Difficile dare un colore finale al bilancio di Gastronomika una tre giorni che mai come quest’anno ha avuto una così ricca rappresentanza di cuochi italiani. Da quando esistono i congressi di gastronomia (il primo assoluto si tenne proprio in queste sale di San Sebastian nel 1999, ma con un’altra anima e organizzazione, quella pionieristica de Lo Mejor de La Gastronomia) mai erano saliti su un palco fuori dai nostri confini così tanti chef, oltre una ventina, dall’Alto Adige ad Agrigento, pizzaioli e gelatieri inclusi.

E' stata un'edizione cruciale per il futuro di Gastronomika: è andata bene, la sala era spesso gremita e l'attenzione media elevata. Nazioni ospiti dell'edizione 2015: Hong Kong e Singapore
Al final, le cose sono andate meglio di come lasciava presagire la prima mattinata, un avvio scollato fotografato da
Marco Bolasco, per il quale, «Ancora una volta, i cuochi italiani apparivano in successione isolata e non come immagine di gruppo». Di sicuro faceva specie osservare che all’ora di pranzo, la foto d’insieme non vedeva abbracciati i nostri cuochi, ma i big baschi
Andoni, Juan Mari Arzak, Martin Berasategui, Pedro Subijana, stretti in una ricorrente immagine di coesione che noi non abbiamo mai dato. E chi è stato qui l’anno scorso ricorda i cuochi londinesi, affratellati a cantare all’unisono sotto la stessa Union Jack.
Va bene, è già stato detto tante volte: l’Italia è una somma di individui. Infatti i cuochi non si sono parlati prima per coordinare gli interventi e sarebbe stato sicuramente auspicabile trovare una regia comune, per concordare un’immagine generale dalle quale declinare tutte le grandi specificità che distinguono le nostre cucine, quella varietà che poi è la ricchezza del nostro paese, si dice spesso. Ma forse balzava all’occhio ancora di più l’assenza di una rappresentanza istituzionale: al Kursaal non s’è visto, non diciamo un ministro ma nemmeno un assessore, in un momento in cui nel paese «si sorride poco» (Moreno Cedroni dixit) e in una fase così cruciale con l’Expo dietro l’angolo.

Tra gli interventi più appassionati degli italiani della 3 giorni, quello di un... oriundo, l'uruguayano Matias Perdomo del Pont de Ferr di Milano, una lezione appassionata sulla pasta tra divertimento, gioco e sapori
A saldo positivo è rimasta indubbiamente la possibilità di schierare grandi individualità che si distinguono vuoi per le grandi competenze tecniche, vuoi per la capacità di ricerca e immaginazione. Per la capacità di saper essere innovatori e poliedrici oppure ancora grandissimi conoscitori e manipolatori di prodotti (per conferma, leggere il riassunto di tutti gli interventi nella fotogallery qua in alto a sinistra). E la memoria – vero tema conduttore del congresso, invocato da diversi dei nostri – può realmente diventare uno stimolo verso l’innovazione, come ha confermato anche lo stesso Andoni. Insomma, se nasci in Italia e cresci con i nostri sapori, parti avvantaggiato.
Ultima osservazione: alla fine gli autori delle lezioni più incisive sono stati i nostri cuochi più giovani o quelli meno avvezzi a calcare un palco. Assi decisive della cucina italiana che, ha ben sintetizzato Matias Perdomo, «deve fondarsi sulla tradizione, guardando al futuro e vivendo il presente».