Sembra una follia, ma Yoji Tokuyoshi è (anche) una specie di Aimo Moroni contemporaneo, tanto per restare a Milano. Non nello stile e nei piatti, certo: non potrebbero essere più diversi. Nell’approccio alla materia prima, nella curiosità da esploratore dei giacimenti gastronomici del Paese. Solo che, a differenza di Aimo, lo fa con occhi - anzi, occhiali rigorosamente tondi - diversissimi: quegli che gli derivano dal passaporto nipponico, che è elemento di partenza per la sua japanese way, da coniugare però con la profonda esperienza formativa da Massimo Bottura e tutto quello che questo può voler dire.
In tal senso,
Tokuyoshi – sul quale s’ascoltano i pareri più contrastanti. Noi, tanto per chiarire, lo stimiamo molto – è una gran risorsa per la tavola della Penisola: perché si dedica quasi a tempo pieno all’ascolto della nostra anima gastronomica, per riportarla, mutata, in una sua versione completamente personale,
fusion o
contaminata che si voglia dire. Strada impervia, ambiziosa e irta di difficoltà, che però non frenano lo chef, intento a ricercare la sua personale visione di cucina d’autore.

Uno scatto storico di Massimo Bottura e Yoji Tokuyoshi, quando il secondo era sous del primo all'Osteria Francescana
Che questo sia il percorso – chiaro nella sua mente – lo conferma quanto ci ha detto recentemente, al termine di una gran cena
nel suo ristorante: «Presto mi avvarrò di un “
food curator”. E’ un’idea nuova, credo per me necessaria: un cuoco che lavori per me e abbia un compito preciso, quello di battere la Penisola alla ricerca degli alimenti migliori, dei fornitori perfetti, dei prodotti quasi impossibili da trovare. Ecco la necessità di una figura specifica» che
Yoji già sogna di mandare in Sicilia, in Sardegna, e poi via via nel resto della Penisola, che è uno scrigno di buono spesso in attesa ancora del suo
Livingstone. «Tra qualche anno questa esperienza potrà diventare un libro». E che libro!

Arriva un cartone della pizza al tavolo...

...che nasconde una finta pizza di riso soffiato
C’è concretezza e sogno, nei progetti di
Tokuyoshi. Già racconta di come, tra aprile e maggio, ospiterà due pescatori direttamente dal Giappone, perché lui cucina, certo, ma è anche un osservatore delle differenze tra culture gastronomiche e un teorico del loro incontro. E poi di come, a luglio e agosto, girerà il mondo, in tanti ristoranti, per altrettanti eventi a quattro mani.

Tokuyoshi mentre prepara il babà
Il
suo locale di via San Calocero rimarrà chiuso, anzi sarà un cantiere aperto, per la verità: «Lo rifaremo completamente». Una grande cucina a vista ne diverrà il cuore, sarà al centro dello spazio, dove oggi ci sono le postazioni dedicate all’impiattamento e alle preparazioni fredde; attorno, tanti sgabelli per mangiare al bancone, con vista sui fornelli, quindi i tavoli veri e propri, disposti come fossero due “L” che si toccano sul lato lungo. Lo spazio intero si allungherà e si allargherà, alla fine verranno ricavati circa 10 coperti in più inglobando nuovi metri quadrati sul lato dell’attuale entrata; la quale, peraltro, verrà spostata all’estremità opposta. «Rimarrà il verde come colore distintivo. E’ il mio preferito, lo tengo».
Tiene anche alcune intuizioni che ormai caratterizzano i pasti da lui: i brodi, spesso vegetali, in accompagnamento alle portate; l’estetica dei piatti spesso monocroma ed estremamente curata, come per quello nella foto d’apertura di questo articolo, Lingua & coda. Vi aggiunge una maggiore struttura, che rimanda alla sedimentazione dell’azzardo iniziale: il “puro stile Tokuyoshi” del quale avevamo parlato poco più di un anno fa si fa largo, convincente. (La nostra cena nella fotogallery. Gli scatti sono di Tanio Liotta).