«In questi 6 anni, il registro di Tickets è cambiato tantissimo. Inizialmente volevamo fosse un bar, ma nel tempo è diventato molto più che un ristorante: ora esprime un concetto a sé. Non so che limiti può avere perché ho un team che migliora ogni giorno».
Gongola Albert Adrià, coordinador gastronomico di uno dei locali più intelligenti e di successo della scena mondiale. Un’insegna di quartiere, informale e chiassosa, che fa alta cucina. Un vortice da 1.000 tapas a sera, preparate da 55 professionisti che s’infilano negli interstizi tra cucina, banconi e tavolini, telecomandati come neanche succedeva nel Barça di Guardiola.
Ne beneficiano un centinaio di clienti seduti su panchine in ferro, indecisi se prestare attenzione ai magnifici bocconi che si alternano sotto al naso, alle isole circensi governate da sommelier vestiti da domatori di leoni o a carrelli di gelato che sbuffano azoto liquido su ruota.

Albert Adrià, 48 anni, coordinatore gastronomico di Tickets e di altri 5 ristoranti a Barcellona (foto @ticketsbar instagram)
Al ristorante bisogna andarci per mangiare bene (benissimo) ma anche per assistere a un'esperienza che dovremmo ricordare nel tempo. Questo i fratelli
Adrià lo pensano da sempre: «L’ironia, lo spettacolo e la performance», scrissero a suo tempo al
punto 21 del manifesto del
Bulli, «sono assolutamente lecite». Per questo, chiusa nel 2011 l’epoca di Cala Montjoi,
Albert e
Ferran non hanno mai pensato di rassegnarsi al mortorio post-crisi che spense improvvisamente i sorrisi di cuochi e ristoratori, costretti per esigenze di bilancio a silenziare l’euforia della tecnica e concentrarsi solo sul prodotto.
Nel marzo del 2011,
Living la vida tapa, il refrain di
Tickets (una stella Michelin poco dopo), ha cominciato a scuotere di allegria
el Barri attorno all’avenida del Parallel, un amore per la micro-cucina con partiture nuove che due anni dopo ha aperto la strada alla cucina
nikkei di
Pakta (altra stella), alla rilettura perfetta delle
case da comida catalane
Bodega 1900. Ancora, nel 2014 alla taqueria
Niño Viejo e alla cucina d’autore di
Hoja Santa (terza stella), per
Grant Achatz «le due migliori insegne di cucina messicana fuori dal Messico». Un quadro che è completo con
Enigma, l’insegna più ambiziosa aperta nel febbraio scorso, un pasto in più atti ancora a caccia di una trama compiuta.
«Sei ristoranti (più
Heart a Ibiza,
ndr), 200 dipendenti e non perdiamo soldi», riassume bene
Albert Adrià le cifre della società aperta con
Ferran e i fratelli
Iglesias, che si chiama proprio
elBarri. Con l’ammiraglia
Tickets che detta l’esempio, mettendo in pratica anche la seconda parte del famoso punto 21: «Ironia e performance sì, purché non siano gratuite ma rispondano o si colleghino a una riflessione gastronomica».
Nel percorso di 27
tapas imboccato due settimane fa (
tutti i dettagli nella fotogallery in alto), abbiamo troviamo prodotti formidabili di estrazione patrizia (caviale, foie gras, astice, wagyu) e popolare (la pelle di pollo, il cetriolo di mare); icone
bulliniane (le olive sferificate e l’airbaguette di jamon iberico, già in carta al
Bulli) e scoperte nuove (tutto il resto); tecniche globali (il panko, il dashi, il “sushi”) ed esplorazioni locali (il formaggio
manchego, la
regaña). Tutto concorre a definire un bar di quartiere che fa godere di dannata gioia.