19-03-2024

Disobbedienza, creatività, senso di responsabilità: la doppia masterclass di Guidara, Pavan e Brutto

Sul palco di Identità Milano due percorsi differenti, uniti da uno spirito affine: la Cucina ambientale di Venissa a Mazzorbo, il manifesto Cook more plants dello chef dei Tenerumi a Vulcano

Alla fine della doppia masterclass, la foto di gru

Alla fine della doppia masterclass, la foto di gruppo: da sinistra, Francesco Brutto, Chiara Pavan, Davide Guidara e Carlo Passera, che ha condotto la lezione
(Tutte le foto sono di Brambilla / Serrani)

Giovani, carini e sostenibili. Molto sostenibili. Anche se con percorsi e filosofie diverse. Chiara Pavan e Francesco Brutto e Davide Guidara animano il pomeriggio del lunedì 11 marzo sul palco dell’Auditorium di Identità Milano con il fermo immagine dei rispettivi itinerari. E se vengono un po’ mossi non è colpa del fotografo ma è perché loro sono in continua evoluzione.

Francesco Brutto e Chiara Pavan

Francesco Brutto e Chiara Pavan

Partiamo da Pavan & Brutto, che a Venissa, sull’isola veneziana di Mazzorbo, stanno portando avanti un percorso ragionato di disobbedienza. Dapprima partito dall’idea, nell’epoca della libertà, di imprigionarsi in regole molto rigide (tra esse «l’uso di sole specie invasive, la limitazione massima dello scarto») e poi è approdato alla disobbedienza al quadrato di negare sé stessi e uno dei dogmi autoassegnatisi, quello dell’autosussistenza totale grazie al loro orto di 500 metri accanto al ristorante. Spiega Francesco: «In otto anni a Venissa abbiamo visto dei cambiamenti abissali, fa paura vedere quello che sta accadendo in laguna. In seguito a due eventi ambientali molto gravi, l’acqua alta del 2019 e la siccità del 2023, siamo andati in difficoltà. Ma lo stesso avveniva anche a nostri amici che ci avevano supportato fino ad allora. Così abbiamo deciso di salvarci vicendevolmente». La conseguenza è stata quella di creare un network di produttori, ciò che ha anche aumentato «il nostro alfabeto, prima arrivavamo alla G e con poche lettere si possono comporre poche parole».

Non un tradimento ma un adattamento. «La siccità - parla Chiara - ci ha messo davanti a una verità: non possiamo davvero produrre tutto da noi, non in un microterroir come il nostro. Abbiamo coinvolto altre persone che ci sono vicine e li abbiamo coinvolto nella produzione di ortaggi per il nostro ristorante, mettendo la figura dello chef al centro della comunità agricola». Ecco quindi la collaborazione «con due ragazzi, Luca e Andrea, che a Sant’Anna di Chioggia selezionano semi, vanno in giro per gli orti dei loro paesi, trovano ortaggi particolari, ne prendono i semi, fanno le piantine, le mettono i campi, selezionano le linee più pure». Da loro Chiara Pavan e Francesco Brutto hanno preso la verza marinanta scartata, per realizzare il piatto che mentre parlano preparano sul palco. «La verza marinanta assomiglia al cavolo cappuccio – spiega Pavan – ma è molto coriacea, cruda non si riesce a mangiare. Quindi la sbollentiamo e cuociamo come fosse una scaloppina, ma invece del limone usiamo la Dorona, l’uva del vitigno riscoperto e reimpiantato a Mazzorbo, che noi fermentiamo al 2 per cento. Con la stessa verza facciamo anche un kimchi».

Nel piatto ci sono anche dei fiori di mandorlo sottaceto e della portulaca di mare, ingredienti che rappresentano il risultato di altri due focus di Venissa. Nel primo caso si tratta di dare un senso alla fioritura troppo precoce di un mandorlo, che va a vuoto perché a febbraio non ci sono insetti impollinatori. Nel secondo caso si tratta di erbe alofite, che costituiscono un grande tema. «Negli anni la loro presenza è cresciuta esponenzialmente – spiega Brutto – a causa della maggiore salinità dell’acqua, sono molto saporite e quindi le usiamo».

