23-11-2022

Borgo San Felice, un grande racconto della Toscana del vino (e non solo)

Chianti Classico, Bolgheri e Montalcino: i tre areali di produzione dell’azienda toscana ben si sposano in un unico abbinamento tra il primo albergo diffuso della regione con 60 camere e la cucina dello chef colombiano Juan Camilo Quintero

Tra le alture del Chianti e a pochi chilometri da Siena, sorge San Felice con il suo splendido Borgo nel comune di Castelnuovo Berardenga, oggi punto di riferimento dell'azienda toscana (di proprietà del gruppo Allianz dal 1978) che insieme alle tenute di Campogiovanni a Montalcino e Bell’Aja a Bolgheri raccontano un’idea collettiva di vino contemporaneo da 188 ettari, applicando il principio della viticoltura rigenerativa, autosufficiente dal punto di vista energetico e attenta alla tutela della biodiversità.

Un’azienda capace di rinnovarsi con uno sguardo alle tradizioni del territorio e uno pronto a recepire le novità: non è un caso, infatti, che proprio il primo supertuscan nel 1968, in un eterno trilemma temporale e di pensiero con il Tignanello e Sassicaia, sia proprio il Vigorello. Un Sangiovese in purezza simbolo di rottura con un sistema che prediligeva la filosofia del taglio con le varietà a bacca bianca, previsto dal disciplinare di produzione del Chianti Classico diventanto poi, nel 1979, un blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon e che oggi ha aggiunto anche l’autoctono Pugnitello, il Merlot e in piccola parte il Petit Verdot.

Proprio il Pugnitello (chiamato così per la forma del suo grappolo che richiama ad un piccolo pugno), riscoperto e studiato in collaborazione con le Università di Firenze e Pisa nei vigneti sperimentali di San Felice (Vitiarium), è il frutto concreto di decenni di ricerca e sperimentazione tesa a salvare e valorizzare il patrimonio genetico della viticoltura toscana con oltre 270 vitigni destinati all’estinzione. 

Prodotto in circa 10.000 bottiglie è diventato un ambasciatore del territorio e, grazie alla sua originalità, ben si abbina ai piatti della tradizione toscana riproposti proprio nel Borgo San Felice con le sue 60 camere (29 Premium Deluxe, 10 Prestige, 14 Suite, 5 Suite Premium, Suite Loggia e Suite Legnaia, restaurate in modo da coniugare storia e paesaggio a comfort e modernità) e nel ristorante L’Osteria del Grigio, espressione eloquente di un territorio che negli anni è diventato meta degli amanti dell’alta cucina e punto di riferimento nel panorama enogastronomico toscano.

Qui ben si inserisce l’altra proposta dei ristoranti, quello de Il Poggio Rosso, con una Stella Michelin (la guida 2023 ha assegnato anche la stella verde per la Gastronomia Sostenibile e il bel progetto dell’Orto Felice) guidato dall’executive chef Juan Camilo Quintero sotto lo sguardo discreto del pluristellato Enrico Bartolini (Carlo Passera ne ha scritto recentemente qui).

Una cucina con un focus ben chiaro sulla tradizione regionale e gli ingredienti del territorio ma che al contempo propone uno stile cosmopolita, grazie all’influenza sudamericana dello chef, ed una rilettura in chiave internazionale. D’altronde questo è proprio il sunto della mission di San Felice, raccontare la propria idea di toscana nel mondo grazie al vino come strumento di comunicazione di un territorio straordinario e offrire esperienze uniche sia nel borgo che nei ristoranti di riferimento presenti all’interno, capaci di emozionare e condividere storie e tradizioni con winelovers internazionali.

Nel corso della degustazione abbiamo avuto modo di assaggiare anche un’edizione limitata in sole 300 bottiglie del Brunello di Montalcino 2010 Le viti del 1976, prodotto anche nel 2007. Un vino davvero prezioso intriso di grande complessità aromatica, eleganza e concentrazione: profumi ampi e complessi che spaziano da foglie di tè e tabacco a frutti rossi e spezie. Avvolge il palato con tannini ricchi e setosi e fornisce un finale lungo, un vino di altissimo calibro che può sfidare il tempo.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Salvo Ognibene

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Salvo Ognibene

nato in Toscana ma cresciuto a Menfi (Agrigento), ama la pasta, la bici e la Sicilia. È laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna ed ha conseguito due master di cui uno in Marketing digitale alla LUMSA. Sommelier e giornalista, si occupa di comunicazione con attività di ufficio stampa e pr. Degustatore e collaboratore di guide enogastronomiche, è autore di 5 libri

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