22-10-2022

Viviana Varese e Cristina Bowerman: «Cambiare la ristorazione si può, ma solo se ognuno fa la sua parte»

Riflessioni a ruota libera di due chef-ristoratrici: «Giovani cuochi, imprenditori, politici: le difficoltà post-covid si superano con l'impegno di tutti»

Viviana Varese (ViVa Viviana Varese, Milano) e C

Viviana Varese (ViVa Viviana Varese, Milano) e Cristina Bowerman (Glass Hostaria, Roma), protagoniste settimana scorsa a Identità Golose Milano con due cene a quattro mani

Nella settimana che si sta chiudendo, due importanti cuoche italiane hanno intrecciato i rispettivi mestieri al ristorante di Identità Golose Milano. Ne è nato un buonissimo menu degustazione a doppia firma, i cui piatti, già descritti in una nostra anteprima, sono nuovamente immortalati in fondo a questa pagina.

Ma limitarsi a parlare di gusti e tecniche con Cristina Bowerman e Viviana Varese è lo stesso che guardare il dito e non la luna. Poche imprenditrici, infatti, sanno parlare con schiettezza di tutto quel che rende possibile ogni creatività e somministrazione di un piatto in tavola. Di impresa e ristorazione, cioè, due scatole cinesi in questo biennio abbondante provate da una serie di avversità senza precedenti.

La cuoca pugliese di Glass Hostaria e la collega e amica salernitana di ViVa gestiscono aziende, rispettivamente, di 15 e 28 persone nei due ristoranti di Roma e Milano. Ma i dipendenti delle imprese sono ben di più perché Bowerman ha aperto anche a Smirne in Turchia e a Xi’an in Cina mentre Varese dà lavoro ad altre 15 persone a Villadorata, in Sicilia. Un’ottima premessa per parlare a ruota libera di problemi e soluzioni del tempo complesso che viviamo.

IL FUTURO BREVE. «Credo che il covid e la guerra», esordisce Bowerman con un punto di vista interessante sullo scenario generale, «abbiano prodotto nei giovani una certa incapacità a inquadrare il futuro a lungo termine, a concreatizzare progetti a scadenza larga. Prevale un’instabilità che si privilegia il breve termine. Vincono i pop-up, i prodotti di ristorazione a termine, come i mobili di Ikea o i vestiti di Zara. Ma io credo che oggi più che mai occorre sforzarsi di elaborare piani dotati di fondamenta solide. Progetti che possano durare a lungo».

GLI STAGISTI. Per realizzare i progetti, occorre che la gente sia motivata a lavorare. In tempi di drammatiche carenze del personale, si è accesa una profonda discussione sul ruolo degli stage e degli stagisti nell’alta ristorazione. «Agli inizi è essenziale per tutti un periodo di pratica», chiarisce ancora la cuoca pugliese, «ma, anche se il mio sous chef è entrato come stagista 13 anni fa, non sono quasi mai propensa a prenderne. Principalmente per un motivo: il suo costo non dovrebbe ricadere sul datore di lavoro ma sulle scuole. Oggi all’alberghiero si fanno solo poche ore di pratica alla settimana, è ridicolo. Il praticantato deve poter diventare propedeutico all’ottenimento del diploma». «Sono d’accordo», ribatte Varese, «perché mai un medico e un architetto impiegano decenni prima di poter esercitare e un cuoco no? Ciò premesso, per noi gli stagisti sono una risorsa fondamentale: il 90% di loro viene assunto perché li responsabilizziamo fin da subito. Sono seguiti costantemente da una nostra persona e non fanno fotocopie ma mettono subito le mani in pasta. Sono una risorsa di cui non potrei fare a meno e per questo cerco di valorizzarla e motivarla in ogni modo. Riconoscendo loro da 600 a mille euro al mese, provvedendo all’alloggio, distribuendo equamente le mance senza trattamenti privilegiati».

I COLLOQUI. Cosa chiedete a cuochi nei colloqui di assunzione? «Oggi», spiega Varese, «il mestiere è diventato così impopolare che siamo al paradosso per cui sono i ragazzi a fare il colloquio al datore di lavoro. Comunque, per me un requisito essenziale è che nel curriculum non siano elencate tante esperienze brevi: sono molto più felice quando leggo che si sono fatti le ossa per uno o due anni nello stesso posto». «Sono d’accordo con questo: è meglio poi se un ragazzo ha lavorato in un ristorante piccolo, svolgendo più mansioni, che in uno iperfamoso, dove sei spesso costretto a una sola partita», aggiunge Cristina, «Personalmente nel colloquio faccio sempre una domanda: perché vuoi diventare cuoco? Se la risposta mi piace, ti metto in prova, pagato, per vedere se sei compatibile col gruppo esistente, la cosa più importante. Se sei una primadonna o uno sfaticato, potresti creare fratture, a danno di tutti».

