11-12-2014

Mona, la Disneyland dell'arte

Gli ospiti di Restaurant Australia si sono ritrovati a tavola nelle caverne di un museo unico

Così sono stati accolti gli invitati alla cena di

Così sono stati accolti gli invitati alla cena di Restaurant Australia, venerdì 14 novembre a Hobart in Tasmania. Sbarcati sul molo, tutti hanno risalito la lunga scalinata che porta all'ingresso del Mona, il Museum of Old and New Art al cui interno era imbandita una splendida tavola a forma di serpente. Prima però tutti ad ammirare all'ora del tramonto uno straordinario gioco di fiamme

(Continua dalla terza puntata)

E quando tutti si sono sentiti sazi, pronti per qualcosa che non fosse accomodarsi a tavola per la cena vera e propria, tutti a bordo di uno yacht dal nome difficile da esibire in Italia: Mona Roma. Ma eravamo in Australia, in una nazione dove Pippa è un nome proprio femminile. Ci sta bene insomma anche Mona, acronimo di Museum of Old and New Art, ma chissà perché Roma. Comunque, un altro braccio di acqua a risalire il fiume Derwent per attraccare al molo di un museo dalla storia speciale. Lo ha pensato e voluto David Walsh, classe 1961, uno che è riuscito a mettere insieme un’importante fortuna sviluppando un fior di sistema per scommettere sui cavalli senza finire disarcionato. Tutt’altro.

Una storia quasi unica perché il museo sorge in località Berriedale, una dozzina di chilometri a nord di Hobart, in quella che era (ed è tuttora) un’azienda vitivinicola, la Moorilla Estate Wines. La fondò nel ’58 un italiano, Claudio Alcorso, classe 1913, un italiano che le tempeste della vita spiaggiarono presto in Australia. Anti-fascita, per non piegarsi emigrò a Sydney. Poi la seconda guerra mondiale lo spinse ancora più ai margini, a Hobart. Walsh lo affiancò finanziariamente fino alla sua scomparsa nel 2000, poi il comando passò a lui.

Un anno e nel 2001 apre il Moorilla Museum of Antiquities, altri tre e nel 2004 ecco una birreria, la Moo Brew, accanto alla cantina. Nel 2007 il museo viene chiuso e rifatto completamente. Riaprirà nel gennaio 2011 e il successo è clamoroso perché non ha nulla del classico museo d’arte. Scavato nella roccia, sembra spingersi nelle viscere della terra. L’hanno definito una versione per adulti di Disneyland. C’è del vero come c’è dell’invidia, perché la verità è che strega fino a essere diventato la meta più visitata dell’intera Tasmania.

Per la cena del 14 novembre, Walsh, da perfetto anfitrione, non solo ha rispolverato il tavolo del suo (ex) matrimonio, ma lo ha allungato perché potesse accogliere più di trecento persone, un serpente in vetro in una caverna artificiale che ha accolto il passaggio più impegnativo per i tre chef. Un conto è far andare code di gamberi sulla carbonella e un altro preparare tre piatti di alta cucina in una situazione precaria, con tutti da tutto il mondo a giudicarti.

E così siamo al terzo capitolo di Restaurant Australia, quello più importante perché Shewry, Gilmore e Perry sono stati chiamati a muoversi lungo quella linea appena accennata, che uno coglie e non coglie, posta lì a separare la cucina come obbligo fisico per non sparire dall’arte come sublimazione di un piacere assoluto dell’anima e del cuore. Nessuno era lì per sfamarsi o per capire quanto fossero bravi i cuochi. E il fatto di trovarsi in un museo d’arte era un chiaro ribadire che cibi e vini australiani sanno andare oltre la buona tavola, il piacere di un buon pasto da raccomandare agli amici.

Tre portate e sei vini, bianchi e rossi scelti perché rappresentassero l’intera mappa produttiva nazionale, esaltando con i vari abbinamenti “l’eleganza e lo stile, il gusto della cucina australiana”.

Per trovare un neo, l’ago perso in un pagliaio, è mancato un occhio di riguardo al mondo delle verdure, un andare oltre uno degli antipasti di Shewry, la piccola pannocchia di mais.

4. Continua


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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