18-10-2021

Da Corrado Assenza a Gianluca Fusto, ecco sette idee per il futuro della Pasticceria italiana contemporanea

Con il maestro di Noto e il talento milanese, la parola anche a Fabio Longhin, Nicola Olivieri, Luca Lacalamita, Francesca Castignani e Pino Ladisa. Report da Identità Milano 2021

Alcune della creazioni dei sette pasticceri di Pas

Alcune della creazioni dei sette pasticceri di Pasticceria Italiana Contemporanea

Vi raccontiamo le idee scaturite da Pasticceria Italiana Contemporanea, nuova edizione della sezione (in collaborazione con Petra® Molino Quaglia e Valrhona) all'interno del congresso Identità Milano 2021. Ha visto succedersi sul palco sette relatori che hanno condiviso la loro visione sullo sviluppo dell'arte dolce italiana. Buona lettura. I testi sono di Cristina Viggè e Mariella Caruso.

 

Corredo Assenza a Identità Milano 2021. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani

Corredo Assenza a Identità Milano 2021. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani

CORRADO ASSENZA: COME UN FIOR DI CAPPERO NEL PANETTONE - «Bisogna lavorare. E bisogna farlo insieme. Perché da soli non si va da nessuna parte. Abbiamo bisogno di squadre, di collaborazioni, di filiere, di vicinanze. Di ragionare in maniera collettiva», Corrado Assenza docet. Aprendo a Identità Milano 2021 la giornata della Pasticceria italiana contemporanea, firmata Petra e Valrhona. «E dobbiamo pure ridefinire il ruolo di ciascuno all’interno della società. Portando al di qua, nel dopo, tutto il buono che vi era nel prima. Cercando di lasciare, di non far passare il non necessario, il superfluo».

Il dominus del Caffè Sicilia di Noto, ancora una volta, indica la via. E ricalibra il ruolo del pasticcere. «La riflessione parte da noi stessi. Da dentro di noi. Devo capire come io, individuo, possa agire all’interno della società. Portando ricchezza alla società. Sancendo patti sociali che vadano al di là delle leggi, ma che siano comportamenti etici capaci di contribuire a una società comprensiva, inclusiva, sostenibile. In grado di coinvolgere tutti gli anelli: deboli, meno deboli e forti. E noi pasticceri cosa dobbiamo fare? Pensare all’inimmaginabile. Perché siamo la cura dell’ultimo dettaglio. Siamo la ciliegina sulla torta della società. Per questo dobbiamo riuscire completare un progetto, un programma, un’idea che nasce da un pensiero. Essere un fior di cappero nel panettone».

Sì perché Corrado, in collaborazione con i g’trainer Nicola Borra e Luca Giannino, ha messo a punto un panettone - figlio della farina Petra 0103 HP, con riso e orzo germogliati - dagli intensi sentori di macchia mediterranea, grazie alla presenza del fior di cappero di Pantelleria e del bergamotto calabrese. «Il cappero nasce dove lui decide di nascere. E non c’è pianta migliore al mondo di quella che decide lei dove crescere. Come il cappero: sbocciato su uno scoglio in mezzo al mare, accarezzato dal vento dell’isola pantesca. Una pianta spontanea, protetta in primis dalla natura, che poi va nelle mani del raccoglitore e del contadino e che infine tocca a noi far esprimere». Fior di cappero, dunque. Solitamente conservato sotto sale o sotto aceto. E invece stavolta candito. «Certo, lo abbiamo liberato dal sale. Lasciandone solo una traccia lieve, un ricordo. Poi lo abbiamo messo in uno sciroppo di miele, in grado di estrarre il liquido dal vegetale», continua Corrado. Che unisce all’impasto il cappero e pure il bergamotto di Calabria. Candito pure lui. Per un lievitato pronto destreggiarsi fra ariosa freschezza e graffiante potenza.

