10-07-2016

Bottura, la Fao e il RefettoRio

L'organizzazione Onu sposa l'idea del modenese. E chiama gli chef per insegnare a nutrirci meglio

Massimo Bottura è stato tra i protagonisti, vener

Massimo Bottura è stato tra i protagonisti, venerdì alla Fao, dell'incontro in cui l'organizzazione dell'Onu ha esplicitato il sotegno al progetto RefettoRio dello chef modenese, e in generale la sua intenzione di affiancare i grandi cuochi per insegnare una migliore alimentazione al mondo

Durante l’Expo 2015 di Milano, Massimo Bottura ha dato vita al Refettorio, maiuscola solo la prima lettera R. Adesso lo stesso progetto cambia Paese e continente, dall’Italia al Brasile, dall’Europa all’America del Sud, e anche grafia: RefettoRio, maiuscola anche la seconda R perché tra meno di un mese Bottura porterà la sua anima pure a Rio, dove il 5 agosto avranno inizio i Giochi Olimpici.

Con il modenese e sua moglie Lara Gilmore avremo diverse altre realtà, come da presentazione venerdì alla Fao a Roma quando sul palco degli oratori si sono ritrovati, con lo chef, Josè Graziano Da Silva, brasiliano, direttore generale della Fao stessa, David Hertz, chef e fondatore in Brasile di Gastromotiva, Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, e Giovanni Malagò, presidente del Coni, contento perché il modenese ha accettato di essere testimonial della candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024.

L'incontro alla Fao

L'incontro alla Fao

Parole, idee, progetti e sogni, l’alta cucina che si fa sociale e lotta contro la fame nel mondo, etica ed estetica che vanno a braccetto, il 2030 come traguardo di tutti i movimenti animati dalla Fao piuttosto che Gastromotiva e Food for Soul, la fondazione voluta dai Bottura per portare ai quattro angoli del pianeta il Refettorio, New York ad esempio. Bello anche il filmato proiettato da Massimo e dedicato a Milano 2015, nel quale Ferran Adrià ricorda come un ingrediente all’apparenza povero è migliore di costoso caviale scadente.

A Rio, il RefettoRio offrirà da mangiare a Lapa, favelas tutte intorno, nemmeno si sa quanta gente ci viva, uomini, donne e bambini, mica cartoni animati. A dire mezzo milione si può sbagliare per difetto. Rimarrà aperto, in questo frangente, per 45 giorni (ma non sarà un'iniziativa solo per le Olimpiadi, continuerà a operare anche dopo la sua conclusione) e i cuochi che si alterneranno lavoreranno gli alimenti non utilizzati al villaggio olimpico così come a Milano accadeva con gli scarti dell’Expo.

Ma non è tutto. Perché non si tratta “solo” di dare da mangiare ai poveri, ma di cambiare proprio la cultura alimentare di tutti, di sopperire – usando gli chef come buon esempio – alle disparità esistenti, certo per eliminare la cattiva alimentazione dovuta alla fame, ma anche quella causata dal troppo cibo di bassa qualità. E’ questa l’ulteriore sfida per il futuro.

Mi viene da fare una riflessione. Avessi chiuso gli occhi, alla Fao, avrei faticato a capire dove mi trovassi. Fosse possibile viaggiare nel tempo, avrei voluto con me colleghi critici gastronomici di epoche lontane, del secolo scorso. Loro di certo avrebbero pensato di essere in un ospedale dove si prevengono le malattie legate alla malnutrizione e all’obesità, alla pessima distribuzione del cibo nel pianeta.

Un tempo nemmeno remoto, fino a una decina di anni fa, chi voleva curarsi sarebbe andato da un medico, in un policlinico, mica avrebbe affidato la sua salute a cuochi e chef. Adesso è così. Ed è una splendida rivoluzione. Fa effetto ascoltare il direttore generale della Fao, Da Silva, unire sport e cibo, lo sport per via delle imminenti Olimpiadi a Rio de Janeiro, fa effetto sentirlo scandire uno slogan come: «We need chefs against hunger».

La Fao chiama a raccolta i cuochi per compiere una rivoluzione culturale per guardare al cibo con mente e occhi diversi. Il buono che è sia goloso che etico e salutare. Dietro al piatto che ti viene messo davanti, c’è un prima e un dopo che il commensale non può ignorare. Al buono del palato va aggiunto il buono che ti detta la tua anima.

Foto di gruppo con alcuni volontari italiani del progetto Refettorio

Foto di gruppo con alcuni volontari italiani del progetto Refettorio

Ha spiegato il brasiliano: «Non è che al mondo non ci sia abbastanza cibo, ma è pessimamente distribuito, c’è chi mangia troppo e chi troppo poco. Questo non accade solo nel confronto tra nazioni sviluppate e le altre, ma anche all’interno di ogni singolo Paese. E in quelli ricchi molti mangiano non solo tanto, ma male».

Ecco quindi il ruolo sociale degli chef: indicare una via per la corretta nutrizione, combattere l’ignoranza gastronomica, tenendo come stelle polari due eccellenze, da un lato il Giappone – il primo Stato al mondo quanto a qualità del cibo – e dall’altro la dieta mediterranea. Quindi, tanto per capirci: più frutta, più verdura, più alimenti freschi e autoctoni, scelte che sarebbero d’aiuto anche per la rete dei piccoli produttori locali. Un nuovo modo di guardare alla tavola.

La Fao si è data una scadenza per questa sua battaglia che va vinta, il 2030 appunto, una data che sembra lontana ma viene scandita dall’appuntamento annuale con la Giornata mondiale contro la fame nel mondo, fissata per il 16 ottobre (il 16 ottobre 1945 venne fondata la Fao stessa).

Bottura è già perfettamente allineato, si fa carico di questo impegno che guarda al mondo, perché «il Refettorio è un progetto culturale, non di carità. E gli chef oggi non sono solo ricette, ma visione etica del cibo».

 


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
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