27-08-2021

Matias Perdomo: «L'unica creatività che conta sono i numeri in ordine»

Il cuoco e imprenditore uruguaiano: «I ristoranti sono realtà economicamente fragili e poco tutelate. Cuochi e camerieri non si trovano perché hanno un'immagine illusoria del nostro mestiere. E' ora di cambiare»

Matias Perdomo, chef e co-patron del ristorante Co

Matias Perdomo, chef e co-patron del ristorante Contraste, aperto a Milano il primo settembre 2015. Terrà lezione con Simon Press al congresso di Identità Golose, domenica 26 settembre, ore 11.30, in Sala Blu 1, all'interno del ciclo "Il futuro è adesso". Per iscriversi, clicca qui

Il tema del congresso di Identità Golose è Costruire un nuovo futuro: il lavoro. Matias Perdomo, co-autore del piatto simbolo della sedicesima edizione, è un cuoco che riflette da tempo sulle condizioni che dovrebbero rendere più sostenibile il suo mestiere.

Succede almeno dal primo settembre 2015: sono passati 6 anni quasi esatti da quando, assieme a Simon Press e Thomas Piras, ha aperto Contraste, caso di successo dell’ultimo lustro milanese: già dagli inizi, per trovare un tavolo nel fine settimana, occorreva chiamare anche 5 mesi prima. Nel tempo il trio ha aggiunto al business anche Exit, Empanadas del Flaco, Roc, Exit Pastificio, Abere. Un quadro imprenditoriale sempre più complesso, che in questi giorni di riapertura deve fare i conti col problema di tutti: la fuga del personale. Abbiamo interrogato l'uruguaiano sul tema.

Perché in questo momento non si trovano più cuochi e camerieri?
Io non penso che i ragazzi che vogliono fare questo lavoro siano meno di una volta. Penso che, per tanti di loro le attese non sono confermate dai fatti. Principalmente perché la tv fa vedere loro il traguardo, non il percorso da fare per raggiungerlo. I ragazzi escono dalla scuola a 18 anni e a 23 pretendono di essere chef. Ma in cucina non esistono scorciatoie. Prima di diventare cuochi Bottura, Cannavacciuolo e Cracco hanno picchiato duro per 20 anni. Se oggi sono di una bravura mostruosa è perché hanno fatto una lunga gavetta. Come Marcel Jacobs prima di conquistare l’oro a Tokyo. 

Il piatto simbolo del congresso di Identità Golose 2021 è firmato proprio da Matias Perdomo e Simon Press

Il piatto simbolo del congresso di Identità Golose 2021 è firmato proprio da Matias Perdomo e Simon Press

Come affrontare il problema?
Partendo dal principio. Negli ultimi anni hanno aperto quasi più scuole di cucina che ristoranti. Chiedono soldi a ragazzi indecisi e poi li mandano subito a lavorare negli stellati dei loro desideri. Noi, ultimo anello della catena, siamo obbligati a prendere stagisti alle prime armi. Una volta non era così: andare in stage da Mugaritz era un sogno quasi impossibile da realizzare. Oggi tutti possono tutto. Ma un medico neo-laureato non opera subito; a un neo-architetto non permettono di disegnare una casa pronti via. I cuochi apprendisti dovrebbero prima lavorare in ristoranti da battaglia, da 200 coperti, e vedere se reggono. Quelli della mia generazione l’hanno fatto tutti. Dobbiamo smetterla di dare un’immagine edulcorata del mestiere, di creare illusioni. La ristorazione non è un hobby. 

È anche vero che i ritmi di lavoro sono più elevati della media e le retribuzioni non sempre adeguate.
Sì, ma se vuoi lavorare 8 ore non vieni a bussare alla mia porta. Il nostro è un mestiere in cui il ragù sta sul fuoco come minimo 4 ore. Occorre una giornata intera per disossare bene un agnello. E se ti bolle la pasta durante il servizio mentre scadono le 8 ore? Cosa fai? Te ne vai? Se la pensi così, hai sbagliato professione. Io ai ragazzi non racconto balle: qua non sarai chef, non prenderai 3 stelle e non sarai il cuoco dell’anno. Qua si lavora tanto e si lavora così. Dare da mangiare è un lavoro importante: chiede dedizione, sacrificio, responsabilità. Poi, ci concentriamo sempre su falsi problemi ma perdiamo di vista quello principale: che un ristorante è un’azienda a tutti gli effetti.