«Noi pasticceri ci muoviamo fra microscopici dettagli che fanno la differenza. Da una parte, siamo confinanti con i contadini, che sono gli artigiani della terra. Dall’altra, siamo legato agli artisti, che sono gli artigiani della creazione. Da una parte, siamo costretti a ripeterci milioni di volte, per regalare le stesse consistenze, le stesse emozioni. Dall’altra dobbiamo essere il più estrosi ed emozionali possibili. È un gioco di equilibri. Ma il vero messaggio è: lasciamoci contaminare. Dalla bellezza, dalla cultura, dalla conoscenza». (Cristina Viggé)

 

Fabio Longhin

Fabio Longhin

FABIO LONGHIN E L’ERA ETICA DELLA PASTICCERIA - «Prima venne il rispetto. Perché i nostri antenati rispettavano e si inchinavano alla natura. Poi è stata la volta dell’economia, dell’industrializzazione, del benessere, del fare e del guadagnare a tutti i costi. Un’era fondata sull’io sono e io ho. Sull’essere e sul possedere. Sull’egocentrismo. Ma il virus, come un meteorite, ha azzerato tutto. Riportando al centro altri valori, altri principi. E spingendo l’acceleratore su un diverso tipo di dinamiche. Fondate sulle persone. È giunta così l’era dell’etica e dell’ecologia. Del lavoro di squadra. Inteso come empatia, sinergia, interazione, colleganza, connessione. Ecco perché vogliamo ripartire dalle basi, dalle fondamenta, dalla semplicità».

Fabio Longhin, patron della Pasticceria Chiara (come il nome della mamma) di Olgiate Olona, fa scorrere sul palco, in un lampo e in una serie di slide, tutte le epoche. Puntando l’obiettivo su un futuro nutrito di verità e genuinità. Condensate in uno degli emblemi della pasticceria italiana: la frolla. Che da incipit, archetipo e prototipo cresce e matura, divenendo polisensa e polisensoriale. E invitando a una nuova e più ampia prospettiva. Frolla come finestra, strada, possibilità. Frolla montata, frolla sabbiata, frolla per fondi, frolla Milano. Frolla a forma di rombo. Come il geometrico logo dell’insegna di Fabio. Frolla altamente performante. Frolla a dar voce alla filiera, al campo e ai contadini, vedi quelli siciliani di Simenza. Frolla figlia di coltivazioni biologiche, grazie alle farine Petra dei mugnai Quaglia. Traduzione: frolla di farina di farro monococco (la 0415), ancestrale e primitiva; frolla messa a punto con Petra Agricola (la 0106 HP), rustica voce della terra e dei semi; frolla realizzata con Petra Evolutiva (la 0201), poetica espressione della biodiversità; frolla ottenuta da Petra Maiorca (la 0202), nel segno dell’integrità e della purezza.

Frolla a colazione, a merenda, come snack. Frolla come filo conduttore e link diretto al cioccolato. Da spruzzare (come un profumo) e da abbinare (per un libero giocare). Nel primo caso: cristallina fava di cacao distillata - realizzata in collaborazione con la maison Quattro M Spirits di Busto Arsizio - da vaporizzare sui biscotti. Nel secondo caso: tre cioccolati in 3D, forgiati grazie al contributo del designer varesino Stefano Porcini, col quale Longhin collabora e ha collaborato. Creando persino due futuristiche uova pasquali, capaci di fondere gusto ed estetica. Tre frolle per tre cioccolati Valrhona: Millot, grand cru che mutua il nome dalla piantagione del Madagascar da cui proviene; Waina, armonioso e dall’anima equo solidale; e Tulakalum, amaro e profondo, nato in Belize e pronto a sussurrare un forte senso di coesione, visto che in lingua Maya significa “insieme”. Parola chiave del sapiente operato di Fabio.

La pasticceria longhiniana esplora così la terza dimensione. Intesa come amplificazione e perenne relazione con altri scenari. Anche quelli della cultura e dell’arte. E della street art degli Urbansolid: al secolo Riccardo Cavalleri e Gabriele Castellani, autori della collection degli Urbanbrain. Materici cervelli fieri di mettere in iper connessione l’analogico e il digitale, il reale e il virtuale. Senza certo dimenticare il saldo legame fra passato, il presente e il futuro. Quasi un cerchio che si chiude, intorno al dolce Pisello. Ideato da papà Gianni, riletto in leggerezza da Fabio (complici frolla di farro monococco, biscotto sacher, composta di lampone e namelaka di pistacchio) e trasformato in una calamita. Non da mangiare, ma da esibire per veicolare un messaggio solidale. Forgiata dagli ospiti fragili e diversamente abili della Fondazione Sacra Famiglia Onlus di Cesano Boscone. Dopotutto anche questa è pasticceria etica. (Cristina Viggè)

 

