Orgoglio e pregiudizio. Tutto made in Italy, anzi in Vinitaly. L’orgoglio è quello di essere italiani, di poter proporre un panorama enologico incredibilmente vasto e variegato, con bicchieri di grande qualità. E tante storie di territori e viticoltori, sacrifici e soddisfazioni. Il pregiudizio è che Vinitaly sia una sorta di fiera degli “Oh bej oh bej” riportata al vino, esponenzialmente più grande. Questo lo dicono alcuni operatori che provengono dall’estero: “Eh sì, a Verona si parla, si chiacchiera, si mangia una fetta di formaggio e un po’ di pane…”. Gli affari? Anche, ma non è la questione principale.
Vero è che, purtroppo, ci sono ancora varie realtà che si presentano a Verona per fare spettacolo, solo per far apparire tutto bello e luccicante. Insomma, solo “chiacchiere e distintivo”. Ma il Vinitaly al quale ci piace credere – forse siamo un po’ creduloni – è quello delle piccole realtà che fanno fatica a prendere in affitto in fiera uno spazietto di 3 metri per 3, che quasi non ci entrano nemmeno un tavolino e un frigo per le bottiglie, e che possono solo contare su quello che hanno, cioè in quei vini che raccontano di storia e fatica.
Il vino va prodotto con passione, certo. Ma va anche venduto. E quest’anno sembra proprio che gli operatori professionali siano arrivati a Verona con ottime intenzioni. Anche solo per un fattore: i vini italiani piacciono e costano meno dei francesi. Non è una nostra considerazione astratta, ma un dato preciso. L’Italia è il primo paese al mondo per esportazione di vino, parliamo di 20,5 milioni di ettolitri di vino pari al 21% dell’export mondiale, ma solo il secondo in termini di valore, 5,1 miliardi di euro dietro proprio alla Francia, che si attesta attorno ai 7,7 miliardi, centesimo più, centesimo meno. E qui riemerge l’orgoglio italiano: ma è vero che il vino francese possa valere oltre il 50% più del nostro? Siamo noi troppo onesti o loro troppo cari?
Domande alle quali non si può dare una risposta “su due piedi”, ma il Vinitaly ha dimostrato che il nostro vino piace al mercato estero (quello italiano è fermo da anni, e la fine del tunnel non sembra intravedersi). E piace soprattutto il fatto di avere una grande varietà, di poter trovare centinaia di vitigni autoctoni e vini di identità. Di questo dobbiamo essere orgogliosi, dopo essere usciti dallo scandalo del metanolo di quasi 30 anni fa riuscendo, per una volta, non a nascondere i problemi della viticoltura, ma a ripartire con una vera e propria rinascita. Basta non ricadere negli errori di 30 anni fa.

Ultime considerazioni, con freddi numeri. In quattro giorni ci sono stati 150mila visitatori provenienti da 140 paesi del mondo, e 2.600 giornalisti di 46 nazioni. E l’appuntamento è per la cinquantesima edizione, dal 10 al 13 aprile 2016. Di mezzo c’è
Expo, con l’area vino curata sempre da
Vinitaly. L’occasione è quella giusta. Sempre che si sfuggirà alle insidie da “Oh bej oh bej”.
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