astice perché adoro l’astice, ho pensato alla triglia perché è un pesce molto amato in Italia, ma io lo preparo alla mia maniera con una panatura all’ibisco, ho pensato al piccione per rappresentare un po’ della storia dell’alta cucina francese, però sempre con lo stile di Table...è un menu nato nel modo più spontaneo possibile. 

E’ anche un menu che vi consigliamo di non perdere: Bruno Verjus sarà a Identità Golose Milano fino a sabato 6 luglio. Per informazioni e prenotazioni, visitate il sito ufficiale.


Identità Golose Milano

Racconti, storie e immagini dal primo Hub Internazionale della Gastronomia, in via Romagnosi 3 a Milano

a cura di

Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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