Tanta qualità ma "con la calcolatrice", capace di produrre risultati economici; artigianalità in grado di sfuggire alla sindrome del "piccolo è bello"; il buono che deve coniugarsi col sano, poiché vogliamo tutti stare bene di salute e avere un pianeta pulito, dove chef e agricoltori si sostengano a vicenda. La ristorazione di domani è forse in questi concetti; è stata tra i protagonisti dell'Expo delle Idee, l'evento convocato all'Hangar Bicocca di Milano come chiamata a raccolta di progetti con l'obiettivo di dare contenuto al tema di
Expo2015, "Nutrire il pianeta energia per la vita".
"Aggiungi un posto a tavola: la ristorazione di domani" era quello del gruppo di lavoro coordinato da
Paolo Marchi, un team di esperti in grado di delineare possibili prospettive del settore partendo proprio da case histories. Come quello di
Claudio Liu, proprietario di
Iyo a Milano, primo stellato giapponese in Italia: «Fondiamo il mio spirito imprenditoriale cinese, la tecnica e il rigore dello chef nipponico
Haruo Ichikawa e la fantasia del co-chef italiano,
Lorenzo Lavezzari. Mi piace dire:
io cucino globale, per un pubblico tra i 20 e i 40 anni che gira il mondo. E' il futuro» che si nutre però anche di passato, a volte recupera il rapporto con la terra e dà voce e reddito a quel mondo di contadini e allevatori che una cucina di qualità deve/può salvaguardare. Lo testimoniano altre storie. Quella di
Franco Pepe: «Oggi stiamo creando un piccolo ecosistema attorno alla nostra pizzeria, vi produciamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno, farine, pomodoro, olio, mozzarella. Lavoriamo su questi prodotti per passare dalla pizza "solo" buona a quella
buona e sana». Poi,
Pietro Zito, chef contadino che in questi momenti di crisi ha raddoppiato il fatturato puntando sulla parola "certezza": «Sono certo di cosa servo, perché lo coltivo io stesso. Il nostro sforzo deve essere quello di dare dignità agli agricoltori, la parte meno "televisiva" di questo mondo del cibo che ha acquisito enorme popolarità».
E’ una chiave di volta. Serve un patto tra categorie, lo sollecita
Lucio Cavazzoni di
Alce Nero: «Il mio termine è “agricoltura di prossimità”», in cui il ristorante di qualità diventa un volano per il territorio. «Già lo siamo», è la replica di
Carlo Cracco e
Massimo Bottura. Il primo spiega come martedì, a
Identità Milano, sarà il narratore della sua terra berica, «racconterò il broccolo fiolaro di Creazzo», tre produttori. Il secondo pensa a un «grande progetto di costruzione di una gastronomia italiana» che preveda la formazione di una cultura del cibo, con gli chef chiamati a insegnare integrando i docenti degli Alberghieri; il dialogo tra gli attori del settore, da Slow Food a Identità Golose, passando per imprenditori e Università; un’efficace comunicazione che si rivolga al mondo; un’intesa con il potere politico per la sburocratizzazione del comparto. Concetti sui quali concorda
Marco Reitano, sommelier de
La Pergola a Roma: «Gli stage dovrebbero durare minimo 12 mesi» anche perché, rileva
Cracco, «una volta si iniziava a far esperienza a 14 anni, oggi 6 anni dopo. Troppo tardi».
E’ uno dei limiti della ristorazione italiana, ce ne sono altri. E’ vero infatti che «rappresenta un terzo dei consumi alimentari in Italia, è uno straordinario strumento per costruire costumi di vita» sulla base di trend emergenti, «il cibo come fonte di benessere e come elemento di condivisione, il controllo di filiera e la sostenibilità», rimarca Lino Stoppani, presidente Fipe. Ma tutto questo accade in un panorama in cui «la ristorazione di alta gamma è ancora economicamente irrilevante per il Paese e vive spesso in perdita. Occorre creare invece ricchezza e posti di lavoro, che è un tema etico, specie in un Paese con la disoccupazione giovanile oltre il 40%», è l’invito di Max Bergami, della Bologna Business School, perché – aggiunge Maurizio Patron, di Electrolux - «dobbiamo fare come in altri campi: definire una sorta distretto. Bisogna diventare più grandi», o meglio «creare seconde e terze linee, perché l’eccellenza assoluta non fa numeri», replica Cracco. Sintetizza Severino Salvemini, docente Bocconi: «La ristorazione deve crescere, saper conciliare alta qualità e dimensioni maggiori. Gli chef diventino imprenditori, facciano come gli Armani e i Versace negli anni Settanta, quando lanciarono il prêt-à-porter; e le istituzioni li promuovano come ambasciatori dell’eccellenza». Bisogna codificare e replicare: «Codificare le ricette per poterle far replicare in strutture più grandi o in più strutture».

E' stato il premier Matteo Renzi a chiudere l'Expo delle Idee. prima di lui, altri interventi di prestigio, da Carlin Petrini a Giancarlo Caselli, dal ministro Maurizio Martina a Umberto Veronesi. Senza contare il messaggio del presidente Sergio Mattarella, l'intervento dal Brasile dell'ex presidente Luiz Inácio Lula e il lungo messaggio video di papa Francesco
Parole che non entusiasmano
Antonia Klugmann: «Credo nel cuoco-custode, non siamo isole in mezzo al mare», bisogna darsi da fare per colmare il gap comunicativo che esiste tra alta cucina e grande pubblico, non produrre repliche di un modulo «che è inevitabilmente personale».
Liu riconosce che quello della codificazione non è un percorso facile, e d’altra parte anche
Salvemini precisa: «Non vogliamo costringere
Bottura a passare da 28 a 280 coperti. Vogliamo che quei 28 si possano reggere e funzionino per il territorio», cosa che avviene «perché hanno grandi ricadute positive».
Trovare l’equilibrio ottimale, dunque, salvaguardando l’unicità dell’eccellenza (anche nel rapporto coi contadini) ma allargando la platea di fruitori della qualità, perché il comparto deve irrobustirsi. E poi l’ultima sfida, sottolinea Marchi: «Fare sistema. E spezzare il colonialismo dei giudizi. Sarebbe già importante che fossimo noi stessi, non altri, a dare le pagelle» alla ristorazione made in Italy all’estero. E’ il prossimo passo.