31-07-2018
Dovevamo incontrare Carlo Cracco per parlare della sua partecipazione a un evento a Parma, a settembre, del quale vi daremo conto nei prossimi giorni. Una chiacchiera tira l'altra, ne è uscita una bella conversazione in cui lo chef più famoso d'Italia ha raccontato le proprie idee sulla nostra cucina del futuro. Delineandone un vero e proprio modello. (Carlo Passera)
Modelli vecchi e nuovi - «Partiamo dall'inizio: serve un modello di cucina italiana in grado di coniugare l'aspetto del prodotto e della tradizione, sul quale l'Italia ha moltissime carte da giocare, con la forza oggi trainante, che è quella degli chef. In base a questi assunti, provo a immaginarmi quello che può essere il futuro della nostra tavola. Diciamo innanzitutto ciò che non può essere: non può essere, per fare un esempio, La Buca di Zibello, dove è anche venuta a mancare recentemente la mitica Miriam (leggi qui). Quello è un modello di ristorazione familiare, che si perpetua nel tempo. Da preservare, certo, anche perché risulta molto adatto al nostro territorio, dove ci sono mille peculiarità, cucine diverse, una quantità di materie prime straordinarie, il radicamento di svariate tradizioni. Ma è uno schema che un po' mostra la corda; non ha ulteriori sviluppi possibili, anche perché la stessa famiglia italiana è cambiata, è diventata qualcosa di differente. Può restare certo una bellissima testimonianza, ancora valida; ma non il riferimento. Il futuro non può essere lì».
Articolare l'offerta - «Quando dico che "Massimo ne ha bisogno", voglio essere chiaro. Non si tratta solo (o non si tratta affatto) di completare un sistema, una struttura di business. Si tratta di venire incontro a una vera necessità del cuoco moderno italiano: oggi più che mai noi possiamo dire la nostra in tutti i campi che sono affini al nostro. Prima era tutto separato, diviso: chi era impegnato nella ristorazione non si occupava di caffetteria, e così via. Il quadro è cambiato: perché la professione del barman non può essere sviluppata all'interno di un ristorante? Non è solo business, dicevo, ma capacità/necessità di approcciarsi a diverse realtà, che sono però vasi comunicanti tra loro. Lavorare in modo sinergico: se ho bisogno di servire un cocktail come pairing di un piatto, necessito di un bravo barman. Ma non posso pensare di tenerlo lì solo per questo: e allora ben venga un ristorante che sia anche (o preveda anche) il cocktail bar. Lo stesso dicasi per la pasticceria. Io dico: perché suddividere e frammentare? Mettere invece insieme consente di essere anche più forti. Se ho nel mio staff un bravo pasticcere, un ottimo cioccolatiere, una persona che mi cura le lievitazioni, e così via, rendo il ristorante più forte, e nello stesso tempo creo livelli autonomi che vanno a differenziare la mia offerta».
«L’artista Patrick Tuttofuoco ha realizzato un’opera intitolata Heterochromic (Rosa e Carlo), in cui le lunette si trasformano in due occhi, il mio e quello di mia moglie, generando un unico individuo con due iridi di diverso colore»
Il cuoco totale 2 - «Il concetto da superare è che lo chef sia legato al proprio orticello, ai proprio sei tavoli, e basta. Se sono bravo a fare cucina di alto livello, devo essere anche in grado di creare un bistrot, un bar, una pizzeria, una pasticceria... In fondo l'alta cucina è la prova più difficile, tutto il resto va solo aggiunto al proprio bagaglio, in un continuo apprendimento perché il lavoro del cuoco non finisce mai, è sempre un imbarcare nuove conoscenze, cucine, sapori, temi. È il cuoco totale, che presidia tutti gli sviluppi del proprio settore. Prada ha comprato Marchesi 1824, Lvmh ha fatto lo stesso con Cova, insomma grandi brand della moda e del lusso sono impegnati nel mondo della caffetteria e della pasticceria, e io che sono chef non posso operare la stessa scelta? Deve venire uno che non fa il nostro mestiere, per fare il nostro mestiere? Dico di no: più professionalità ci sono e vengono messe a sistema, più si creano opportunità per tutti. Carlo e Camilla è nato proprio con questo intento: creare un locale dove poter mangiare e anche bere bene. E funziona: non è una forzatura, rientra nel territorio (allargato) dello chef».
A proposito di gelato - «Anche a noi hanno chiesto di farlo. Ma non mi sembra il momento giusto, preferisco per ora concentrarmi su cose che considero più prioritarie. Penso alla pasticceria: vediamo una grande risposta, persone che vengono qui in Galleria e portano via un vassoio di 10 brioche per i colleghi, al mattino. Non (solo) perché sono golosi, ma perché sanno riconoscere la qualità. È una soddisfazione enorme. Mi dicono: "È buonissima". Certo, lo so: è fatta bene, con ingredienti di livello, è fresca tutti i giorni, si fa e si finisce»
Testo raccolto da Carlo Passera
Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo? La meta è comunque golosa, per Carlo Passera
di
vicentino, classe 1965, inizia sotto la guida di Marchesi a Milano e di Ducasse e Carton in Francia. Nel 2001 apre a Milano Cracco Peck, poi divenuto solo Cracco, che nel febbraio 2018 ha traslocato dalla vecchia sede via Victor Hugo alla nuova in Galleria Vittorio Emanuele II. Noto anche come personaggio televisivo, è autore di bestseller come Se vuoi fare il figo usa lo scalogno (2012), A qualcuno piace Cracco (2013), Dire, fare, brasare (2014), È nato prima l'uovo o la farina? (2016)
Gita fuoriporta o viaggio all’estero? La meta è comunque golosa. Lo è perlomeno per il nostro Carlo Passera, alias Carlo Mangio. Un cibo succulento le sue parole, che stimolano curiosità e salivazione, pensieri limpidi, tanta sostanza per una delle penne più interessanti del panorama gastronomico nazionale