Non vuol essere una guida, ma ne ha tutto l’aspetto. Nelle sue pagine si trovano infatti il cocktail bar realizzato all’interno di una chiesa sconsacrata, quello allestito in un’antica cantina medicea o in un appartamento e persino quelli creati dentro una funicolare e nel locale che ospitò il più antico cinema sonoro d’Italia. C’è il locale che serve solo prodotti made in Italy, quello che sembra una farmacia e quello che pubblica una “gazzetta” con le novità dietro il bancone. È un autentico viaggio mixologico tra il sacro della "Divina Commedia" e il profano di "Amici Miei" il volume “Toscana da Bere” (ed. Il Forchettiere, 280 pagine) di Federico Bellanca e Marco Gemelli.
Il libro offre una fotografia dello stato della mixology contemporanea in Toscana, a partire dai 70 migliori cocktail bar, in un racconto che oscilla tra i palazzi rinascimentali in centro a Firenze e le cantine del sale medicee del porto di Livorno, fino alle stalle papali di Pienza.
Nell’anno del centenario del Negroni e in un momento di profonda espansione del settore – testimoniato da eventi come la Florence Cocktail Week o EgoCircus - la voglia di raccontare il mondo dei drink di qualità ha portato i due autori a esplorare bar, hotel, ristoranti e distillerie per incontrare gli uomini e le donne che con la loro passione continuano a tener viva la tradizione del buon bere miscelato così come quella della liquoristica.
«Un viaggio – spiegano
Bellanca e
Gemelli, raccontando come il volume sia lo spin off dell’omonima rubrica sulla testata
Il Forchettiere - dove storie, luoghi e personaggi si mischiano come gli ingredienti di un buon cocktail in un bicchiere».
Nelle pagine di “Toscana da Bere” non mancano le storie imprenditoriali delle piccole e grandi aziende made in Tuscany legate alle materie prime: c’è la “signora della grappa” di Paganico (Gr) e il militare livornese che nel deserto afghano ebbe l’intuizione di produrre liquori allo zafferano, ci sono i due giovani produttori fiorentini di vodka alla canapa e l’ideatore dell’unico rum toscano sulla costa, nonché l’imprenditore pratese che ha riesumato liquori perduti o quelli che da Massa a Firenze hanno rinnovano amari d’antica tradizione come il vermouth, la china o il Ronchi Pichi.

«Gli Italiani – spiegano gli autori - dovrebbero iniziare a porre sui cocktail la stessa attenzione che da qualche anno c'è sul vino, poiché anche i primi possono essere espressione del territorio, di un'identità e di valori precisi. Come gli chef usano il fuoco per trasformare la materia, così i bartender fanno lo stesso con il ghiaccio: ma se a livello di cucina la distinzione (anche semantica) tra uno chef, un sous chef e un commis è chiara, nel campo della mixology il 'barista' resta ancora il barista a prescindere da dove operi e cosa faccia. Ecco perché siamo convinti che in questo campo, in Italia ci siano margini enormi di crescita culturale, e che i bartender siano la frontiera di un cammino che ha visto trasformarsi in star prima gli chef e poi i pizzaioli».
Oltre ai cocktail bar, nel volume trovano posto le interviste al cantautore
Gino Paoli (fotografato da
Alessandro Moggi), al re delle notti fiorentine e versiliesi
Gianni Mercatali, alla curatrice della
Florence Cocktail Week Paola Mencarelli o a
Luca Picchi, il maggior esperto al mondo del Negroni.
Uno spazio speciale è inoltre dedicato ai ristoranti che mostrano un’attenzione particolare alle cocktail list, nonché ai “pairing d’autore”, ossia gli abbinamenti tra i tre drink più richiesti e i piatti signature dei più apprezzati chef e pizzaioli toscani.