Attenzione. Un gruppo di pericolosi estremisti si aggira per IG 2015. Si sono asserragliati nella sala Blu 2. Sono armati fino ai denti di prodotti unici, tecniche maniacali, idee senza scrupoli. Sono ossessivi, perfezionisti, visionari, compulsivi. Presi singolarmente sembrano innocui, tutti insieme mettono paura, perché allargano smisuratamente i nostri orizzonti. E ciò in qualcuno può provocare vertigini. Inutile provare a trattare, con loro non si ragiona. Quindi tanto vale ascoltarli.
A inaugurare Identità Estreme è
Roberta Pezzella, la rana ribelle, la piccola fornaia punk che sta scrivendo pagine nuove dell’arte bianca assieme a quel genio di
Gabriele Bonci nel forno di quest’ultimo in via Trionfale, a Roma.
Roberta ci propone una colazione vegetale, che lei non si spinge a definire vegana per puro rispetto: un croissant e una brioche realizzate entrambe sostituendo allo zucchero tradizionale uno di cocco, dal minore apporto glicemico, e al burro di cacao un burro vegetale. L’altra faccia del cornetto surgelato e supergrasso con cui intossichiamo le nostre mattine.

Pasquale Torrente sul palco. Al centro della sua lezione, il suo prodotto-feticcio, la colatura di alici di Cetara
Dai sussurri di
Roberta alle grida di
Pasquale Torrente del Convento di Cetara, che incentra la sua lezione su un prodotto strong per definizione, la colatura di alici per l’appunto di Cetara. Estremo per localizzazione, tecnica produttiva, prezzo, sapore: «Un prodotto dietro il quale c’è tutto un popolo».
Pasquale ne è orgoglioso e si vede. Ne dispensa di persone poche gocce a rianimare un piatto di Trippa (per’e muss’), cozze, sedano e carote accompagnato a un Sang’e Maria, versione partenopea del Bloody Mary. Sacro e profano, ma più sacro.
L’estremismo di
Daniel Burns si sostanzia in ciò. Che lui, che pare uscito da una puntata glam di The Big Bang Theory, ha ideato un posto a Brooklyn, NYC, dal nome
Luksus at Torst che in danese significa Lusso-e-Sete, in cui si beve solo birra. Venticinque tipi spillati direttamente nel bancone che domina la sala principale, 150 in tutto nella carta del piccolo ristorante acquattato in fondo. Birre da ogni parte del mondo (come? Sì, anche dall’Italia), ad accompagnare tutto e di tutto. Anche e soprattutto la cucina di ispirazione “new nordic” di
Daniel, che è stato pasticciere e sous chef al
Noma di Copenaghen, il posto delle fragole della cucina mondiale. Ci arrivano delle capesante crude con purè di funghi e di alghe e chips di funghi, ma più ancora ci fidiamo dei critici della Michelin, che per la prima volta hanno voluto dare una stella a un’insegna dove non si beve un goccio di vino.

Daniel Burns ha aperto un ristorante a New York, Luksus at Torst che in danese significa Lusso-e-Sete, in cui si beve solo birra
Dopo la pausa si riprende nientedimeno con
Paolo Lopriore, uno che estremo lo è per poetica. Scarmigliato, inquieto, emotivo, destinato a dividere come tutti gli artisti: avanguardia assoluta (i più) o sopravvalutato (i meno)?.
Lopriore, da un po’ di tempo di nuovo nella sua Como da
Kitchen, come Michael J. Fox ritorna al futuro e si confronta con la tradizione stringente della cassoeula, che lui smonta espressionisticamente senza buttare nessun pezzo, ingentilisce trovando nuove silhouette, profana per santificare. Lo applaude in prima fila uno dei suoi maestri,
Gualtiero Marchesi.
Estremo per geografia e clima (e anche anagrafe: stazza appena 24 anni) è
Poul Andiras Ziska che arriva dalle isole Faroe, una manciata di scogli tra la Scozia, l’Islanda e la Norvegia. Terra del forse (perché il clima è imprevedibile) e del vento che dà una mano lavorando alla fermentazione delle carni e dei pesci lasciati in locali semiaperti, secondo una tecnica solo qui praticabile. Il suo locale,
Koks, è il più rinomato dell’arcipelago, e vi si pratica una cucina a sinistra della “new nordic”, praticamente extraparlamentare.

Dalla Sardegna al grande freddo: Roberto Flore è a capo del Nordic Food Lab di Copenaghen, il laboratorio collegato al Noma che studia il cibo del futuro
Mai bevuto un distillato di formiche? Noi da oggi possiamo orgogliosamente esclamare: sì! Ce lo ha ammannito
Roberto Flore, che chef-non-chef di cibo estremo è esperto come pochi. Sardo esploratore è arrivato nel grande Nord che è ormai l’Eldorado di chi fa cucina e lì è diventato capo del
Nordic Food Lab di Copenaghen, un laboratorio di ricerca che analizza tutti gli aspetti della trasformazione degli ingredienti, delle loro potenzialità, dei meccanismi di comunicazione olfattiva, della loro riproducibilità. Cose che hanno a che fare con l’evocazione, con i nostri orizzonti gustativi, con i nostri pregiudizi alimentari. Cosette così. L’intervento che apre più file di tutta la giornata.
Sergio Capaldo e
Marco Stabile ci riportano a cibi più vicini a noi: ad esempio la “ciccia” buona. Come quella piemontese della Granda, associazione ambasciatrice della qualità e dell’integrità della razza Piemontesa, e che cura la proposta carnivora di tutti gli Eataly italiani.
Capaldo produce la stoffa,
Stabile, chef di
Ora d’Aria a Firenze, fa lo stilista che cuce sartorialmente la carne. Coltivare la carne, chiamano tutto questo loro, nel senso che, dice
Capaldo, «se non c’è una terra intelligente non può esserci una cucina intelligente». Chi può confutarlo?
Chiude la giornata estremista
Manuele Senis, chef di
Fradis Minoris a Pula in Sardegna. Che basa tutta la sua cucina esclusivamente su ciò che il mare aperto o di stagno offre ogni giorno. Senza infingimenti. All-in. Prendere o lasciare. E oggi prendiamo un muggine (fintamente) arrosto, in cui il pesce è marinato crudo e si abbrustoliscono solo le pelli. Accanto un decotto di erbe aromatiche a centimetro zero. Saluti estremi.