«Basta col “si chef”», ci dice Matteo Maenza. Non è un caso che durante la chiacchierata con questo gran professionista, pugliese di Trani, classe 1984, esperienze con Alain Ducasse, Anne-Sophie Pic e Jean-François Piège (ma non c'è solo la Francia: ha lavorato anche al Celler coi fratelli Roca) sia emerso forte il tema della gestione del personale, sempre più cruciale in ogni ambito della ristorazione ma forse ancor di più in quella d'hotel, per il resto comparto per molti versi a sé, in passato fratello povero (gastronomicamente parlando. Ma ricco, invece, come solidità imprenditoriale) di quella indipendente e oggi da tenere d'occhio perché epicentro di un'evoluzione interessantissima.
Maenza è da dieci anni giusti giusti, ossia dal 2013, executive chef di Lefay Resorts & Residences, gruppo italiano assai ambizioso e in crescita, come vedremo. Quando vi arrivò era poco più che un ragazzo e vi tradusse quanto aveva imparato in Francia, la famosa disciplina in vigore nelle brigate transalpine, quel metodo militaresco che fu introdotto dal mitico Auguste Escoffier, non a caso capocuoco al quartier generale dell'Armata del Reno durante la guerra franco prussiana (1870-71) e poi cuoco del generale Mac Mahon. Insomma: alfiere - per ragioni biografiche - di un'impronta rigidissima che ha funzionato per un secolo e mezzo, ma forse oggi i tempi sono cambiati.

La piscina del Lefay, l'occhio si perde nello sfondo del Lago di Garda
Ne è convinto
Maenza: «Oggi investiamo molto sul benessere del personale. Io venivo da una formazione francese, basata sul rigore assoluto. Ho approcciato allo stesso modo anche l’avventura al
Lefay, quando sono arrivato, nel 2013 (il primo hotel del gruppo, quello sul Garda, esisteva dal 2008,
Maenza sostituì
Maurizio Bufi,
ndr). All'apparenza andava tutto bene, peccato che dopo un po’ rischiassi di trovarmi da solo o quasi, perché già allora il "metodo francese" faceva scappare a gambe levate i nostri collaboratori». Così in qualche modo
Maenza al
Lefay ha dovuto anticipare la risoluzione di nodi che poi sono emersi in questi ultimi anni: «Abbiamo capito prima di altri quanto fosse importante gestire meglio le risorse umane. Ormai da anni investiamo su questo e ora c’è stato un ulteriore passo in avanti. Pretendere il continuo “sì chef” sarà appagante per l'ego dello chef, ma non serve a nulla, si può ottenere il rispetto e l'organizzazione della brigata anche attraverso altre vie, meno militaresche». Lo scorso anno
Top Employers, ente che dal 1991 si occupa di certificare le eccellenze aziendali in ambito
human resources a livello globale, ha inserito
Lefay Resorts & Residences tra le 131 realtà certificate: un traguardo prestigioso poiché solo le aziende più virtuose in termini di condizioni di lavoro, benefit, piani di carriera, investimenti, formazione, sviluppo e politiche di crescita professionale e umana sono considerate meritevoli di tale riconoscimento.
IL GRUPPO E IL GRAMEN - Siamo voluti partire da questo aspetto, nel nostro racconto, perché
Lefay ci è apparso un modello possibile nel segmento dell'alta hôtellerie che approccia con sempre maggiore interesse anche l'alta ristorazione.
Lefay è nato nel 2006 per iniziativa di
Domenico Alcide Leali e della sua consorte
Liliana: il primo, già impegnato nell'azienda di famiglia, le
Acciaierie e Ferriere Leali Luigi di Odolo (Brescia), è anche stato fondatore nel 1989 della compagnia aerea
Air Dolomiti, ora nel gruppo
Lufthansa. Con
Liliana, laureata in Architettura, ha pensato e creato un gruppo alberghiero - il
Lefay, appunto - con l'ambizione di diventare il brand italiano di riferimento nel mercato internazionale della vacanza-benessere di lusso, attraverso la creazione di una collezione di eco-resort all'insegna dell'
italian style & living. Oggi
Lefay significa,
oltre alla "casa madre" sul Lago di Garda, a Gargnano, Brescia (nel cuore della Riviera dei Limoni, si estende su un parco naturale di 12 ettari tra dolci colline e terrazze naturali impreziosite da ulivi e boschi. Dispone di 96 suite, bellissime), anche una
seconda gemma aperta nell'agosto 2019 a Pinzolo, dunque tra le montagne trentine, nell'area di Madonna di Campiglio, alta Val Rendena, la località si sdraia su una piana prativa fra il gruppo dell'Adamello a Ovest e quello del Brenta a Est. Ma altre aperture sono programmate, nel 2025: una in Toscana, a Montalcino, e una in Svizzera, a Crans-Montana. Cantieri in corso.
La nostra attenzione, che va soprattutto all'aspetto edibile delle storie, si è focalizzata sul Lefay Lago di Garda per la recente apertura - aprile di quest'anno - di Gramen (dal latino: stelo, gambo, erba), il ristorante gastronomico che ha affiancato La Limonaia - già di buon livello, era presente nella nostra Guida negli scorsi anni - d'approccio più quotidiano, con cucina mediterranea. Gramen è una bella sfida: proporre uno scatto in avanti nella proposta ristorativa del gruppo, ma partendo da una sottrazione, infatti Maenza qui si preclude la possibilità di utilizzare carne, latticini e loro derivati per concentrarsi invece sul pescato e sull'universo green fornito dagli orti. Dunque non un indirizzo vegetariano, ma dove il vegetale diventa protagonista.

