Terry Giacomello
Cheese cake di baccalà profumato al finocchietto con ceci, pomodori confit e buccia di limone di Marianna Vitale
Guida alla Guida Paolo Marchi: «Nonostante tutto, si mangia sempre meglio. E non esiste solo il fine dining»
Matteo Aloe, col fratello Salvatore, ha creato un piccolo (non troppo piccolo) impero di pizzerie di altissima qualità. Ora ovviamente è alle prese con l'emergenza. Ma ha idee chiare...
Le cose che accadono nella vita dipendono anche dalle scelte che vengono prese in determinati momenti. In una situazione delicata come questa, i ristoratori - dopo il comprensibile smarrimento iniziale - stanno sviluppando idee e format diversi per gestire un presente sospeso, immaginando simultaneamente quella che potrà essere la ristorazione del prossimo futuro. Nella riorganizzazione generale, una regola universale non esiste. Quando devi affrontare da “capitano” una pandemia globale il tuo cuore sa che è tempo di proteggere il tuo sogno e il tuo lavoro. Devi prenderti responsabilità, aver cura dei tuoi collaboratori: è il momento in cui c’è più bisogno di ponderare decisioni strategiche con lucidità, profondità e intuito.
Quindici pizzerie, con lo stesso imprinting fortemente identitario, immerse nella maniera più accurata possibile nei contesti delle città in cui operano.
Salvatore e Matteo Aloe
«Entrare nel locale i primi giorni di lock down - continua lo chef pizzaiolo - mi ha provocato più di nodo in gola: soffrivo a vedere tutto spento, le sedie sui tavoli, nessun vociare in sottofondo. Dunque appena ci è stato possibile abbiamo riaperto, in tutta sicurezza sanitaria, perché avere i forni accesi e rientrare, anche mentalmente, in attività è un segnale importante, che dà energia. In più: avere un punto di osservazione dinamico influisce positivamente sulle decisioni che stai per prendere».
Il primo intervento operativo è stato quello di anticipare con le proprie forze la cassa integrazione a tutti i collaboratori, per non rischiare di metterli in difficoltà a causa delle lungaggini burocratiche. Soprattutto: non licenziando nessuno. «Avevamo questa forza e lo abbiamo fatto senza indugi: un modo per far sentire al team che ci siamo, che per noi sono importanti. Ma è una soluzione che può andar bene un mese, poi se sei fermo e non incassi è evidente che si dovranno trovare altre soluzioni. Il sistema legislativo inglese per fortuna è un po' meno complicato, più fluido: anche li si studiano misure emergenziali che diano un po’ di respiro alle attività economiche. E abbiamo una ventina di giorni di vantaggio per capire come presumibilmente evolveranno le cose anche al di là della Manica, per agire di conseguenza, tempestivamente».
Il gruppo vive quotidianamente situazioni molto diverse tra loro, e sono già abituati a considerare i locali in base alla loro autonomia. Non c’è franchising, ma un controllo diretto e capillare di tutti gli aspetti. A Bologna, Milano, Roma, Firenze, Torino e Verona si osservano dinamiche eterogenee, bisogna lavorarci singolarmente. «Valorizziamo le singole identità, appunto, e i punti di forza particolari di ogni locale. Dove abbiamo aperto più di una pizzeria, ad esempio a Milano, anche la posizione e il quartiere dove ci troviamo influenzano risultati e strategie: una funziona più a pranzo, un’altra va meglio a cena; esistono menu differenti (a Roma e non altrove, ad esempio, troverete i fritti)». A Londra invece, più che il discorso sulla qualità delle materie prime e lo storytelling che costruisci intorno abbiamo visto come contino la location e la posizione. Lì, inoltre e tanto per fare un esempio, utilizziamo formaggi più cheesy (li vogliono più filanti e straordinariamente grassi), per assecondare i gusti e le abitudini locali: a noi piace farci contaminare da culture diverse».
Radio Alice, ossia la versione londinese di Berberè
Dicono che "un ristorante è fatto mettendo insieme tanti piccoli niente”. Come un orologio, devi unire tanti ingranaggi, ognuno importante e indispensabile al funzionamento del tutto. «Sarà vitale pensare a nuovi equilibri capaci di bilanciare gestione economica e tener fede al mantra della qualità. Sosterremo ancor di più la filiera, in molti casi abbiamo rapporti decennali con i nostri fornitori. Se hai 15 pizzerie e ti viene da pensare se quell’ingrediente costoso che utilizzi venga davvero capito dai tuoi clienti, questo è il momento di togliersi ogni dubbio: le persone pretenderanno ancor di più l’eccellenza».
Delivery pizza al Berberè
«Aumenterà il volume di consegne a domicilio e take away, formule che già utilizzavamo con soddisfazione. Avremo qualche accorgimento in più: la nostra pizza cuoce più lentamente, in forno 3-4 minuti a 350 gradi, quindi non è una napoletana che cuoce a 500°. Per farle soffrire meno il trasporto (che abbiamo calcolato in 10-15 minuti) stavamo iniziando a provare un cartoncino ondulato da inserire tra la base della pizza e il box, in modo da far prendere meno umidità all'impasto. In Inghilterra è una soluzione che usano già tutti, stiamo ragionando per portare questa idea anche in Italia. Abbiamo sempre lavorato bene con consegne e asporti, quando abbiamo ripreso a farli non c’è stata un’“esplosione” per far fronte alle richieste del momento. Entrambi sono strumenti che vanno saputi gestire, ma non dimentichiamo che sono una soluzione temporanea e non definitiva per gestire le difficoltà che ci troveremo a vivere nel prossimo periodo».
abruzzese, classe 1979, nel mondo della comunicazione dal 2001. Negli ultimi anni ha maturato una specie di ossessione per la ricerca continua di cuochi emergenti. Mangia, beve, scrive: di territori e ingredienti, di produttori e cuochi. E scatta tante foto, per non dimenticare nessun particolare
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