23-03-2023

Doppia brigata, psicologo in squadra e trasmissione del sapere ai giovani: la lezione di Joan Roca

Il cuoco catalano: «La ristorazione non è mai stata un grande business, né mai lo sarà. Ciò non vuol dire che non si debba cercare di migliorare, giorno dopo giorno»

Joan Roca, 59 anni, chef patron del Celler de Can

Joan Roca, 59 anni, chef patron del Celler de Can Roca di Girona, in Spagna. Qui è immortalato nel corso di una cena a 4 mani con l'amico e collega Paco Perez, ristorante Arco a Danzica, Polonia

Nella ridda di stelle e classifiche cui tutti ambiscono, c’è chi porta avanti silenziosamente il proprio lavoro, navigando in una dimensione parallela. El Celler de Can Roca, tre stelle Michelin dal 2010 e primo ristorante World’s 50Best per due volte, è nella cerchia degli intoccabili: praticamente imprenotabile, gioca un campionato differente, possiamo dirlo.

Joan Roca, chef e titolare del Celler insieme ai suoi due fratelli, è un professionista pacato, quasi timido nel raccontare di sé. Una grande umiltà di fondo e una personalità predisposta all’ascolto e al confronto. Lo abbiamo incontrato in occasione di una cena a quattro mani nel ristorante elegante Arco by Paco Perez, a Danzica, in Polonia. Roca e Perez sono amici di vecchia data, condividono la stessa passione per la terra, per la tradizione spagnola e contano entrambi su squadre di giovani appassionati e ambiziosi.

Buongiorno Joan, quali scelte avete fatto per migliorare l’organizzazione del lavoro, le condizioni dei dipendenti?
Abbiamo due brigate distinte: una si occupa del pranzo, l’altra della cena. Il nostro è un mestiere logorante, con orari complicati: appena ce lo siamo potuti permettere, abbiamo fatto questa scelta. Allo stesso tempo, da circa 8 anni c’è una psicologa che lavora a stretto contatto col nostro team. Non è una consulente individuale ma è specializzata nell’analisi e risoluzione dei conflitti e delle tensioni di gruppo, che inevitabilmente si creano. Abbiamo ragazzi molto giovani, pieni di energia, competitivi, di nazionalità diverse: occorre dare spazio a tutti, farli sentire parte di un progetto comune. È un aspetto fondamentale per l’armonia complessiva e il mantenimento costante della qualità.

Joan Roca e Paco Perez

Joan Roca e Paco Perez

La chiusura del Noma ha sollevato un dibattito sulla natura del fine dining: c’è chi sostiene che, ad altissimi livelli, non sia più sostenibile. Lei che ne pensa?
Non posso esprimere un giudizio definitivo perché non conosco così bene la realtà del Noma. Ho comunque massimo rispetto per la sua scelta. Penso che gestire ristoranti di questo tipo non sia facile ma nemmeno impossibile. Ogni realtà esprime un mondo a sé e René Redzepi ha preso una decisione molto ben ponderata. E sofferta, probabilmente. Credo che per far funzionare macchine di questo tipo occorre avere un modello definito e applicarlo con costanza e precisione. È fondamentale trovare la formula giusta e non ne esiste una sola ma una combinazione di tante. Una cosa è certa: in termini economici, i benefici sono ridotti. La ristorazione non è mai stato un grande business, né mai lo sarà.

In termini di sostenibilità, tempo fa avete presentato Tierra Animada. Di cosa si tratta esattamente?
È un progetto botanico di recupero delle vecchie sementi e piantumazione di nuove piante e specie. Coltiviamo cinque ettari di proprietà, con personale assunto, dedicato allo studio, alla sperimentazione e alla formazione. La squadra scientifica lavora con noi da oltre dieci anni e stiamo collaborando da 5 anni con un chimico professionista: con lui abbiamo sviluppato un progetto di distillati che debutterà presto sul mercato. Mi preme sottolineare che la ricerca che conduciamo non è solo finalizzata al piatto, alla ricetta, ma riguarda il nostro piccolo universo in senso ampio. Ogni giorno in cucina tre persone testano tecniche, salse, abbinamenti, cotture. È un lavoro costante, che non si ferma mai. Dico sempre ai miei ragazzi che la cosa importante è arrivare a casa la sera stanchi ma non stufi.

I giovani di Arco

I giovani di Arco

Da un punto di vista gastronomico, quali evoluzioni dobbiamo attenderci da un ristorante di riferimento come il vostro?
Il nostro obiettivo è impegnarci a essere un modello per le nuove generazioni e per i nuovi business. L’esempio è la più alta forma di insegnamento, è vero, ma dobbiamo batterci per trasmettere la conoscenza nella maniera più vicina alla forma accademica. Formazione e innovazione: è qui che si gioca la ristorazione del futuro. Nel passaggio della visione, della mentalità, dell’approccio. Chi ha successo e gode di benefici, anche economici, deve fungere da apri pista, da vera e propria guida.

Come si immagina il Celler tra 10 anni?
Ottima domanda! Se la salute ci accompagna, immagino ancora noi fratelli, tutti e tre, uniti dalla passione e magari coi figli al nostro fianco. Anche se hanno studiato tutt’altro, sembra che vogliano intraprendere questa carriera seriamente e io non posso che esserne felice. Abbiamo fondato la il Celler 36 anni fa: nonostante le difficoltà, e pensando a quanto è cambiato il mondo, non abbiamo mai perso la volontà, l’ambizione, la serietà.


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Chiara Buzzi

piemontese di ferro, classe 1986, laurea in Economia per i beni culturali, dopo anni di militanza nei locali milanesi, è co-titolare insieme a Edoardo Nono del Rita & Cocktails - storico American bar di MIlano e del Rita’s Tiki Room, spin-off caraibico polinesiano aperto nel 2019. Viaggia per passione, lavora per passione, mangia con passione

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