Nicola Olivieri

Nicola Olivieri

NICOLA OLIVIERI: QUANDO UN BRAND PARLA DI WELFARE E TERRITORIO - «Costruire un nuovo futuro significa anzitutto gratificare i nostri dipendenti. Coinvolgerli. Farli sentire parte di un progetto comune. Per questo, a partire dal 2022, collaboreremo con uno studio specializzato in welfare. Del resto, spesso le ore di vita coincidono con quelle lavorative. Per questo vogliamo che il lavoro, se fatto bene e coscienziosamente, venga riconosciuto e incentivato, anche con premi e agevolazioni. Qualche soldo in più da spendere in libri, per chi ama la lettura. In palestra, per chi si vuol tenere in forma. In viaggi, per chi adora le esperienze», racconta Nicola Olivieri, alla guida di Olivieri 1882, food hall ad Arzignano, nel Vicentino. Non solo un forno contemporaneo, ma pure un intelligente e illuminato recupero di uno storico sito industriale.

«Pensare che recentemente abbiamo assunto tre persone in produzione e altrettante in ufficio», continua orgoglioso Nicola. Che con la famiglia tiene le redini di un panificio di paese divenuto un brand conosciuto e riconosciuto nel mondo. Una griffe che, nonostante faccia numeri da capogiro, non considera le persone un numero. O meno che il numero non venga esibito su una maglia. «Certo, supportiamo la squadra di calcio dell’Arzignano Valchiampo. Perché è un valore aggiunto per il nostro territorio. Dopotutto se ognuno imparasse a valorizzare il proprio orticello ci sarebbero tanti orticelli rigogliosi. Nessuno di noi è un supereroe. Ma insieme si vince». Territorio, dunque. Non solo come network e filiera produttiva, ma anche nell’accezione d’inclusività. Da qui, il voler formare personale del territorio; sostenere associazioni, scuole, ospedali e cooperative sociali del territorio; e dar voce alle tradizioni del territorio.

Territorio come appartenenza: a una cultura materiale e popolare, a un preciso contesto storico e ambientale, a una quotidianità che sublima in semplicità, tipicità e familiarità. Ecco perché Nicola sulla ribalta di Identità Milano porta come vessillo la Meringata con lo zabaione. «Perché è un dolce che sa di famiglia e di cose semplici, ma non banali. Un dolce perfetto per tutti i giorni. Non a caso è la nostra torta più venduta. E io la traduco anche in monoporzione e in mignon», puntualizza Olivieri. Che monta a neve gli albumi, prepara la chantilly al mascarpone, per poi passare alla realizzazione dello zabaione. Tuorli e Marsala addicted. Sopra: granella d’amaretto.

E poi? La Fugassa. Naturalmente alla grappa. Per venetizzare e geolocalizzare ancor di più l’iconico lievitato. Presentato in versione mono e con la cremosità di un dessert. «Ma nel nostro laboratorio la produrremo in maniera classica. Studiando un packaging ad hoc. Affinché abbia una precisa identità e si sappia distinguere», commenta Nicola. Ricordando il brillante coffret pink realizzato in occasione del panettone summer edition, arricchito da una solare macedonia di frutta candita artigianalmente. Fugassa: figlia di ben tre impasti, nutriti dalla farina Petra 6384. Nonché da latte, burro, zucchero, uova, zest d’arancia e di limone. Per un mood delicatamente agrumato. Il tutto innaffiato da una bagna alla grappa. «Quasi un babà, ma alla veneta maniera», sottolinea il pasticcere. A corredo: ganache montata, a base di panna e cioccolato Ivoire di Valrhona, vanigliato e vellutato. «E a Natale arriverà il pandoro con la grappa», svela Nicola. Che annuncia pure un pop-up a Milano, in via Tortona. E altri oltreoceano, all’interno di Eataly: tre negli Stati Uniti e uno in Canada. Precisamente a Dallas, Los Angeles, New York e Toronto. (Cristina Viggè)

 

