18-03-2024

Margherita Sbagliata e tutte le altre disobbedienze: Franco Pepe spiega come significhino evolversi

La carriera del maestro di Caiazzo è costellata di svolte controcorrente, che hanno anche attirato le ire dei tradizionalisti della pizza. Ma Margherita Sbagliata, Ananascosta o Acquerello Capriccioso oggi sono nuovi classici...

Franco Pepe con Paolo Marchi, sul palco di Identit

Franco Pepe con Paolo Marchi, sul palco di Identità Milano 2024. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani

Diciamolo subito: alla fine di questa cronaca, scopriremo che Franco Pepe riesce a fare una pizza anche senza un vero e proprio forno. Più disobbediente di così!

In una sala Auditorium gremita, il pizzaiolo casertano ha vissuto Identità Milano per la tredicesima volta, come ha ricordato Paolo Marchi, che lo ha accompagnato nella masterclass.

Pepe esordisce così: «Vorrei fare un focus sulla mia personalissima disobbedienza, partendo da alcune suggestioni esterne». Viene quindi proiettata la definizione di “disobbedienza” secondo la Treccani e poi lanciato un contributo di Paolo Crepet, noto psichiatra e scrittore, che narra di come, negli anni 50, John Fitzgerald Kennedy vinse le elezioni anche grazie a una camicia azzurra, indossata al posto dell’omologata camicia bianca d'ordinanza (che, unita ai vestiti monocromatici, faceva sembrare tutto triste e grigio nelle foto dell’epoca). C’è anche una frase di don Lorenzo Milani: “Disobbedire è una virtù". Trasportato all'oggi, si può tradurre: insegnate ai ragazzi di non fare tutto quello che vuole la rete. «In questi concetti rivedo la mia Margherita Sbagliata. Ci sono state disobbedienze nella mia vita figlie dell’esigenza di un percorso di crescita personale», confessa Pepe, iniziando a snocciolare una serie di lemmi sulle disobbedienze che hanno segnato la sua esistenza, quasi trasformandosi in un dizionario vivo e umano.

Disobbedienza come distacco dalla famiglia: «Avevo voglia di mettermi in discussione, dopo aver acquisito i saperi con mio padre e dopo aver fatto un percorso coi miei fratelli: avevo bisogno di creare la mia identità», per questo il maestro di Caiazzo decide di investire tutto su quello che diventerà Pepe in Grani, spinto dalla sola forza delle proprie idee. «Non volevo danneggiare o mettere in crisi nessuno: volevo solo fare un piccolo percorso. Il mio». Pepe in Grani è un progetto sempre in evoluzione, una pizzeria che prima non c’era, con sale degustazione, l’esperienza di Authentica, camere per gli ospiti, ma sempre con un’offerta adatta a tutti (oggi sfiora le 12mila presenze mensili). Si arriva così alla "disobbedienza verso la pizza napoletana".

Continua infatti Pepe: «Circa quindici anni fa, c’era tanta attenzione verso il mondo pizza, anche da parte dell’alta cucina. Ho sentito di dover raccogliere questo fermento e di tradurlo in una pizza mia, con una propria identità, senza etichette». Come conseguenza, nel 2017 l’Associazione Verace Pizza Napoletana addirittura lo addita come “apostata”, solo perché aveva dichiarato - nel programma Ugly Delicious di Netflix - che per lui non esiste pizza Doc o Dop, ma solo la buona pizza.

In realtà, tale episodio fa moltiplicare le visite a Caiazzo, specie dagli Usa, regalando a Pepe il coraggio di arrivare alla "disobbedienza nelle pizze": nascono la Margherita Sbagliata, appunto (per esprimere al massimo il pomodoro riccio, con contrasti caldo-freddo), l’Ananascosta (figlia di uno studio sull’ananas, senza azioni mediatiche, ma capendo l’ingrediente, senza demonizzarlo a priori) e l’Acquerello Capriccioso (evoluzione della Capricciosa, completata dal cliente al tavolo, con ingredienti lavorati separatamente in cucina nel modo giusto e non cotti tutti in forno, insieme).

Franco Pepe si fa serio e puntualizza: «La pizza diventa così un concetto ragionato, un prodotto creativo: c’è da fare attenzione, a partire dalla scelta fino alla trasformazione delle materie prime. Oggi, secondo me, la pizza è considerata più forma che sostanza. Tutti scattano le foto alle pizze: ma una bellissima pizza non è detto che sia sana, digeribile e sostenibile. Bisogna fare molta attenzione alla comunicazione: siamo bombardati da input da parte di social media, blogger, influencer, eccetera. Se si perde tempo così, si rischia di annullare quello che si mangia: ad esempio il contrasto caldo-freddo della Margherita Sbagliata rischia di sparire, vanificando tutta la preparazione che c’è dietro. Fotografate col palato: questa sì che sarà un’emozione indelebile!».

Prosegue con quella che sarà la penultima disobbedienza: «Tanti anziani vengono ancora a trovarmi e rimembrano quando, da piccolo, portavo loro la pizza al tavolo, mentre davo una mano nella pizzeria di mio padre. Facevano la fila per entrare da Stefano Pepe, ma di mio padre nessuno ne ha mai parlato sui social, perché non esistevano ancora. Come faceva, quindi, ad avere la coda di gente in attesa? Grazie a quello che portava al palato del cliente, mettendo nel piatto cose buone e giuste. La disobbedienza oggi sta nel tornare a dare valore all’approccio al palato».

In questo climax di disobbedienze personalissime, ecco apparire l’ultima suggestione: la foto di un fornetto in mattoni refrattari, piccolissimo, senza canna fumaria, trovato nel rudere che poi è divenuto Pepe in Grani. Ma a cosa serviva? Da una ricerca sulla storia di quel palazzo, si è scoperto che lì hanno risieduto dei preti, i quali producevano le ostie per la messa proprio con quel minuscolo forno. Rapito da quell’oggetto e dall’uso che ne veniva fatto, come lascito del messaggio lanciato dal palco, Franco Pepe ha deciso di realizzare delle ostie. Le presenta in un sacchettino di carta, sottilissime e di un rosso vivo: ad assaggiarlel, esprimono i sapori della pizza a libretto, baluardo di un cibo popolare che tale dovrà sempre rimanere.

Siamo giunti all’ultima disubbidienza: l’assenza di pizza che diventa essenza.

Ancora una volta, possiamo solo imparare da Franco Pepe.


IG2024: la disobbedienza

Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.

a cura di

Luca Farina

piacentino, classe 1988, ingegnere&ferroviere. Mosso da una curiosità gastronomica continua, ama definirsi “cultore delle cose buone”, essendo cresciuto in una famiglia dove si faceva tutto “in casa”. Crede fermamente nella (buona) tavola come creatrice di legami, generatrice di ottimi ricordi e di emozioni vive. Instagram lucafarina88

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