Cosa intende?
Occorre equilibrio tra sostenibilità delle persone e sostenibilità di un progetto. La prima si avvera se c'è la seconda. Mi spiego. Io sarei felicissimo di far lavorare tutti 8 ore, di contare su due brigate distinte, di dare a ognuno 2.500 euro per 14 mensilità. Ma questo, per come stanno le cose ora, non regge dal punto di vista aziendale. Non regge perché in Italia il costo del lavoro è esagerato. Perché le tasse sono sproporzionate: se chiudono un occhio su Microsoft e Amazon perché contribuiscono in modo importante al pil italiano, perché non tutelano anche i ristoranti? Il nostro peso sul prodotto interno lordo non è inferiore. Siamo realtà importanti ma non riconosciute per l'importante impatto sociale e culturale.

Nella riorganizzazione post-pandemica Contraste ha cambiato i tradizionali turni di servizio. Ora è aperto lunedì sera, giovedì sera e da venerdì a domenica a pranzo e a cena. Nella foto, il maitre e socio Thomas Piras

Nella riorganizzazione post-pandemica Contraste ha cambiato i tradizionali turni di servizio. Ora è aperto lunedì sera, giovedì sera e da venerdì a domenica a pranzo e a cena. Nella foto, il maitre e socio Thomas Piras

Economicamente fragili.
Siamo in balia del meteo: se piove, molti devono togliere il 50% dei coperti, senza indennizzi. Siamo in balia dei no show, che possono ridurre gli incassi di una serata anche del 20%. Perché, se vuoi assistere a una partita di calcio o a un concerto sei disposto a spendere 50 o 100 euro un mese e mezzo prima dell’evento e coi ristoranti no? Eppure noi compriamo la materia prima, cuciniamo, facciamo la mise-en-place e poi preghiamo che si riempia il ristorante. Che il cliente non annulli all’ultimo la prenotazione perché magari ha fatto un aperitivo lungo. Ma è possibile? È un tipo di business che parte già male. Il modello non può più essere ‘consumo e poi pago’. Occorre una rivoluzione di fondo: cominciare a considerare i ristoranti non più luoghi di folklore familiare come poteva magari essere negli anni Ottanta, ma vere e proprie aziende che danno da mangiare a decine e decine di famiglie, fornitori inclusi. Io quando non incasso, non dormo la notte. Che mi frega di fare un piatto creativo con l’aria di rosmarino se il cassetto è vuoto? L’unica creatività che conta è quella che ti aiuta a tenere i conti in ordine e oggi sono tanti quelli che non ci riescono.

Uno scenario scoraggiante per chi intende aprire una attività.
Sì, ma è nostro dovere dire le cose come stanno. Occorre smetterla di proporre modelli irraggiungibili e magari perennemente in perdita. Quelli che possono contare su una grande azienda o su un fondo che copre loro le spalle sono una minoranza. Il primo passo necessario è affidarsi a un bravo amministratore, uno che ti spieghi che se compri un servizio di piatti da 2mila euro allora non puoi permetterti un cameriere. Professionisti che ti aiutino a costruire modelli solidi, che magari trattengano un ragazzo almeno per 3 o 4 anni, l’intervallo giusto per ritornare del tempo investito sulla sua formazione. Qualcuno che ti dia la percentuale giusta del food cost sui ricavi. Noi ci avvaliamo della consulenza amministrativa e finanziaria di una società specializzata che si chiama 4Bites. Sono loro a ricordarci quante persone occorre far lavorare per servire quel tot di clienti.

In questi giorni Exit, il brand di Gastronomia Urbana di Perdomo&co., è in tour per le spiagge d'Italia. Per sapere dove e quando, clicca qui

In questi giorni Exit, il brand di Gastronomia Urbana di Perdomo&co., è in tour per le spiagge d'Italia. Per sapere dove e quando, clicca qui

Il cosiddetto fine dining ha futuro?
Sì, ma bisognerebbe riscrivere anche il concetto di lusso. Quello comune è di derivazione monarchica o borghese, figlio di un’accezione superata. Perché il lusso deve ancorarsi esclusivamente al pregio di bicchieri, posate, tavoli o lampade stra-costose? Dovrebbe essere riferito soprattutto a valori immateriali come la condivisione, il tempo, l’esperienza complessiva. Anche la critica deve dare più valore ad aspetti mai considerati.

Quali?
Valutare appunto un ristorante come un’azienda, a 360 gradi. Come trattano i dipendenti? Quanto reggono? Come si comportano coi fornitori? Basta magnificare solo il lato edonistico di un ristorante che magari ha le gambe d’argilla e due anni dopo non c’è più. Non fa bene a nessuno. Meno che mai, a tutte le famiglie i cui destini dipendono da quel ristorante.

Leggi anche
Luca Sacchi, braccio destro di Cracco: «La cucina è cresciuta tantissimo; non altrettanto la qualità di vita dei cuochi» di Gabriele Zanatta


IG2021: il lavoro

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

Consulta tutti gli articoli dell'autore