Luca Lacalamita

Luca Lacalamita

LUCA LACALAMITA: PANE, PUGLIA E CIOCCOLATO - «Lula è la sintesi del mio percorso. Attraverso gli anni e attraverso diverse realtà ristorative. Un luogo fluido, contemporaneo, dove nascono pane e dessert. Che solo apparentemente sono mondi lontani. In realtà il pane è complementare ai dolci ed è l’ennesima espressione della precisione dell’artigiano. Il pane fa da spalla alla pasticceria. Che necessariamente include l’universo dei lievitati», spiega Luca Lacalamita, protagonista sul palco di Identità Milano. Luca: classe 1985, una valigia colma di esperienze (dai londinesi The Dorchester e Pétrus by Gordon Ramsay al milanese Cracco-Peck, dallo spagnolo elBulli alla modenese Osteria Francescana, sino alla fiorentina Enoteca Pinchiorri) e un presente nella sua natìa Trani. Un ritorno in patria. Dopo tanto girovagare. «Lula ha avuto ben nove mesi di gestazione. Perché mi sono voluto prendere il tempo per ragionare, capire, conoscere e scoprire il mio territorio. Che avevo lasciato. Sì, io sposo la costanza della tartaruga. Senza aver la fretta di raggiungere determinati obiettivi. Con la consapevolezza dei traguardi raggiunti. E con l’entusiasmo di avere nuove mete».

Va piano piano Luca. E va lontano. Con i piedi ben saldi per terra. E con gli occhi rivolti al mare. Proprio come la Cattedrale di Trani, il più aureo e alto esempio di stile romanico pugliese. «A lei ho persino dedicato un prodotto: il Pane Rosone», ricorda Luca. Che non dimentica la Rosetta soffiata: una pasta bignè super ariosa all’olio extravergine d’oliva, da farcire con ingredienti salati. Mentre presenta i taralli al cioccolato, realizzati con la farina Petra Maiorca e chiusi come un tortellino (Modena insegnò); e il Pane al cioccolato. Una vera crasi fra panetteria e pasticceria. In cui la farina integrale incontra il lievito madre Giotto e il cioccolato Guanaja di Valrhona. Perfetto da solo, ma pure in combo con formaggi erborinati e confetture. O, come in questo caso, in pairing con un sorbetto al cioccolato. Un pane-omaggio. Una dedica aperta a Dan Barber, conosciuto nella bakery annessa al Blue Hill, appena fuori New York.

Pane e dessert, naturalmente. In primis la Tartelletta di frutta e verdura di stagione. «Alla base c’è una frolla vegetale, messa a punto utilizzando farine integrale e di mandorle, legate da un grasso ottenuto emulsionando burro di cacao, extravergine, olio di cocco e acqua. È una frolla performante, che non soffre l’umidità», continua Luca. Che completa il dolce proseguendo sulla via della mandorla. «Vado a creare un cremoso con una pasta di mandorle cruda. Si tratta di mandorle selvagge, figlie del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Il tutto unito a olio extravergine della varietà coratina e cioccolato Amatika di Valrhona. Un grand cru nato nelle piantagioni del Madagascar. Un cioccolato al latte senza latte, vista la presenza del latte di mandorla», precisa il lievitista. Che continua con una glassa di albicocche e un agrumato biscotto-dacquoise burro e uova free, ma prezioso di farina di segale (coltivata da una piccola azienda di San Severo), olio e succo di mandarino. E al top? Verdura e frutta: carote di Polignano, fagiolini, melagrana, limone, mandarino, pera coscia, prugna e mela murgina. «Per gli ortaggi uso uno sciroppo preparato con miele di ciliegio. Mentre la frutta la lascio al naturale, oppure la metto a riposare in uno sciroppo di zucchero leggero. Affinché esprima l’intrinseca dolcezza».

Luca, Lula e Mate. Maria Teresa Scaringi. Al fianco del pasticcere sul lavoro e nella vita. E, intorno a loro, contadini, artigiani, arte, artigianato e un territorio da raccontare. Anche in un souvenir quale la Cattedrale. Una sorta di calamita: non da applicare al frigo ma da mangiare. «Mi piace l’idea che i nostri clienti si portino a casa un pezzetto di Puglia. Un ricordo da assaporare», afferma lui. Traduzione: una camicia di cioccolato fondente Guanaja che cela un torrone di mandorle murgine - della cultivar Filippo Cea - e briciole di Pane Rosone». Un inchino a Trani. E una riconferma dell’inscindibile legame fra pane e pasticceria. (Cristina Viggè)

 

