30-03-2019
«Le posate trasportano il cibo accompagnandolo verso la bocca. Per questo sono protagoniste della vita delle persone. E non solo in cucina». Da questa premessa è partito Davide Dutto, fotografo professionista, quando circa due anni fa ha iniziato a collezionare forchette per trasformarle in scatti fotografici che hanno dato vita ad una mostra itinerante, partita da Torino, che ha fatto tappa a Firenze e ora è visitabile sempre in Toscana, a Villa Artimino (oggi 30 marzo e domani 31), quindi a Milano dal 3 al 9 giugno durante Milano Photo Week e con altre date previste a Roma e Palermo tra settembre e ottobre.
Davide Dutto
Quella scena ha acceso in Dutto una lampadina sul valore, nascosto, della forchetta: «Da quel momento è diventata per me un simbolo, un testimone silente e quotidiano, quasi invisibile, tanta è l’abitudine di usarla per milioni di persone. Lì ho visto l’inizio del mio attuale lavoro, il senso e il valore di quello strumento che ormai per me non è più solamente un attrezzo».
Davide Dutto possiede molti attrezzi da cucina, alcuni trovati nei mercatini di antiquariato, altri ricevuti in dono da chef e cuochi con cui ha collaborato nel tempo, da Massimo Bottura a Enrico Crippa.
Sono quasi vent’anni infatti che il fotografo originario di Fossano, in provincia di Cuneo, si occupa di cibo e di chef. Eppure nelle quaranta opere della mostra non si vedono persone, nessun cuoco, nemmeno piatti o pietanze, e neppure altri stumenti di lavoro. Niente accanto alle forchette, solo e semplicemente forchette. Perché l’idea del fotografo è quella di «offrire la possibilità a chi guarda di osservare le immagini isolate dall’ambiente, così da far lavorare memoria e fantasia». Proprio come è successo a lui, quando ha acquistato uno degli oggetti utilizzato per un’immagine della mostra, una forchetta-cavatappi pieghevole con manico in legno, trovata in un mercatino vintage di Torino: «Ho iniziato a fantasticare sulla sua provenienza e sull’utilizzo, ho pensato a soldati in guerre, a trincee, a uomini in viaggio, a partenze e ritorni».
«NoTools_Fork1 è il primo lavoro che affronto con un approccio concettuale, nella mia veste temporanea di fotografo di cibi, di cucine e di chef. Il cibo e le persone per una volta rimangono fuori dall’inquadratura. Nello spazio rettangolare della fotografia ho voluto solo gli strumenti legati al gesto del mangiare, della nutrizione, gli strumenti che insieme alle mani uniscono l’uomo al cibo».
Il progetto NoTools in futuro avrà altri due capitoli, Spoon2 e Knife3, perché se la forchetta è il prolungamento del braccio, il cucchiaio è «il palmo della mano che accoglie», mentre il coltello «traduce la doppia natura dell’essere umano: difesa e attacco».
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
classe 1975, ingegnere creativo, in ricordo di un docente che la definiva troppo creativa per fare l’ingegnere. L’ha avuta vinta lui: così dopo anni spesi nel settore energetico, scrivendo di cibo e viaggi nel tempo perso, oggi scrive a tempo pieno di storie di cibo, di mani che lavorano il cibo, di teste che lo creano. Co-autrice de Storie di cibo dietro nelle Terre di Expo, ideatrice del progetto Storie di cibo dietro le sbarre, che sarà un prossimo libro. Adora il buon cibo e il buon vino
Diego Rossi e Wicky Priyan colti al balzo da Riccardo Melillo per il suo Atomicus Project
Foto di gruppo al termine dei lavori. La prima tappa di Spessore, in Calabria, ha coinvolto Luca Abbruzzino, Antonio Biafora, Nino Rossi, Giuseppe Iannotti, Riccardo Agostini, Luciano Monosilio, Mattia Spadone, Antonio Zaccardi, Domenico Marotta, Simone Cantafio. Tutte le (belle) foto sono di Michele Galluccio, michelegalluccio.it, Instagram michele.galluccio