Woulda shoulda coulda. Questo modo di dire anglosassone può essere tradotto, approssimativamente, con: avrei voluto, avrei dovuto, avrei potuto. È il prediletto dai bolognesi, quando si parla di ristorazione e affini. Gli abitanti del capoluogo felsineo punteggiano le loro conversazioni di «se non fosse a Bologna», «se l’avesse aperto a Milano» e altri periodi ipotetici tutti volti a dimostrare che, se chef e ristoranti della loro città non godono della popolarità di cui dovrebbero godere, è solo per colpa della loro collocazione geografica. Normalmente questo atteggiamento giustificazionista mi infastidisce, ma c’è uno chef per cui è inconfutabilmente appropriato: Massimiliano Poggi.
Se
Max Poggi non si trovasse a Bologna, sarebbe già assurto nell’empireo della grande cucina italiana. E invece a Bologna si deve faticare un po’ di più per emergere nella ristorazione di fascia alta. Figurarsi poi a Trebbo di Reno, nella periferia dove ha deciso di spostarsi due anni fa, affidando lo storico
Al Cambio di via Stalingrado nelle mani di
Piero Pompili e lasciandosi indietro le vestigia della tradizione bolognese, che nel nuovo
Massimiliano Poggi compare sì, ma non più da protagonista del menu. Nella sala modernissima - l’enorme bancone all’ingresso è unica concessione a un concetto ancora "tradizionale" di ristorazione - si può scegliere tra due percorsi degustazione di lunghezze diverse, da 4 o da 8 portate, a cui a pranzo se ne aggiunge uno veloce da 3.

La brigata (la foto è del 2016)

Spaghetti e Medicina, ossia con salsa di cipolla di Medicina e parmigiano, poi caramello di cipolla e rucola selvatica
Sono già considerati dei classici lo
Spaghetto alla cipolla di Medicina, golose forchettate con tutta la confortevolezza dei sapori d’infanzia, l'
Artusi 495, terrina di anguilla fritta con salsa di soffritto brodo di pomodoro dedicata proprio al quasi conterraneo
Pellegrino.
E ancora, l’
Insalata russa, un piatto che riesce nella difficile impresa di essere tanto bello quanto buono, servito insieme a uno shottino di vodka colorata. Ogni cena da
Max conforta e sorprende, affonda nelle sue solide radici campagnole, come quelle del
Piccione al carbone, e si spinge fino al mare, a quell’Adriatico che si dimostra sempre più un paniere fondamentale per gli chef emiliano-romagnoli. Servizio di giovanile sobrietà, carta dei vini affatto scontata.
Se solo non fosse a Bologna - e poi potete completare voi. D’altronde un ristorante del genere poteva nascere solo qui, e noi ce lo teniamo ben stretto.