Un profumo suadente aleggia in queste ore a Identità Golose Milano, primo hub internazionale della gastronomia. È quello del fungo ipogeo più invidiato, apprezzato e desiderato del mondo, il Tuber magnatum: sì, proprio il tartufo bianco d'Alba, eccellenza unica del nostro Paese, protagonista ancora per tre cene, fino a sabato, di altrettante cene che vedono al pass un trio di chef ugualmente d'eccezione, ossia l'ospite Michelangelo Mammoliti da La Madernassa di Guarene - che da Alba dista giusto una manciata di chilometri, insomma è lupus in fabula - e la coppia Andrea Ribaldone-Alessandro Rinaldi, di casa in via Romagnosi 3.
Tartufo bianco
über alles, dunque. Le cene prevedono quattro portate - due di
Mammoliti, due di
Ribaldone-Rinaldi - che possono essere pienamente gustate senz'altro, ma trovano il loro perfetto completamento con una generosa pioggia di lamelle fungine. Ne parliamo nella seconda parte di questo articolo. Prima, però, un altro tema: abbiamo approfittato della presenza di
Mammoliti a
Identità Golose Milano per chiedergli quali siano le regole auree per gustare al meglio il tartufo bianco d'Alba, lui che è esperto in materia. Ce ne ha raccontate sette. Eccole.
IL CALORE - Come e quando usare il tartufo bianco d'Alba? «È diffuso un errore tecnico ormai diventato quasi "classico": lamellare il tartufo su una battuta di carne al coltello, magari una fassona piemontese. Sbagliato: questa preparazione non valorizza l'elemento forse più inebriante, che è il profumo, perché è fredda. Serve piuttosto un piatto caldo, sopra i 65°», per far sì che
bismetiltiometano e
dimetilsolfuro - le due componenti chimiche gassose "responsabili" di quell'inconfondibile odore inebriante - si diffondano al meglio.
L'ABBINAMENTO - Ci si può sbizzarrire, dice
Mammoliti, tenendo conto di una stella polare, nel pensare ad abbinamenti meno banali rispetto a quelli più diffusi: il tartufo bianco d'Alba apporta note agliacee, e risulta quindi indicato in tutte quelle combinazioni per le quali è ben supportata una nota d'aglio. Invece, tartufo e acidità non vanno affatto d'accordo: evitare. «Alla
Madernassa il tartufo accompagna tante mie portate, pure dolci, come la
Tarte soufflé con cioccolato 85% e gelato al tartufo». Anche nel mondo salato lo chef di Guarene abbina spesso il tartufo in maniera creativa: «
Ostrica e tartufo. Oppure con l'anguilla». E ancora, generose grattate di tartufo sono proposte per
Animelle alla carbonara con tagliatelle di seppia o
Capasanta arrostita con infusione di radice di prezzemolo e zucca profumata agli agrumi. «E con i miei
Spaghetti Bbq». Ha cittadinanza anche l'uovo, come da tradizione, ma in forme nuove: velo di albume con tuorlo confit in olio di prosciutto di Cuneo e royale di midollo.
L'ACQUISTO - «Il tartufo bianco d'Alba è uno straordinario prodotto del mio territorio, lo amo da sempre, mi piace inserirlo nei miei piatti. In un weekend ne uso anche due chili, e i miei preferiti sono le cosiddette “piattine”, che si raccolgono preferibilmente vicino a piante di tiglio (hanno in questo caso un aroma più dolce,
ndr) nella mia zona, tra Alba e Roero. Perché proprio quelli? Semplice: hanno più profumo».
LA QUANTITÀ - Ovvio, il tartufo bianco d'Alba costa, quindi ciascuno è tentato di limitarne un poco il consumo, una piccola aggiunta al piatto e via. In realtà, avendo comunque un aroma delicato, specie se abbinato a piatti intensi ha poco senso fare economia, perché il risultato rischia di essere deludente. Per gustarlo al meglio, serve una lamellatura generosa. E, dunque, è consigliabile anche concentrare una certa quantità di tartufo su un singolo piatto, piuttosto che suddividerla tra due: si avrà più soddisfazione, si apprezzerà di più.
Mammoliti: «Io e mia moglie se non ne grattiamo almeno 20-25 grammi, non siamo contenti». Il portafoglio lo sarà di meno, ma questo è un altro discorso.
IL TAGLIO - La lamellatura è importante. Le fettine devono essere sottili e omogenee. Per questo anche un uso casalingo impone l’utilizzo di un affettatartufi, strumento in questo caso indispensabile.