Alla fine è questa l’idea di "cucina ambientale" che i due portano avanti, un modo per alimentare la biodiversità e rigenerare l’ecosistema, ciò che nella laguna veneziana ha un maggiore significa perché, conclude Chiara, «Venezia è un hot spot, qui il problema del cambiamento climatico si vede di più. Noi chef possiamo essere il centro sia a livello comunicativo, sia perché possiamo cercare di usare quello che c’è a disposizione». E se «questo va un po’ contro la libertà che avevamo prima», è solo a fin di buono.

Davide Guidara, e Onofrio Pagnotto sullo sfondo

Davide Guidara, e Onofrio Pagnotto sullo sfondo

Pochi minuti per riflettere, ed ecco arrivare sul palco Davide Guidara, chef dei Tenerumi di Vulcano, che si permette il lusso di farsi assistere da Onofrio Pagnotto, chef dell’altro ristorante stellato del Therasia Resort sull’isola delle Eolie, Il Cappero. Guidara parte timido poi si scalda. Il suo tema è il manifesto Cook more plants, che lui stesso ha articolato in sette punti per definire la contemporanea cucina vegetale. Sul palco di Identità Milano 2024 porta una carrellata di quattro piatti legati ad altrettanti tipi di disobbedienza. La prima è la disobbedienza tecnica, "impiattata" in un fungo cardoncello, che viene lavorato trasgredendo alla regola che lo vuole lavorato a fiamma alta per addomesticarne la spugnosità. «Noi invece abbiamo deciso di lavorarlo in maniera completamente diversa, lo secchiamo poi lo reidratiamo, così un enzima rompe l’Rna e alza la percentuale di acido glutamico, che dà sapidità». Non contento, Guidara lavora il fungo in osmosi per trattenere la maggiore quantità di liquido, rappresentato da un "vino" creato con funghi, lupini per la parte proteica, zucchero, lievito di Chardonnay. Il fungo viene grigliato e potenziato con il boost di una glassa di porcini ossidati e di olio all’escabeche. Un'amplificazione dei sapori che è il solo scopo della tecnica, «quella fine a sé stessa non mi interessa».

La seconda disobbedienza è quella chimica. Guidara profana la tradizionale diffidenza dell’alta cucina per la chimica utilizzando la naringinase, enzima utilizzato nei succhi di agrumi per stemperarne l’amaro, per addomesticare un radicchio cotto intero e poi macerato sette giorni a macerare sotto sale e aceto. «Dopo una settimana è più morbido e meno spigoloso». Per non campare quieto Davide ha un talentaccio e sceglie di lavorare con il naringinase anche una glassa di pompelmo arrostito. Amaro meno amaro più amaro meno amaro. Se l’equazione non vi torna non importa. L’importante, anche qui, è il sapore.

Capitolo tre: disobbedienza di struttura, applicata a un pomodoro di cui Guidara decide di non rispettare la struttura («ma chi l’ha detto che si deve toccare il meno possibile l’ingrediente? Io sono un cuoco, il mio lavoro è manipolare la materia prima!») creando un luna park di consistenze che si esprime nei datterini concentrati, a cui una lavorazione nella calce dona una texture tenace come quella di una prugna secca, nella crema di datterino concentrato, nella salsa di pomodori alla griglia e nell’olio di raspo.

Ultima disobbedienza, la ricerca del nuovo. In questo caso un piatto di soli semi (di soli semi?). Semi di girasole ossidati bolliti con il bicarbonato, vengono lasciati 12 ore a temperatura ambiente e ossidati, ciò che ne toglie il grasso dei semi. «Volevo una consistenza callosa, da nervetto di vitello, abbiamo lavorato con un altro enzima, l’amilase, che permette una coagulazione all’interno dei chicco». Poi un beurre blanc di semi di papaveri fermentati al 2 per cento. Quindi dell’olio di vinaccioli, che fa la parte del poliziotto buono del piatto, del vino bianco, un olio di semi di zucca tostati e infine un burro fatto solo con il seme della zucca. Semi lasci non vale.


IG2024: la disobbedienza

Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.

a cura di

Andrea Cuomo

Romano ma ora a Milano, sommelier, è inviato del quotidiano Il Giornale. Racconta da anni i sapori che incontra

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