24-05-2009

Sua grandezza il pesto

Milano

Dici pesto e tutti con la mente vanno alla celeberrima salsa verde ligure, al pesto di basilico, baxaicò in genovese, dove la presenza dell’aglio è fondamentale perché conferisce vigoria a una crema che altrimenti si ingentilirebbe fino a perdere la sua personalità. Il pesto è maschio, ma non certo unico. Anche geograficamente perché il pesto siciliano, mataroccu, è pomodoroso come non mai, pur se in via diversa rispetto al cugino stretto del pesto ligure, quel pistou provenzale che vanta la presenza del pomodoro e l’assenza dei pinoli e del formaggio, almeno così recita la tradizione sempre mobile come foglie al vento.

Basta un esempio. Quando si parla di pesto avvantaggiato, oggi i più indicano la pasta al pesto arricchita con fagiolini o patate o tutti e due gli ingredienti assieme. Se però lo dici a un genovese avanti negli anni ti ride in faccia perché sarà anche vero che così aumenti la massa, e sazi bocche e stomaci più velocemente, risparmiando su trofie o trenette, ma tutto diventa più chiaro se si pensa alla povertà di un tempo e all’esigenza di risparmiare in partenza un bene prezioso come la farina bianca. Come? Semplice: unendo all’impasto la crusca. Il vantaggio era immediato e se poi quel primo era anche il solo piatto in tavola, benedetti erano anche fagiolini e patate, dopo però quel vantaggio iniziale.

Vabbè. Oggi nessuno ricorre più alla crusca. Resta invece attuale la distinzione tra il pesto della Riviera di Ponente (Genova compresa) e quello di Levante. La differenza più evidente è legata ai pinoli, ignorati a ponente ed esaltati a levante, così come l’aglio è molto più gradito tra il capoluogo e la Francia. Non solo: quando in Lunigiana ci si imbatte nei testaroli, gli stessi vorrebbero un trito di prezzemolo e aglio, con zero formaggio. Però è chiaro che si parla di quando tanti non si potevano permettere nemmeno il più gramo dei formaggi da grattare, come con la torta di erbi, un mix di bietole e di miseria. Non appena tutti hanno avuto due lire in più, via con grana o pecorino perché ben più buono.

E lasciando stare eterne discussioni su burro e panna (per me, comunque, delle bestemmie), piuttosto che la più logica prescinsoeua, una specia di cagliata, un altro scoglio su cui tanti vanno verbalmente a sbattere è il mortaio. I più lo usano come fioriera, fermacarte, portacenere o per pestare il pepe. Fare il pesto nel mortaio non solo è un’arte, ma anche una faticaccia. Morale: viva il frullatore che va però usato il meno possibile perché il basilico rischia facilmente di ossidarsi al contatto con le lame e il calore sprigionato. Questo lo sanno anche coloro che hanno definito il disciplinare del Pesto Genovese Dop, sul punto volutamente vaghi.

Con i vari punti nel sito mangiareinliguria.it, è un recinto per nulla talebano (olio nazionale, aglio pure). Le iniziative di stretta ortodossia sono ad esempio quella di inizio maggio a Genova Prà, Profummo de baxaicò, con tanto di sfida al mortaio a Villa Doria Podestà tra allievi degli alberghieri o il mondiale di pesto, sempre al mortaio, organizzato ogni anno pari (il prossimo nell’aprile 2010) da Roberto Panizza, a sua volta anima dell’associazione culturale Palatifini e a sua volta produttore di pesto con Il Genovese, 347.8009701, e titolare di due negozi, Evo in via Galata, 010.503239, e Rossi in via Cesarea, 010.564955.

Ottimo anche il pesto di Paolo Parisi, come quello di alcuni locali come La Fornace di Barbablù a Vado Ligure, 019.888535; Bacicin du Caru (al mortaio) a Mele, 010.631804; Trattoria da Jolanda a Isoverde, 010.790118; La Buca di San Matteo a Genova, 010.8690648; La Rina a Genova, 010.2466475; Rosa a Camogli, 0185.773411; La Brinca (al mortaio) a Ne, 0185.337480; Trattoria dei Mosto a Conscenti di Ne, 0185.337502 (al mortaio su richiesta). Quanto al libro doc: Pesto e Pesti di Alessia Bernardini per le Guide Moizzi. Si chiude con il guacamole...


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

Paolo Marchi

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Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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