Se n'è andato Giorgio Gioco, classe 1924, storico chef-patron del 12 Apostoli a Verona. La sua è stata una lunga avventura che ha caratterizzato non solo il mondo della cucina - il ristorante è arrivato ad avere le due stelle Michelin, prima di qualche anno di riflusso e ora il nuovo rilancio, con una stella riconquistata e un locale, già meraviglioso, splendidamente rinnovato - ma anche quello della cultura. Nel 1968 Giorgio Gioco aveva infatti fondato, su suggerimento di Orio Vergani e assieme a Enzo Biagi, Indro Montanelli, Giulio Nascimbeni e Cesare Marchi, il Premio 12 Apostoli.
Giorgio Gioco veniva da una famiglia di ristoratori. Così avevamo condensato questa storia, in un recente articolo (leggi Mauro Buffo firma il gran ritorno a Verona del 12 Apostoli): "A inizio Novecento, Antonio Gioco, portiere all’albergo Colomba d’Oro, grazie alla firma di avvallo di un ospite abituale dell’hotel in cui lavorava, un certo Arnoldo Mondadori, riuscì insieme alla moglie Rosella a rilevare il 12 Apostoli (che esisteva già da più di un secolo, ndr). Il locale inizia a diventare punto di riferimento per i viaggiatori in transito in città oltre che rimanere tappa quotidiana dei veronesi. Nel 1924 nasce Giorgio Gioco, figlio di Antonio e Rosella, che negli anni Cinquanta vestendo i panni del cuoco, con l’aiuto della moglie Jole ai fornelli, porta il ristorante ai massimi livelli della cucina italiana (prima stella nel 1967, ndr), sostenendo sempre l’importanza della cucina locale e dei prodotti del territorio".
«Ora papà non c'è più, e quindi siamo tristi - ci dice il figlio, che si chiama Antonio come il nonno - Ma ha vissuto una bella vita e se n'è andato sereno. Si è fatto voler bene da tutti, con la cucina è stato in grado di entrare nel cuore della gente. Era di una tempra particolare, e animato da grande passione». Identità Golose porge le proprie condoglianze alla famiglia.
Per ricordare appieno la figura di Giorgio Gioco, pubblichaimo sotto un'intervista uscita il 25 aprile 2014, in occasione dei suoi 90 anni. (Carlo Passera)
Prima arriva la domanda: “Non sarà una commemorazione?”. Poi la concessione: “Va bene, allora sottoponiamoci a questa piccola tortura”. La piccola tortura, ovvero una lunga chiacchierata, di cui parla Giorgio Gioco, gran signore e custode della ristorazione scaligera e delle sue tradizioni e portabandiera di una veronesità purtroppo in buona parte perduta, è in realtà un atto dovuto nei confronti di chi tanto ha dato alla città e alla gastronomia nazionale e si appresta a tagliare (domani) il traguardo dei 90 anni.

L'articolo originale del 2014
Gioco all’inizio segue la linea del basso profilo, abbozza, si schernisce. E alla fine cede e si lascia andare sfogliando l’album dei ricordi che equivale a rivivere, attraverso lui e il suo
12 Apostoli, un pezzo significativo di storia di Verona. Se per
Gioco, ragazzo irresistibile, figlio di una generazione unica e irripetibile che l’Italia l’ha ricostruita e le ha dato lustro, l’intervista assomiglia a una sottile tortura, chi lo sta a sentire ad incontro concluso esce (piacevolmente) stordito.

Un'immagine d'archivio di Giorgio Gioco coi figli e, sulla destra, com'erano i 12 Apostoli
Perché ascoltare questo cuoco (guai a nominargli la parola chef, segno di una modernità che non gli appartiene) dal viso gioviale, che non tradisce le decadi trascorse (e ogni tanto spiazza l’interlocutore deviando il discorso e citando a memoria brani di opere di
Berto Barbarani) ed entrare nel mondo del
12 Apostoli vuol dire conoscere una grande dinastia (la moglie, e fedele collaboratrice in cucina, Iole, il fratello
Franco, i figli
Antonio, che ora gestisce con piglio e fantasia il locale, e
Cristina, la nuora
Simonetta, i cinque nipoti tra cui
Filippo, 28 anni, laureato in antropologia culturale e curatore del menu) e un grande ristorante, con annessa una meravigliosa cantina, che ha conquistato sul campo le due stelle Michelin e ha fatto vera cultura ospitando tra gli altri
Enzo Biagi e
Dino Buzzati,
Maria Callas e
Beniamino Gigli,
Indro Montanelli ed
Ernest Hemingway,
Rita Levi Montalcini e
Sandro Pertini,
Alberto Sordi e
Ugo Tognazzi.