Francesca Castignani

Francesca Castignani

FRANCESCA CASTIGNANI CANTA I TESORI NASCOSTI DELLA TUSCIA - Gli umili, gli emarginati, i dimenticati. Celebra gli ultimi Fabrizio De André. E Francesca Castignani lo sa bene, scegliendo proprio La canzone di Marinella per raccontarsi e raccontare i gioielli di un territorio fiorente eppur fuori dal coro come la Tuscia viterbese. Facendoli riemergere dalle acque dell’oblio. «La Tuscia non è frequentata dai blogger. Non è di moda. Ma io amo le cose nascoste e non famose», spiega Francesca. Nata a Tarquinia. E da ben undici anni fissa a Tarquinia, dove vive e lavora. Anche se post liceo classico scelse un’altra strada. Quella che la portò a La Pergola di Heinz Beck - dove conobbe Enrico, suo marito - e che la condusse nella Parigi di Pierre Hermé. «Lì appresi il rigore, la disciplina e il significato della competenza. Facendo e rifacendo, per giorni e giorni, una crostatina. E imparando che solo step by step si raggiunge un traguardo. Perché ci vogliono tempo e pazienza per far bene le cose. Ma, una volta conquistata la conoscenza, si acquisisce più sicurezza».

Un messaggio forte e chiaro quello di Francesca a Identità Milano. Che ribadisce il valore della fatica e del sacrificio nel lavoro. «A volte bisogna passare attraverso un percorso doloroso, fatto di sfide e di ostacoli. Dopotutto, dai diamanti non nasce niente, ma dal letame nascono i fior», commenta lei, citando Via del Campo. Così come sono necessari grinta, coraggio e tenacia per scavare fra i tesori poco noti di una terra onesta e sincera come quella Maremma laziale che volge verso il mare. «Terra che non conoscevo. E che ho cominciato ad apprezzare grazie a questo mestiere. Andando qua e là e parlando direttamente con i produttori». Umile e immensa Francesca, capitana della pasticceria Belle Hélène. In un’ode alla “scuola” francese e alla zia Elena.

La Francia e la Tuscia. Lo charme e il genius loci. Concentrati in una leccornia dal nome femminile: Marinella. Che dà respiro al fagiolo tondino del Purgatorio di Gradoli. Un fagiolo piccolo ma caparbio, dimenticato e recuperato, grazie a lungimiranti coltivatori. Un fagiolo che nutre il terreno, potenziandolo. E che nutre pure i commensali di un pranzo benefico - organizzato il mercoledì delle Ceneri dalla Fratellanza del Purgatorio -, in cui una delle portate principali è un’insalata preparata col legume risorto: lessato in acqua aromatizzata al rosmarino e condito con l’olio. «Sono partita da qui per concepire questo dolce», confessa la pasticcera. Mentre fa un cremoso di fagioli, quasi fosse una maionese, utilizzando l’extravergine di monocultivar caninese. Che torna in un’emulsione, con limone e rosmarino. «Ci voleva la nota acida. Che rinfresca e crea il contrasto in un dessert dove tutto è caldo, avvolgente e rassicurante».

Alla base c’è infatti una frolla pressata alle nocciole. Di cultivar tonda gentile romana. Preziosa e versatile. «Il cui sapore tostato e caramellato viene prolungato grazie alla presenza del cioccolato Dulcey di Valrhona». Utilizzato anche in quei dischetti (sempre complici le nocciole) che vanno a suggellare la delizia. Somigliante a un fiore grezzo, pronto a sbocciare. A completare il tutto? Meringhe alle nocciole e crema delicata e leggera di ricotta (vaccina e ovina), arricchita dall’agrumata nuance del limone candito. Ricotta: a ricordare il dinamico comparto caseario e pastorale della Tuscia. Della serie, la biodiversità di un paesaggio in un polifonico assaggio.

E le castagne? Arriveranno presto, nel Mont Blanc by la Belle Hélène e in una ghiottoneria più rustica. E verso la fine di ottobre si svelerà pure un progetto che coinvolgerà Francesca nel versante salato, in combo col Gambero Rosso. (Cristina Viggè)

 

Pino Ladisa al termine della sua lezione al congresso

Pino Ladisa al termine della sua lezione al congresso

PINO LADISA E IL LAVORO DEL PASTICCERE PER UN NUOVO FUTURO: PASSIONE, TECNICA, RICERCA, TRADIZIONE - È un viaggio dal Nord al Sud della Puglia: dalla Capitanata, la parte più settentrionale del Tacco d’Italia, al Salento passando per la terra di Bari che, poi, è quella d’origine di Pino Ladisa. Classe ’70, il pasticciere cioccolatiere barese «nato, cresciuto e, forse, pure concepito in laboratorio», ha portato a spasso tra i sapori della sua Puglia i partecipanti alla sua lezione di Pasticceria italiana contemporanea, a Identità Milano 2021.

