21-03-2024

L'esordio di Identità di Pesce al Congresso: le masterclass della mattina

Guido Paternollo, Hirotoshi Ogawa e Jacopo Ticchi hanno raccontato a Identità Milano 2024 tre percorsi professionali molto diversi tra loro, uniti dall'impegno nel celebrare la materia prima ittica

Guido Paternollo di Pellico 3, il maestro Hirotosh

Guido Paternollo di Pellico 3, il maestro Hirotoshi OgawaJacopo Ticchi della Trattoria Da Lucio: sono stati i tre protagonisti della prima edizione di Identità di Pesce
(Tutte le foto sono di Brambilla / Serrani)

Un’intera giornata dedicata a un genere alimentare preciso, il pesce. Si è tenuta lunedì 11 marzo, in Sala Blu 1, ultimo dei 3 giorni del congresso di Identità Milano, al MiCo di via Gattamelata. Un incontro con protagonisti attivi sull’asse Italia-Giappone, due paesi i cui confini sono delimitati interamente o quasi dall’acqua salata. «Il pesce è una tema dominante nelle nostre preferenze per la cena», ha spiegato Paolo Marchi, «piace indistintamente e ci accompagna sempre: per questo abbiamo deciso di istituire un’intera giornata di lezioni con protagonisti importanti». In questa prima parte, raccogliamo i racconti delle tre masterclass della mattina.

 

GUIDO PATERNOLLO - Pellico 3, Milano

Ad aprire la terza giornata di Identità Milano in sala Blu1 inaugurando così la serie di 6 “lezioni” aventi per tema la cucina di mare, ci ha pensato Guido Paternollo chef del Pellico3, ristorante dell’hotel 5 stelle lusso Park Hyatt a Milano. Con una laurea in ingegneria alle spalle, Paternollo ha confessato di aver compiuto un plateale gesto di disobbedienza mollando quella che pareva una carriera già tracciata, per inseguire il suo sogno, un sogno che lo aveva folgorato sulla via della cucina e portato ad incontrare mostri sacri come Alain Ducasse ed Enrico Bartolini. Tornando al presente, lo chef e la sua brigata hanno preparato due piatti dal carattere deciso ma estremamente equilibrato che hanno saputo conquistare prima l’olfatto e poi il palato del pubblico (nonostante l’orario: eran pur sempre le 10:30 del mattino).

I piatti proposti, oltre che di gran spessore tecnico dimostrano anche forte valenza etica: Paternollo infatti si è voluto concentrare sul “quinto quarto di mare”, preparandoci la cosiddetta Trippa di baccalà (in realtà la vescica natatoria del pesce) soffritta, con fagioli di Controne presidio slow food, riprendendo così la ricetta della più nota trippa di vitello con fagioli. La capasanta invece è stata la protagonista assoluta del secondo piatto, accompagnata dalle sue trippe, cime di rapa, navet confit.
Mario Pennelli


HIROTOSHI OGAWA - Sushi Association Sushi Skills

È stato grazie alla lezione del maestro Hirotoshi Ogawa che il pubblico del congresso ha potuto assistere a una breve ma concentrata lezione sull’arte del taglio. Ogawa è direttore della AJSA, All Japan Sushi Institute, realtà che forma chef e operatori del settore nel trattamento corretto del pesce crudo. L’AJSA è l’unica associazione di questa tipologia che viene riconosciuta dal governo giapponese e opera in più di cinquanta paesi in tutto il mondo compresi Sud Africa, Australia e Sud America. Il mercato del pesce di Tokyo, che molti conoscono ancora come Zukuji ma che oggi viene chiamato Toyosu, è ancora lo smercio più grande al mondo di pesce fresco. Qui vengono maneggiate 410.000 tonnellate l’anno di pesce, per seicento tipologie differenti con il coinvolgimento di circa quattrocento grossisti. 
Il pesce fino a qualche anno fa veniva pescato e fatto morire per assideramento in cassette di polistirolo, coperto da una montagna di ghiaccio. Sono ancora diverse realtà che applicano questo sistema, chiamato NO-JIME, ma fortunatamente sempre più professionisti si affidano al metodo IKE-JIME. Una pratica che anche diversi chef italiani hanno iniziato ad adottare e che consente di agire sul pescato con un trattamento decisamente più conservativo della freschezza dei tessuti, e quindi sul gusto finale. 

