Tutta improvvisazione: questa sono io, l'esatto opposto della razionalità. Alla Perla approdo, con un diploma di maestra, nel 1992. E' una tipica trattoria di mare a conduzione familiare: lì conosco Emanuele, che diventerà mio marito. La suocera sta in cucina con altre signore, io invece la mia prima stagione la faccio in sala, ma sempre incuriosita dai fuochi; mi avvicino piano piano a quel mondo nuovo, facendo prove su prove, sopratutto la notte. Così inizia la mia avventura, con orari massacranti. Parto da zero con la mia gavetta, osservo, imparo da quelle massaie le tecniche di base. Ma la mia sete di sapere è enorme, così frequento dei corsi con chef importanti, sopratutto per la pasticceria. Non posso però dire di essere l'allieva di nessuno, perchè sono un autodidatta.

In questa immagine la chef Deborah Corsi è immortalata insieme a uno dei suoi ingredienti preferiti: il pesce azzurro (le acciughe, in particolare)
La prova più grande è arrivata quando il ristorante è stato totalmente distrutto da un incendio a febbraio: improvvisamente abbiamo provato la sensazione di aver perso tutto. Però non potevamo darci per vinti, non volevamo piangerci addosso, perché la società non vuole questo, e i clienti ci hanno dato una carica pazzesca. Siamo ripartiti improvvisando una
Perla in versione
container, cucinando in 10mq, adattandoci a lavorare con poche cose. Eravamo in quattro nel
container, con un caldo disumano sulla sabbia selvaggia, ma ciò nonostante devo dire che è stato un anno magico.
La
Perla è rinata come la Fenice dalle ceneri. Un'esperienza come questa non può che farti crescere, rafforzarti: da quel momento in poi ho ampliato le mie emozioni e sensazioni, collegandole alle mie passioni, la pittura e la cucina. Una tela bianca come un piatto bianco, i colori a olio come delle colorate materie prime. Con dei pennelli o dei cucchiai si può creare partendo da un'ispirazione istantanea. Nascono così gli
Gnocchi soffiati di palamita, il
Domino, la
Medusa, lo
Spaghettone tra cielo e mare, il
Raviolo trasparente ai gamberi rossi,
Salmastro ed il
Mare nel vetro.
Il mio lavoro è un gioco di equilibrio, appena finisci hai subito voglia di ripartire, con più carica e adrenalina di prima. Questo è quel che cerco di trasmettere ai miei collaboratori per creare un clima armonico e sereno, perché con il sorriso tutto si affronta meglio: anche sedici ore di lavoro.
Essere donna in questo lavoro è dura. Non è semplice sopratutto se ci si sposa e si fanno dei figli, anche perché avere un ristorante porta alle stesse dinamiche dell'avere una famiglia: è come averne due! Però anche se gli chef uomini sono in maggioranza, chi vuole può farcela. Non vedo particolari ostacoli e non mi piace quando sento dire che le donne sono meglio degli uomini, o viceversa. Abbiamo semplicemente due modi di vedere e organizzare le cose, siamo i due famosi pianeti distinti, Marte e Venere. Da questo possono nascere delle bellissime collaborazioni, basate su grande stima e rispetto, come mi è successo nelle esperienze fatte fuori dalla mia cucina.
Per fortuna si sta trasformando il detto «la donna è cuoca e l'uomo chef»: fino a qualche anno fa sopravviveva questo pregiudizio, forse derivante dal fatto che per natura l'uomo è combattente e protettivo sia per la famiglia che per la sua carriera, mentre la donna è sempre stata dedita alla famiglia e alla tradizione, senza necessità di combattere all'esterno. Diciamo che se le cose ancora non si sono invertite, almeno ora si viaggia quasi in parallelo.
C'è una frase che mi piace leggere spesso: «Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile».
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