Chiacchieri con Alfio Ghezzi del suo stile di cucina e lui, che ha studiato letteratura a Trento prima di essere travolto da un’altra passione, quella per la cucina, se ne esce con un paragone: «Si dice a proposito di Eugenio Montale che il poeta unisce un momento assertivo, la pura rappresentazione di oggetti, eventi e personaggi, e uno riflessivo; quest’ultimo è il flash che ha bisogno di un commento, di una spiegazione. Credo che il cuoco debba sviluppare entrambe le fasi», ossia un legame ben comprensibile con la materia, il piatto, il gusto, e poi – ma senza prescindere dal primo – la variazione d’autore, quello che possiamo chiamare il colpo da maestro, magari non immediatamente intellegibile perché risponde in qualche modo a una sua propria “poetica” profonda.

La sala della Locanda Margon: vi lavorano Alexander Valentino Nikolaev, origini bulgare, e il sommelier Simone Colasuonno
E’ in questo percorso che s’inserisce la cucina dello chef della
Locanda Margon a Trento, gran luogo del gusto italiano illuminato recentemente dalla seconda stella: c’è in ogni piatto qualcosa di immediato, quasi didascalico, una piacevolezza non scontata né banale, una rotondità che dialoga con qualsiasi tipo di commensale. E non per una ragione meramente strumentale, per risultare cioè più “facili” e apprezzati da chiunque. Bensì (anche) per una precisa scelta di campo: «Parto dalla tradizione perché la mia base è il territorio. In questi anni ci siamo fatti influenzare troppe volte da troppi stimoli che venivano dall’estero: la cucina tecnoemozionale, la molecolare, la nikkei, la nordic… Io dico invece: Italia».
La “sua” Italia è quella dello splendido ambiente circostante, il patrimonio agroalimentare di un Trentino «che vanta una straordinaria ricchezza climatica, si va dal clima temperato, quasi mediterraneo, che si gode per decine di chilometri, da Riva del Garda in su, fino all’alta montagna. In questo spazio così diverso il cuoco può raccontare tante storie, coi suoi piatti» e recuperare – lui che è nato nel 1970 a Breguzzo nelle valli Giudicarie, quattro case a due passi da Tione, dove insegna all’alberghiero, tra il lago e Madonna di Campiglio – quelli che sono i ricordi d’infanzia, «come quando il fiume Sarca era pescosissimo e andavamo a caccia di straordinari pesci d’acqua dolce: salmerini alpini, trote marmorate e poi i temoli».

Temolo in graticola, frutte e verdura in agrodolce, crema di pastinaca e mandorle
Propone questi ultimi in una sua ricetta eccellente e suadente, «ora sono d’allevamento, ma di grandissima qualità: uso quelli che mi fornisce
Trota Oro, acquacoltura in acqua viva, pulita. Si tratta di pesci abituati all’acqua fredda, sviluppano quindi una carne soda», compatta, squisita (lui la cuoce sulla graticola, ne nasce una portata perfetta, che richiama le fondamenta stesse del gusto e viene arricchita di frutta e verdura in agrodolce per una nota croccante e un punto di necessaria dolcezza-acidità, ma poi – viene in mente quello che si è detto per
Montale – c’è pure il tocco della crema di pastinaca e mandorle che completa una portata d’alta cucina).

Locanda Margon è il ristorante della famiglia Lunelli, i signori delle bollicine Ferrari in località Ravina. Imprescindibile l'abbinamento con le bollicine maison, c'è anche un eccellente menu specifico
«Devo confessare che negli ultimi tempi sono un po’ statico nel menu: c’è poco tempo per tutto, è difficile trovarne per ideare piatti nuovi. Mi coinvolge molto la formazione dei cuochi di domani, alla scuola di Tione (in effetti la sua brigata è giovanissima, spesso formata da suoi allievi meritevoli, che dai banchi vengono proiettati al bistellato, previ stage in altre grandi cucine,
ndr)»:
Ghezzi, che è persona umile, lamenta una stasi che appare in realtà stabilità, garanzia. Alla
Locanda Margon i piatti sono sicuri, strutturati, sedimentati, persino molto molto generosi nelle porzioni, a percorrere un percorso appunto estremamente italiano, una via tutta nostra all’alta cucina perché siamo il Paese della trattoria e della nonna, del prodotto e delle radici gastronomiche.
Vien da pensare: tutto ciò non è un limite. E' un tracciante per un possibile modello futuro di tavola tricolore che ha due ultimi addentellati necessari: «La generosità del cuoco (lui non dice mai chef, ndr) che si presta a cucinare un unico ingrediente in più modi diversi, a sperimentarne la versatilità», e nella nostra cena è capitato con l’asparago bianco. E poi il suo gusto, il suo impegno a rendere più interessante ciò che la natura gli/ci ha già donato.
(Nella fotogallery di Tanio Liotta gli esiti felicissimi a tavola)