L’Ike-jime indica una modalità di uccisione del pesce che consta di tre momenti differenti. La morte celebrale del pesce (NOU_JIME), viene provocata con un punteruolo in acciaio che consente di far rilassare immediatamente l’animale e impedire il rilascio di acido lattico. Il sangue continua a circolare nel corpo, tant’è che dopo il primo passaggio si procede a tagliare la seconda branchia (CHINUKI), quella più vicina al cuore, dove circola più sangue. In questo modo il flusso sanguigno viene fatto interamente drenare e solo a questo punto il pesce viene messo in acqua e ghiaccio. Infine, il terzo passaggio (SHINKEI-JIME) prevede che con l’aiuto di un filo di acciaio si rompano le terminazioni nervose della spina dorsale. Una morte veloce, che consente di conservare il pesce anche fino a due settimane preservandone non solo una purezza di gusto ma anche le proprietà organolettiche. «Nonostante queste azioni possano sembrare trucide, il nostro agire sul pesce nasce da un grande atto di rispetto verso queste creature e in qualche modo per cercare di rendere loro omaggio nel migliore dei modi» racconta il maestro Ogawa

A questo punto, è il momento del taglio. «Se nel mondo si usa cucinare il pesce a vapore, fritto, bollito o alla griglia, in Giappone cuciniamo con il coltello». I coltelli stessi sono una delle artigianalità maggiormente tramandate e preziose nel Sol Levante proprio perché la fattura di questi strumenti è pensata per diminuire lo sforzo, rendere più comoda la postura e ottenere un risultato migliore. Osservando una sezione 1:350 di una porzione di pesce tagliata con una lama giapponese a confronto di una nostrana, si notano una pulizia e una compattezza superiori, una maggiore definizione della carne, che si ritrovano in bocca nella masticazione e nella texture complessiva del boccone. I tagli possono essere diversi: usuzukuri (per una porzione sottile e fine), hirazukuri (per un taglio diagonale e uno spessore maggiore), sogizukuri (ottenuto usando la lama del coltello quasi in orizzontale), kakuzukuri (per quando si taglia in verticale portando il coltello verso sé stessi). A seconda della stagione cambia il pesce, cambiano le verdure di accompagnamento, possono variare i decori e le forme gli abbinamenti cromatico con le quali la materia prima viene presentata sul piatto. Molto più di un piatto di pesce, il crudo in Giappone è un’arte da interiorizzare e rispettare. 
Chiara Buzzi


JACOPO TICCHI - Da Lucio, Rimini

Da 4 anni c’è a Rimini un’insegna dedicata al pesce senza barriere, che rifugge ogni regola e costume. Il suo nome è Da Lucio e il suo chef e patron si chiama Jacopo Ticchi, un giovane che ha dedicato il nome del ristorante al figlio, e sopratutto a quell’infanzia dove non abbiamo nulla alle spalle ma tutto davanti, una fase della vita in cui impariamo sbagliando, disobbedendo. Ticchi, nel tempo, ha sviluppato un pensiero personale sul pesce, e su tecniche di lavorazione che regalassero godimento al cliente. Lui, ricercatore per eccellenza del pesce fresco, aggiunge una fase intermedia tra l’acquisto e il servizio del pescato, quella della maturazione, tecnica essenziale fatta di attese più o meno lunghe, capaci di regalare alla carne la sua vita migliore per consistenza e gusto. «20, 52, 7 giorni di maturazione, sono puri numeri, esercizi di stile. I tempi dipendono dal singolo pesce, dalla sua provenienza, dall'essere magro o grasso, se con uova o meno», dichiara Jacopo.

«Il pesce ha bisogno di noi. Dobbiamo impegnarci a dare giustizia, succulenza, al pescato, sopratutto se di dimensioni importanti. Come sul maiale, ogni angolo del pesce è importante e con una cottura e destinazione specifica». Così Ticchi ci presenta il suo menu degustazione, senza barriere che ostacolino il servizio di nessuna parte del pesce, dal filetto alto a quello basso, passando per il collare, la testa, la pancia e tutte le frattaglie. Si compone di 5 atti fatti di un piatto principale e dei suoi contorni in condivisione: Crudo, Brace, Bollito, Fritto e Pasta, perché Da Lucio il dessert è uno Spaghettino al fegato di seppia e le sue gonadi che ci manda a nanna. Con l’occasione ci porta l’esempio di una Gallinella di Civitanova che disseziona come il migliore degli anatomopatologhi, raccontando nel dettaglio i pregi di ogni singola parte: dalla coda, così muscolosa, al filetto medio, grasso a tal punto da risultare ideale se cotto alla brace, fino al collare, punto incredibile, dove si uniscono le due pinne, saporito e ricco di collagene e ancora la ventresca, che essendo molto magra rende meglio se bollita.

Mentre incanta la platea, ecco arrivare l’assaggio: Rana pescatrice frollata e lasciata cruda, con la sua pelle e mazzancolla, la quale accentua il sapore naturale della rana e ne rafforza il gusto. Jacopo non si limita a questo: gli ultimi minuti dell’intervento si riempiono del racconto di alcuni esempi di piatti del percorso degustazione, dalla Terrina di pelle dei pesci di scarto alle frattaglie, un “tesoro nascosto” da trasformare in patè e altre bombe di sapore. E la salsa per il pesce arrosto? Da Lucio si estrae dalla carne dei pesci più poveri e la si addensa con le uova della sogliola. E la frittura? Non è sinonimo di croccantezza ma di veicolo rapido di cottura della carne della coda, muscolosa e tenace.
Francesca Feresin


IG2024: la disobbedienza

Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.

a cura di

Identità Golose