La Limonaia al Lefay Lago di Garda

Linguine ai frutti di mare a La Limonaia, cucina mediterranea (e più semplice) al Lefay Lago di Garda
LO STILE DELLA CUCINA - Ci spiega
Maenza: «Quando abbiamo pensato a un indirizzo gastronomico al
Lefay Lago di Garda, abbiamo subito stabilito di volerci differenziare del tutto rispetto al
Grual, ossia il ristorante principe (l'altro si chiama
Dolomia) del
Lefay Dolomiti a Pinzolo. Quello è un resort dall’anima molto sportiva, mentre qui sul Garda risulta essere più olistica, connessa al mondo della spa da 4.300 metri quadrati, ai giardini che circondano la struttura, agli orti. Quindi il
Grual è basato soprattutto sul territorio, ossia cacciagione, carne in generale, pesce d’acqua dolce. Qui abbiamo deciso di basarci invece sul mondo vegetale e su quello del mare. In realtà abbiamo sempre lavorato molto sulle verdure; ora ci siamo spinti oltre, fortificando una tendenza che già era presente». Il
Lefay Garda dispone di un patrimonio di 12 ettari, in cui ogni campo ha caratteristiche particolari e «dunque possiamo contare su aromatiche a volontà, abbiamo una signora che aiuta nel foraging... Quanto agli ortaggi, ci forniamo pure da piccoli produttori locali bio».
L'ASSAGGIO - Maenza - che si divide tra Gargnano e Pinzolo, quindici giorni là, quindi giorni qua - come già detto è pugliese, dunque ha la verdura nel dna, nella nostra chiacchierata con lui abbiamo ricordato le considerazioni fatte con Massimo Santoro, gran cucina veg a Ostuni, leggi qui. Ha intuizioni molto brillanti: come il burro in accompagnamento all'ottima panificazione, burro ovviamente veg quindi di cacao aromatizzato al limone, una chicca che gli copieranno in tanti. Eccellenti anche la Tartelletta con maionese al salmoriglio e bacon di ricciola, un appetizer, e poi nel cuore della cena la declinazione della capasanta (prima in una più mainstream Capasanta marinata, salsa dei suoi coralli, carote marinate bianche e arancioni, finocchietto, caviale d'aringa e poi nelle ricercate Trippe di capasanta, besciamella di pinoli e olio alla menta, sfiziosità deliziosa); il carnoso Cefalo, acqua di cetrioli, fiori di cappero, bottarga di tonno, morso di livello; il fantastico Collare di spigola al bbq con salsa yakitori, semi di zucca e misticanza (idea veg+fumo)... E il dolce Tagete (spuma di crema cotta al tagete, quenelle di gelato allo zafferano, infuso idroalcolico di chartreuse, disco di caramello). Molto dice della sua cucina anche lo Spaghettino al nero (cotto in brodo di carota viola ossidata, poi alga dulche cristallizzata e alga nori), ossia una pasta vegana: spaghettino Benedetto Cavalieri che diventa punto d’incontro perfetto tra veg e mare, in una centrifuga di carote di Polignano che si ossidano.
Ottimo anche il servizio, col maître Salvatore Silvestro e il sommelier Gioele Di Gianni. In una sala molto bella (a La Limonaia, che bravo Alessandro Bassi, classe 1999 da Verona). L’idea è chiara e arriva al tavolo, si riconosce l’impronta. Maenza è credibile.
E ora tutta la nostra cena, negli scatti di Tanio Liotta.

Chips di scorzonera all'essenza di betulla

Il giardino: carota selvatica, tarassaco, boraggine, finocchio, salsa di carciofi e china

Tartelletta con maionese al salmoriglio e bacon di ricciola

Wafer di pomodoro, fragole e fragole fermentate

Cannolo di rapa rossa ripieno di ricotta di latte di mandorla e lime

Cono di bieta, crema allo zafferano

Biancomangiare con daikon e fichi fermentati

Cardo, besciamella di pinoli, trombette della morte, salsa verde, cerfoglio

Capasanta marinata, salsa dei suoi coralli, carote marinate bianche e arancioni, finocchietto, caviale d'aringa

Trippe di capasanta, besciamella di pinoli e olio alla menta. La "trippa" è di barbe di capasanta cucinate poi come una trippa classica

Cefalo, acqua di cetrioli, fiori di cappero, bottarga di tonno. Il pesce viene marinato a secco; l'acqua di cetrioli è montata con salamoia di fiori di cappero. Gusto nitido

Spaghetto al nero: lo spaghetto è cotto in brodo di carota viola ossidata, poi alga dulche cristallizzata e alga nori

Farfalle, salmone, panna e piselli: un classico degli anni Ottanta riproposto in modo diverso. La panna è una crema di cicale di mare, il salmone essiccato

Filetto di spigola, crema di zucca al vermouth rosa, chips di zucca. Il pesce è cotto alla lampada, dunque a bassa temperatura (attorno ai 50°)

A parte, il collarino della spigola al bbq con salsa yakitori, semi di zucca e misticanza

Moscardino quasi alla Luciana: lo chef non utilizza il pomodoro ma una salsa di prugne fermentate. Il piatto è accompagnato da foglie di cappero e olive taggiasche

Brasato di cavolfiore con fondo di verdure, scalogno, aceto di lamponi e quenelle di hummus di lupini. Il cavolfiore viene cotto prima sottovuoto con mix di verdure, poi saltato in padella

Rocher: sfera di cocco e burro di cacao, agrumi caramellati, sorbetto al pompelmo

Tagete: spuma di crema cotta al tagete, quenelle di gelato allo zafferano, infuso idroalcolico di chartreuse, disco di caramello