Disobbedienti, perché certe volte le regole vanno troppo strette mentre il mondo del vino corre veloce.
Dominga Cotarella, Martino Manetti e Walter Massa sono tre esempi virtuosi – come spiegato a Identità Milano 2024 sul palco dell’Auditorium da Cinzia Benzi – di come «la disobbedienza debba essere letta tramite l’accezione positiva del termine».

L'intervento di Dominga Cotarella (Famiglia Cotarella)
Dominga Cotarella, per esempio, ha dovuto superare le resistenze del padre,
Riccardo Cotarella, attuale presidente di
Assoenologi, per portare avanti la sua idea. «Quando sono entrata in azienda, poi successivamente anche con
Marta ed
Enrica, ho sentito l’esigenza di dare il nostro nome all’azienda. In maniera semplice e spontanea, al posto di
Falesco. Dal 2015, dopo quarant’anni di storia, siamo passati a
Famiglia Cotarella, che oggi rappresenta non solo il vino, ma tutto quello che facciamo».
Senza mai dimenticare la terra: «Abbiamo sempre cercato di ripartire dalla vigna – ha ribadito Dominga Cotarella – La nostra è stata una vera rivoluzione. La disobbendienza, per essere positiva, deve partire dal rispetto di ciò che siamo stati fino a ieri. E anche dal coraggio: fino a 10 o 15 anni fa essere donna e figlia, nel mondo del vino, non era facile».

Nel nome del padre: la testimonianza di Martino Manetti (Montevertine)
Un altro figlio d’arte è
Martino Manetti di
Montevertine. «Il primo disobbediente mio padre, io sono quello che ha continuato a disobbedire – ha raccontato – Lui ha disobbedito rispetto allo status quo del
Chianti Classico negli anni Settanta. Non gli piaceva quello che beveva intorno. Allora ha deciso di fare il vino in maniera diversa, ma mantenendo una radice territoriale. Partendo dal Sangiovese, senza le uve bianche. Nel 1977 esce con le
Pergole Torte, solo
Sangiovese, che era qualcosa di diverso per l’epoca. Io ho promesso di non tornare indietro, e questo vale più di tutto»
Chi conosce Walter Massa sa che con i suoi Vigneti Massa è stato disobbediente e precursore. «Nasco in un territorio che prima era solo un bacino di uve o lavorati, non c’era un’etichetta. E allora ho iniziato a fare vino e a metterlo in bottiglia».

Il carisma di Walter Massa (Vigneti Massa) durante l'incontro con i colleghi produttori
Ma poi arrivò l’intuizione: il
Timorasso. «L’ho iniziato a produrre contro il parere dei miei zii perché produce poco – ha continuato - io sono andato avanti in maniera testarda. Ne è uscito un prodotto interessante».
Ribadendo poi che servono quattro fattori: uva sana, pulizia, buon senso e il tempo. «Poi non mi sono chiuso nel mio mondo – ha sottolineato – ma ho messo dei ponti: ho detto ai figli dei contadini che si poteva lavorare insieme. Non vendiamo il vino, ma il territorio. Dai tre ettari complessivi di Timorasso nel 2000, siamo a 400 ettari a dimora nel 2023, con più di 50 aziende».

Da sinistra, Walter Massa, Martino Manetti e Dominga Cotarella dialogano con Cinzia Benzi
E il futuro? «La disobbedienza – ha annunciato
Dominga Cotarella – è quella del progetto che sta nascendo adesso, che vuole raccontare mondi apparentemente in contrasto, cioè il fine dining e la cucina del mondo rurale».
«Io continuerò a disobbedire, facendo quello che facciamo, senza fare nulla di nuovo – ha ribadito Martino Manetti - Nel mondo che ti chiede qualcosa sempre di nuovo, disobbedire è anche non cambiare nulla. L’importante è dare un prodotto di qualità».
Infine Walter Massa: «Ho creduto nel tappo a vite, perché sono stufo di far bere vini ai lavandini. E un’altra lotta che ho in testa: far fare un editto che vieti per le bottiglie di vino classico con il vetro più pesante di sei etti. Un chilo di vetro sono due chili di anidride carbonica nell’aria».