Riciclo e riscatto. Fa specie scoprire che nelle cucine del mondo ci si prende cura del mondo e delle generazioni future. È quello che accade all’Amass di Copenaghen come alla Francescana di Modena, al Reale di Castel di Sangro come nell’accademia vegana di Santa Monica. Passando da Guido a Serralunga d’Alba fino al Ratanà. Per lasciare il mondo migliore di quello che l’hai trovato, o almeno provarci, non c’è bisogno d’essere eroi irredentisti (men che meno terroristi di fama internazionale), basta essere Cesare Battisti.
O Niko Romito. Due volte dieci non fa venti, fa due lustri di vita del Reale, dieci edizioni di Identità Golose da protagonista per un totale di undici piatti-simbolo di una ricerca condotta alla periferia dell’impero gastronomico, nel “fantastico isolamento” dei monti abruzzesi, da autodidatta, in un paesaggio libero dalle ombre ingombranti di grandi maestri. Eccolo, restituito a se stesso, Romito torna semplificato come una frazione e autentico come un assoluto di uomo, prima che cuoco assoluto.

PLANT-BASED. Matthew Kenney, crudista, a colloquio con Cristina Bowerman
Lo chef aquilano si racconta a capitoli come in un film di
Tarantino al rovescio, nettato dal sangue delle polemiche virtuali. Se è vero che i nomi sono le etichette delle parole, è vero che anche che la semplicità elegante che designa i piatti di Romito – che sia un Assoluto di cipolle (2009) o un Carciofo arrosto (2013) piuttosto che una Linguina fredda ostrica e patata (2015) – non dice tutta la verità. O meglio non la svela, nella misura in cui tace la complessità delle tecniche d’alta pressione, estrazione a freddo, il dialogo fra dolce (senza zuccheri) e salato, sulle orme dei maestri
Corrado Assenza e
Ferran Adrià. Fino al Pane (senza cestino) alla ricerca dei grani perduti come il saragolla abruzzese, un altro assoluto che nel menu del Reale diventa portata.
Una ricerca condotta alla scoperta del territorio, fino alla mimesi, che si muove sui passi di un “approccio sostenibile alla creatività”. È il titolo della lezione di Matt Orlando, americano di stanza a Copenaghen ai fornelli di Amass (Danimarca). Il master chef che va matto per l’hip hop e compone personalmente la play list che ogni sera suona nel suo locale (sull’avambraccio destro ha tatutato il logo degli Hieroglyphics, band culto californiana) adopera materie prime come scarti di pesce, fondi di caffè, riciclando persino l’acqua fino a 80 litri ogni giorno, la cera dei fondi delle candele e la carta delle uova (niente paura, cera e carta vengono adoperate solo per accendere il fuoco).

Margarita Fores, cucina materna dalle Fillippine
Trenta? No, cinquant’anni, roba da fare ammattire le sciure, è evidente che fa bene lo yoga e pure il veganesimo di stampo crudista al cuoco californiano
Matthew Kenney (
Matthew Kenney academy a Santa Monica), ritratto della salute al netto di rughe. Altro che carotine tristi e erbette condite di malinconia, ma Lasagne altissime – letteralmente –, pomodoro e zucchine, cariche di colore, salse, emulsioni e testure, replicate in tutto il mondo. Prova che non bisogna metterci creatività, tecnica e gusto per mettere a punto una cucina sostenibile “oltre ogni retorica”. La sottolineatura è del cuoco del
Ratanà di Milano. Battisti ha picchiato forte sul tasto del rispetto, schiaffeggiando chi nell’anno di Expo si è sciacquato la bocca con la storia del “nutrire il pianeta, slogan usato con leggerezza e risultati penosi. Tutti puliti, etici, belli, puliti e giusti, termini svuotati di significato. Sostenibilità vuol dire non compromettere il futuro delle generazioni che verranno”.
Partendo dal rispetto della tradizione, come si insegna da generazioni – appunto – in casa Guido, insegna storica a Serralunga d’Alba (Cuneo) grazie ai fratelli Andrea, Piero e Ugo Alciati, “una famiglia che ha segnato fortissimamente le sorti della gastronomia italiana”, parola di Oscar Farinetti, “uno dei primi due stelle Michelin italiani”. Da Guido si serve una vertiginosa Verticale di agnolotti: al tovagliolo, in brodo, al sugo di arrosto e burro fuso, che diventa verticalissima aggiungendo la tappa con il Barbera.

Cesare Battisti e Luca De Santi del Ratanà di Milano: la sostenibilità è prima di tutto economica
E come solo a Identità accade, da Cuneo alle Filippine con un cambio di scena. Ultimo atto nell’auditorium affidato a
Margarita Forés, signora di
Casa Artusi a Manila. La vincitrice dell’
Asia’s Best Female Chef 2016 per i 50 Best San Pellegrino e Acqua Panna, una cucina materna, legata a filo doppio ai produttori locali che coinvolge in diversi progetti agricoli. Agricoltura a tutta sostenibilità, naturalmente.