Leonor Espinosa
La trota d’estate di Ana Roš
Guida alla Guida I 36 cocktail bar della Guida di Identità
Al centro tra Marco Reitano e Massimo Bottura, Alessandro Pipero, 44 anni, da febbraio 2017 al timone di Pipero Roma in corso Vittorio Emanuele II, una stella Michelin
Avevamo incontrato Alessandro Pipero al Foodexp di Lecce, poche settimane fa. Il patron romano aveva espresso concetti importanti su ristorazione e ospitalità, al fianco di autorevoli colleghi. Sono temi che lo coinvolgono da sempre. «Ma io sono solo un cameriere», si scherniva, «non faccio nulla d’incredibile: i fenomeni sono Leonardo e Totti. Però ci sono delle cose che mi preoccupano e che vorrei dire». Ne è nata un’intervista con tanti spunti interessanti. Cosa la preoccupa? Tante cose. Più di tutto, che gli aspiranti ristoratori aprono spesso senza avere consapevolezza di quello che li attende. Quasi mai compaiono business plan. I ristoratori pensano che i costi principali vengano dagli stipendi, dall’affitto, dal gambero rosso pregiato. Ma sfugge loro sempre qualcosa di cruciale. Aprono solo per euforia o per dimostrare qualcosa, quando i pensieri da fare sarebbero altri. Perché succede? Perché non esiste né una vera cultura né un'educazione precisa della ristorazione e dell’ospitalità. I ristoranti li aprono quasi solo i cuochi e non i camerieri. Una volta era il contrario. Camerieri o maître oggi non sono invogliati perché sanno che, entro un anno o due, i cuochi probabilmente se ne andranno. Quanti ristoranti, oggi, portano il nome del maître in Italia? Oltre al mio mi vengono in mente l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, Lorenzo in Versilia e poco altro. Quasi tutti hanno il nome dello chef. Ma un cuoco, per quanto geniale, non ha quasi mai una visione complessiva di un'attività. E' un momento complicato per maître e camerieri. In che senso? Le faccio un esempio. Ieri sera sono andato a mangiare in una trattoria vicino a casa mia. Ero stanco, volevo rilassarmi. Ho chiesto un primo vino, mi hanno detto che non c’era. Ne ho chiesto un secondo, bianco, e il cameriere è andato a cercarlo tra i rossi. Mi ha guastato l’umore, che era già precario. Un altro esempio: l’altro giorno avevamo chiamato al ristorante un cameriere nuovo. A un certo punto gli ho chiesto di andare a prendermi un mollettone da tavolo. Mi ha portato una molletta grande, di quelle per stendere i panni. L’ho mandato a lavorare da Buffetti. Mancano gli esempi? Sì. Di certo non li trovi nei libri degli istituti alberghieri, che insegnano a fare cose che al ristorante non si fanno più: canard à la presse, crepe suzette, il servizio alla lampada. Poi i ragazzi vanno a lavorare in un ristorante stellato e si sentono come pesci fuor d’acqua, con il cliente che quasi sempre ne sa più del cameriere. Uguale sarebbe se chiamassero me oggi ad andare a lavorare alla Apple.
Con Heinz Beck, chef della Pergola di Roma
La sala di Pipero Roma
Prima della sede attuale, dal 2011 al 2017 Pipero era all'hotel Rex di Roma. Nel biennio precedente il ristorante era ad Albano Laziale
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo