14-04-2024

Castello di Vicarello, una piccola rivoluzione spinta dall'entusiasmo

Brando Baccheschi Berti è entrato in azienda nel 2013. E si è appassionato alla terra e alle vigne, guardando al futuro

Brando Baccheschi Berti osserva le vigne del Caste

Brando Baccheschi Berti osserva le vigne del Castello di Vicarello

L’entusiasmo di Brando Baccheschi Berti, quando parla dei suoi vini, è come quello di un bambino che racconta di come è riuscito a costruire la sua nave da battaglia di Guerre Stellari con i mattoncini Lego. Perché, nonostante lui non sia enologo, ama studiare, approfondire, ricercare, affinché i vini del Castello di Vicarello possano essere sempre migliori.

Già un paio di anni fa (qui l’articolo) avevamo avuto modo di assaggiare i vini di Castello di Vicarello, notando come ci sia uno stile controcorrente rispetto alla tradizione toscana, e una voglia di migliorare giorno dopo giorno.

Il Castello di Vicarello è una struttura ricettiva di lusso

Il Castello di Vicarello è una struttura ricettiva di lusso

Bene, a due anni di distanza si sente che Brando Baccheschi Berti stia portando avanti la sua personale rivoluzione vitivinicola con costanza e caparbietà, andando a correggere gli errori e rendendo i vini sempre più moderni e bevibili.

L’occasione è stata un pranzo al ristorante Daniel Canzian di Milano, dove Brando Baccheschi Berti ha raccontato l’avventura iniziata in questa selvaggia e incontaminata zona della Maremma. «Il castello era un rudere, quando lo acquistarono i miei genitori – racconta – Loro lo hanno restaurato per farlo diventare il loro ritiro. Poi la struttura era molto grande e gli amici hanno fatto notare loro che lì c’era un bellissimo patrimonio, da aprire al pubblico».

I vigneti della tenuta

I vigneti della tenuta

Il padre di Brando, poi, aveva il sogno di rifare il vino come il nonno. Così decise di investire nelle vigne, con 6,5 ettari con impianti ad altissima densità (una media tra i 9.000 e 12.000 ceppi per ettaro, ma si arriva anche a 14.000). «Così le piante sono in grande competizione tra loro – spiega Brando Baccheschi Berti – per avere rese minori e qualità maggiore. Sono tutte ad alberello toscano, e non irrighiamo mai. Siamo bio fin da quando siamo partiti. La nostra zona è incontaminate: si tratta dell’area con meno densità di popolazione in Italia. I vigneti si trovano a circa 300-350 metri sul livello del mare, con il Monte Amiata a proteggerci e, dall’altra parte, i Monti dell’Argentario».

Qui entra in gioco l’entusiasmo di Brando Baccheschi Berti, entrato in azienda nel 2013 con una grande voglia di fare. «Abbiamo un’attenzione maniacale per la vigna, mentre in cantina, dopo la vendemmia a mano, facciamo una selezione con doppio tavolo di cernita, per avere solo uva perfetta». Senza contare che i vigneti sono circondati dai 40 ettari di bosco, ai quali se ne aggiungono altri 6 a ulivi.

Brando Braccheschi Berti e i vini degustati

Brando Braccheschi Berti e i vini degustati

Uno dei vini sui quali si è puntato recentemente è il Merah, voluto proprio da Brando Baccheschi Berti: «Il nome significa semplicemente Rosso in indonesiano, visto che i miei genitori hanno vissuto a Bali per 18 anni. È un Sangiovese in purezza, che affina per il 50% in acciaio e il 50% in botti da 35 ettolitri, solo rovere francese, come lo sono tutti i legni della nostra cantina».

Si tratta di un Sangiovese che sa di Maremma: annata 2021, immediato, per certi versi un po’ esuberante, con una particolare nota di macchia mediterranea, ma soprattutto dalla grande beva al sorso grazie a una presenza molto limitata dei tannini.

Nel Terre di Vico ci si sposta nel mondo dei Supertuscan: «In principio era solo Sangiovese e Merlot – racconta Baccheschi Berti – ma ora ho voluto metterci la mia impronta, ed è quindi diventato 65% Sangiovese, 25% Merlot e 10% Cabernet Franc». Vinificazione in troncoconico di rovere francese, poi tonneaux di legno nuovo e barriques di secondo e terzo passaggio per 18-21 mesi e poi bottiglia per 20-22 mesi.

Vigneti e ulivi del Castello di Vicarello

Vigneti e ulivi del Castello di Vicarello

Quindi c’è il vino più importante dell’azienda, che si chiama proprio Castello di Vicarello. «È una vigna di 1,1 ettari, a sé stante, con una densità di 14mila piante per ettari – spiega ancora – Abbiamo lavorato nel tempo per dare uno stile più moderno. Abbiamo il  45% di Cabernet Franc, 45% di Cabernet Sauvignon, e 10% di Petit Verdot, una parte fermenta in tino troncoconico, poi legno nuovo e bottiglia. Ne realizziamo 4.500 bottiglie».

L’assaggio dell'annata 2018 ci racconta di un vino austero ma anche moderno, che si presta ai lunghi invecchiamenti, ma che risulta già piacevole in abbinamento da subito. La 2011, con uno stile forse meno moderno, ci dà comunque l'idea della longevità di questo vino. 

Infine c’è il Poggio Vico 2020, il Malbec in purezza, con cloni argentini che hanno conferito a questo vino una grande precisione, freschezza, pulizia e profondità. Un argentino cresciuto all’ombra dell’Argentario, potremmo dire così.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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