L’ha fatto a suo modo, con grande attenzione all’estetica, ai prodotti del territorio e alla contemporaneità declinati in tre assaggi inediti: una pralina in cui il protagonista è stata l’oliva Peranzana semicandita, e l’olio extravergine d’oliva della stessa cultivar; una seconda pralina in cui a farla da padrona è la mandorla Filippo Cea di Torritto e le tradizioni dolci di famiglia e un finto pasticciotto, «perché a Bari – ha spiegato sorridendo - al massimo, possiamo parlare di bocconotto!».

La partenza del viaggio tracciato da un tour manager d’eccezione come Ladisa parte da una finta oliva riprodotta a partire da un calco in silicone alimentare con una camicia di cremino al pistacchio con un ripieno di oliva Peranzana semicandita, ganache all’olio d’oliva con cioccolato bianco Ivoire di Valrhona e panna infusa al basilico e un cuore di briciola di frolla, taralli e lo stesso cioccolato Ivoire. A Bari il boccone prende la forma di una mandorla che racchiude una purea di mandorla e cioccolato bianco, gel di visciole, pan genoise bagnato con Alchermes.

L’ultima tappa del viaggio, denominata Come un pasticciotto, è in realtà una tartelletta di frolla cotta in bianco con un ripieno di pan di Spagna e purea di gelsi profumata alla lavanda con una copertura di glassa anidra al gel di gelso e briciole di cartellate completata da un fiore di frolla serigrafato. (Mariella Caruso)

 

Gianluca Fusto a Identità Milano 2021 con la sua scatola per le torte, appositamente studiata per la sua pasticceria Fusto Milano e che riporta una frase della poetessa milanese Alda Merini

Gianluca Fusto a Identità Milano 2021 con la sua scatola per le torte, appositamente studiata per la sua pasticceria Fusto Milano e che riporta una frase della poetessa milanese Alda Merini

ENSO/SENSO. PER LA SUA QUINDICESIMA VOLTA A IDENTITÀ, GIANLUCA FUSTO PUNTA TUTTO SUL CIOCCOLATO - Non esiste altro tempo che questo meraviglioso istante. Questa frase della poetessa milanese Alda Merini è il pensiero speciale riservato da Gianluca Fusto ai suoi clienti. L’ha fatta stampare all’interno delle scatole quadrate in cartone satinato nero che accolgono e proteggono le sue torte. Scatole che, dice il pastry chef alla sua quindicesima partecipazione a Identità Milano (su sedici kermesse in totale: lo batte solo sua maestà Corrado Assenza), «sono una carezza per il cliente» e accoglieranno anche la nuova torta Enso, dal giapponese "cerchio", che è il più comune segno calligrafico nipponico.

«È una parola che nel buddismo zen indica il cerchio dell’illuminazione, il collegamento tra anima e corpo, e che per noi è diventato un marchio stilistico», spiega Linda Massignan, co-founder con Gianluca di Fusto Milano, la pasticceria artigiana contemporanea dal concept innovativo e sempre in evoluzione. Ed è Fusto a proseguire nella spiegazione: «I nostri clienti sono ospiti. Per presentarsi alla porta del nostro locale devono suonare, attraversare due soglie e un cortile. Il nostro è infatti un luogo di esperienza, ci spinge il desiderio di abbattere le barriere, offrendo piena trasparenza su ciò che facciamo».

È un’esperienza di degustazione quella proposta a Identità Milano 2021 con la fetta di torta Enso, «la mia prima di solo cioccolato», studiata anche nell’altezza, «la prima e unica torta di soli 3 centimetri perché questo cioccolato del Madagascar è talmente aromatico e armonico che se la torta fosse stata più alta avrebbe perso gusto». La struttura della Enso, spiega il pastry chef, «è composta da una base di biscotto quasi masticabile con dentro frutta secca e pezzi di grue di cacao caramellato dove avergli fatto perdere tutto il burro di cacao, una crema più densa e una mousse a base acqua». E, come ha sottolineato durante la degustazione, la torta va mangiata a fette cominciando dalla punta del triangolo, «il modo perfetto di preparare la bocca». (Mariella Caruso)


IG2021: il lavoro

a cura di

Identità Golose