Con Rita Levi Montalcini e Giovanni Spadolini

Con Antonio Albanese e Aldo Cazzullo
«Vuole sapere come si arriva a quest’età? Cercando di fare ogni giorno il meglio e tenendo sempre un centesimo di modestia in tasca. Ho avuto una bella vita non posso negarlo, d’impegno e di sacrificio ma ripagata da tante soddisfazioni. Rifarei e rivivrei tutto, a parte i due anni di prigionia in Germania durante la guerra».
Al
12 Apostoli, sorto nel 1750 e il cui nome trae origine dalle frequentazioni giornaliere di dodici mercanti della vicina piazza Erbe, la famiglia
Gioco è entrata nel 1932 guidata dal padre di
Giorgio,
Antonio, che all’epoca lavorava alla
Colomba d’Oro, quando il locale era una semplice trattoria. “Alla cucina ci sono arrivato un po’ per caso. Avevo 30 anni e uno zio che viveva all’estero mi portò un libro, “L’art culinaire francaise”, comprato a Parigi. Quel volume l’ho imparato a memoria. E’ stata la fiammella che ha acceso un falò”.

Con Joaquín Navarro-Valls, portavoce di Giovanni Paolo II
È partita così l’avventura del diplomato di computistica commerciale divenuto vero artista (poeta, scultore, autore persino delle celebri etichette dei vini di Quintarelli) e uno dei massimi protagonisti della nostra ristorazione: «Forse avevo l’indole giusta per fare questo mestiere. Mi sono mosso in totale autonomia, con l’obiettivo di riscoprire e valorizzare la cucina locale, quella della tradizione». Ed ecco allora farsi largo nella carta e nelle preferenze dei commensali la “pasta e fasoi”, le amate zuppe, la crema di zucca con addobbo (che era un tartufo tagliato a lamelle e spalmato su una crosta di pane), i carrelli degli antipasti e dei bolliti che
Marco Bolasco e
Marco Trabucco nel libro
Cronache golose definiscono di “opulenza regale”, e il celebre pandoro con lo zabaione.

Giorgio Gioco con Marrion Ross, la mamma Cunningham di Happy Days
«Mi è sempre piaciuta la semplicità, che poi è la cosa più difficile da realizzare, ma mi sento di dire che 50 anni fa sono stato all’avanguardia». E in effetti la
Guida ai Ristoranti d’Italia del 1979 pubblicata dall’
Espresso affermava: “Talvolta,
Gioco riesuma antiche ricette ma più spesso le reinventa su vecchi temi, facendole passare per originali con ammiccante bugia”. Come deve fare “un grande seduttore di palati” secondo la definizione del patron del
12 Apostoli data dallo scrittore
Giovanni Comisso.

Con Giulio Andreotti e Indro Montanelli

Con lo scrittore Mario Rigoni Stern

Il figlio di Giorgio, Antonio Gioco, premia Michele Serra e Claudio Bisio

Con Giorgio Gaber e Gigliola Cinquetti

Con la grande Joséphine Baker

Con il gastronomo Luigi Carnacina
Ma in parallelo al cuoco ha viaggiato lungo tanti lustri il letterato (“libro e fornello sono state le mie passioni” dice, ed estrae dal taschino della giacca la penna stilografica sempre a portata di mano), l’inventore di quel premio (“un’agape fraterna tra amici, senza riconoscimenti in denaro” sottolinea) che prende il nome del ristorante e dal 1968 ha visto sfilare annualmente in Corticella San Marco il meglio del giornalismo e della letteratura italiana: “Ricordo soprattutto l’amicizia con
Gianni Brera, uomo dalla cultura profonda che si richiamava sempre ai valori della terra, e con
Mario Rigoni Stern: si parlava la stessa lingua, alpino lui, alpino io”.

In tv, con Luigi Veronelli...

...e in quest'altra immagine, con Moira Orfei e Ave Ninchi
E infine volendo dare un consiglio a un giovane che oggi desidera entrare in cucina? “Impegno, tempo e modestia: sono gli elementi sui quali si può costruire qualcosa di serio e duraturo nel tempo”.

Antonio e Simonetta Gioco, rispettivamente figlio e nuora di Giorgio, abbracciano loro figlio Filippo Gioco nuova generazione alla guida dei 12 Apostoli
(da I 90 anni di Giorgio Cuoco, «Io, seduttore dei palati», Il patron del 12 Apostoli: sono cuoco, non chef, dal Corriere di Verona, 25 aprile 2014)