LA CONSERVAZIONE - ll tartufo, come tutti i funghi, teme l’umidità. Va conservato in frigorifero, nel cassetto di frutta e verdura, avvolto in una garza, oppure in un foglio di carta da cucina (in un caso e nell'altro, controllare che non si inumidiscano. Nel caso, sostituirle), all’interno di un barattolo di vetro ben chiuso. È invece pratica sbagliata conservare il tartufo immerso nel riso, sempre all’interno di un barattolino di vetro e in frigorifero. Vero, il cereale assorbe l’umidità in eccesso. Ma si mangia tutto l’aroma: così avrete un riso profumato ma un tartufo deludente.
IL TOP - «Il tartufo bianco d'Alba è un complemento, la ciliegina sulla torta. Per me l'abbinamento con il quale rende di più in assoluto è con un buon foie gras pochée».
Ed ora, i piatti che abbiamo assaggiato.
S’8terra, di
Michelangelo Mammoliti - Mousseline di patate della Bisalta con quinoa cotta in estrazione di porcini, chiocciole di Cherasco e infusione alla salvia Icterina. Il piatto è stato messo a punto dallo chef nel 2016 ed è nato grazie al ricordo che
Mammoliti aveva della bagna càuda, la tipica specialità gastronomica della cucina piemontese. «Patata e tartufo funzionano insieme, come noto. Qui apporto anche una nota affumicata. Ma in questo caso il tartufo è un supporto, una variazione aromatica. Non ho messo aglio nella patata, la nota agliacea la conferisce proprio il fungo ipogeo». Piatto deliziso: come sottolinea
Mammoliti, qui il tartufo ci sta benissimo, ma se ne può anche fare a meno, perché il matromonio tra porcini, lumache e patate funziona già benissimo.
Le mie radici, di
Michelangelo Mammoliti - Riso cotto in estrazione di sedano rapa, infusione leggera alla bagna cauda. Il piatto è stato messo a punto dallo chef nel 2017 ed è nato un pomeriggio in cui era nel suo paese, ad Almese, toccando una foglia di salvia, sotto la quale sono solite nascondersi le lumache. Profumo di terra dunque, come per il piatto precedente: il tartufo è in questo caso un completamento perfetto, raffinato, diremmo indispensabile per apportare una variazione gustativa. Entrambi i piatti con una bella intensità gustativa, ma se la giocano anche con la finezza. «Qui la nota agliacea è data anche dalla bagna cauda, poi c'è l'umami, l'erbaceo della fava tonka, il terroso del sedano rapa».

Diaframma, lattuga arrosto e foie gras caramellato
Diaframma, lattuga arrosto e foie gras caramellato, di
Andrea Ribaldone e
Alessandro Rinaldi - Piatto magnifico, per noi in assoluto il migliore mai preparato da
Rinaldi a
Identità Golose Milano. Complesso, suadente, goloso, fine, con un perfetto gioco di texture. C'è il tartufo bianco, che è un ingrediente nobile. C'è il foie gras, idem. E allora gli chef hanno scelto un taglio di carne considerato "povero", ma buonissimo. «È meraviglioso e un po' negletto - spiega
Rinaldi - Ho selezionato un diaframma di un manzo di 22 mesi, cosicché sia tenero, lavorandolo sembra quasi un burro. Lo scotto appena, in modo che rimanga succoso». Alla base, un biscotto aromatizzato con rosmarino, salvia e timo, per una nota aromatica croccante; poi del cavolo nero sbollentato e saltato in padella per una parte amara; quindi la tagliata di diaframma, una baby lattuga arrosto, con note affumicate, e il foie gras passato nello zucchero grezzo e quindi nella padella rovente, che lo sgrassa un po'. Diventa quasi una millefoglie.

Sorbetto di mandorla di Noto, crema bruciata, meringa al parmigiano
Sorbetto di mandorla di Noto, crema bruciata, meringa al parmigiano, di
Andrea Ribaldone e
Alessandro Rinaldi - Il tartufo bianco sposa molto bene note amare, vanigliate, lattiche. «Quindi abbiamo pensato a una spuma sifonata di latte, bruciata - racconta
Rinaldi - Al centro mettiamo un sorbetto alla mandorla amara di Noto. La parte umami verrà apportata da una meringa alla francese al parmigiano». Finale col tartufo bianco, che ci sta benissimo. Per chi scrive, è un dessert dalle ottime potenzialità, ma con un difetto: eccesso di zucchero nella crema bruciata (abbiamo fatto proprio questa osservazione allo chef, che l'ha accolta).