AZIENDE, NON FAMIGLIE. Al di là dei colloqui e delle proposte per vincere la crisi di vocazione dei ragazzi, aleggia nella chiacchierata una tesi dominante: negli ultimi anni la ristorazione è cresciuta tantissimo ma non così la cultura manageriale di chi la regge. «C’è un problema di fondo», riflette Viviana, «storicamente la ristorazione italiana ha una genesi di stampo familiare. È molto spesso il frutto del sogno di moglie e marito che aprono e si mettono in sala, o cucina a seconda, senza guardare troppo ai conti. Ma la cucina è sempre più un’impresa complessa: lo so bene io che col covid ho dovuto gestire 600mila euro di debiti in 3 mesi. Mi sono ritrovata con una macchina costosa improvvisamente in panne e ho dovuto apprendere un altro mestiere, quello dei conti da far quadrare, per farla ripartire. A noi italiani manca la cultura aziendale, dovrebbero insegnarla nelle scuole. Siamo un popolo di gente semplice, legata a una concezione di ristorazione datata. E invece dovremmo insegnare a scuola cosa sono le buste paga, quali sono i diritti e i doveri, a cosa servono le tasse».

LE TASSE E IL NERO. Le tasse, tema sempre spinosissimo. «Noi dobbiamo acquisire cultura d’impresa», riprende il filo Bowerman, «ma prima ancora lo stato deve cambiare le normative che regolano il mercato del lavoro. Faccio un esempio semplice, per cui mi attirerò quasi sicuramente delle critiche: per me è assurdo che esistano i contratti stagionali. Tu impieghi una persona da marzo a ottobre, le assegni uno stipendio ben più alto della media - e spesso neanche tutto in busta. Terminato il periodo questo lavoratore si mette spesso in disoccupazione, lavorando però anche in nero un po’ qua e un po’ là fino all’anno successivo, quando avrà la certezza matematica di essere nuovamente assunti dal datore di lavoro stagionale. Dovrebbe esistere una normativa che impedisse di lavorare stagionalmente per due o tre anni di fila dallo stesso datore di lavoro». «Il nero è un problema serissimo per la ristorazione e non c’è differenza tra nord e sud», specifica Viviana, «dilaga ovunque in modo impressionante». «La politica dovrebbe però chiedersi», interviene ancora Cristina, «perché i ristoratori fanno così tanto nero? In molti casi per poter sopravvivere, perché gli utili di fine anno sono spesso inferiori alle tasse che devi pagare. Occorre lavorare affinché gli imprenditori siano messi nelle condizioni di non obiettare sulle tasse».

LEGGI AD HOC. La politica, insomma, dovrebbe occuparsi di più della ristorazione, inquadrando il cambiamento epocale con normative ad hoc, adatte e flessibili: «La ristorazione», spiega Viviana, «non ha i ritmi prevedibili di un ufficio o di una fabbrica: ci sono momenti in cui non fai nulla alternati ad altri di iper-operosità. Non possiamo imbrigliare i ristoratori in vincoli rigidi». «Pur facendo un mestiere diversissimo», aggiunge Bowerman, «siamo inquadrati sotto lo stesso contratto nazionale dei commessi o dei metalmeccanici». Ma perché la ristorazione dovrebbe avere attenzioni che altri comparti non hanno? «Perché ha un indotto che corrisponde, in modo diretto e indiretto, a circa il 30% del pil del paese», precisa Cristina. Una ragione più che sufficiente, ci pare.

Sotto il pane, la spuma all'olio di Viviana Varese

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Spugna di mare: cozze al burro nocciola acidulo, mandorle di Noto e dragoncello, Viviana Varese

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Tortelli di coniglio stufato, cocco curry verde, fagioli di soia, buccia di lime e polvere di olive, Cristina Bowerman

Tortelli di coniglio stufato, cocco curry verde, fagioli di soia, buccia di lime e polvere di olive, Cristina Bowerman

Zucca di Hokkaido al barbecue, gelato all’alloro, spuma di olio di semi di zucca e semi di zucca tostati, Viviana Varese

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Pop corn, frutti acidi e dulce de leche, Cristina Bowerman

Pop corn, frutti acidi e dulce de leche, Cristina Bowerman


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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