12-09-2023
Salvatore Salvo, maestro pizzaiolo e assieme a suo fratello Francesco, patron della Pizzeria Salvo, con doppia sede a San Giorgio a Cremano (Napoli) e Napoli, in Riviera di Chiaia
Pizza. Difficile ignorarla, silenziare l’impatto comunicativo che negli ultimi anni ha generato e continua a suscitare. Le ragioni sono tante: innanzitutto la sua accessibilità a un pubblico ampio che, nel tempo, ha potuto seguirne l’evoluzione più da vicino rispetto a qualsiasi altro piatto della tradizione italiana (quasi sempre frequentando la pizzeria del cuore, e via via andando in avanscoperta presso le numerose nuove aperture). È l’esperienza diretta, infatti, che stimola chi ha sempre mangiato pizza a riconoscere un deciso balzo in avanti in termini di valore nutritivo, scelta della materia prima, digeribilità e gusto. Basterà poi avvicinare la lente su ogni singola pizzeria di qualità per comprendere che ciascuna si muove come un universo a sé e che, al di là di quanto possa sembrare, la pizza di Tizio è intimamente diversa da quella di Caio. Per esempio, c’è chi accetta la tradizione per quella che è e preferisce seguire la vecchia maniera di sempre perché solida, rassicurante e, per certi versi, intoccabile. In questo caso, l’assioma portante è: «Se fino ad ora ha funzionato così, perché cambiare?». E questa è una strada.
C’è chi, invece, come Salvatore Salvo e suo fratello Francesco, della Pizzeria Salvo (con doppia sede, la prima a San Giorgio a Cremano, la più recente, inaugurata nel 2018, in Riviera di Chiaia, a Napoli) hanno preferito un approccio diverso, ovvero non alterare la tradizione, ma migliorarla ininterrottamente.
Nessun “masto”(maestro), nessuna bottega nella quale formarsi: il punto di riferimento di Salvatore, in particolare, è sempre stato il suo papà; suoi sono gli insegnamenti, la ricetta, il modo di fare e pensare una pizza. Con una piccola cruciale variante.
L'entrata della pizzeria Salvo in via Riviera di Chiaia, a Napoli, ricorda il luogo della sede originaria della pizzeria di San Giorgio a Cremano
Laddove la regola imperava stabile, il “così si deve fare perché così si è sempre fatto” insomma, Salvatore ha iniziato a porre una serie di punti di domanda. Perché mettere in atto quella precisa scelta? È davvero l’unica via? Mai dare nulla per scontato, quindi, mettere in discussione, sviscerare l’origine di ogni singolo gesto. A una condizione: mantenere inalterati i canoni estetici, gustativi e olfattivi, innalzati a una qualità superiore. In sintesi, nessuna modifica nel grado di soddisfazione che una pizza napoletana deve assicurare e cioè, deve essere leggera, si deve sciogliere in bocca e non deve essere croccante, ma quasi inesistente al morso.
Una pizza estesa, la prima delle due possibili varianti concesse dalla tradizione: c’è infatti un doppio binario “visivo” ammesso in città. Da un lato, una pizza dal bordo più alto – la cui estremizzazione oggi è la versione a canotto con una bombatura notevole di contorno –, anticamente preferita dal ceto aristocratico di Napoli che, oltre a essere appassionata del buono, rinunciava malvolentieri al bello; o una pizza più popolare, a ruota ‘e carretto, circolare, ampia, più sottile, dal cornicione ridimensionato e mai croccante.
La Cosacca della Pizzeria Salvo Semplicità assoluta, ma quanta ricchezza in un solo morso: Pomodorino di Corbara, pecorino bagnolese, olio extravergine d’oliva, basilico
Il pomodoro si lascia insaporire dal pecorino che scioglie lentamente sulla polpa
Il risultato finale, naturalmente, dipende dalle scelte in corso d’opera, a partire dall’impasto. Ora, sfatiamo ogni dubbio: per molto tempo, lo stato di grazia della città napoletana e la sua predisposizione alla pizza, al di là delle sue radici, è stato fatto ricadere in buona parte sull’acqua, proveniente dalle sorgenti irpine di Serino (Avellino), un fattore che giustificherebbe anche la superiorità del caffè napoletano secondo gli stessi abitanti della città. Un’acqua molto pura già allo stato naturale, ma che oggi, molto probabilmente, non rifornisce più l’intero tessuto urbano partenopeo. «Eppure le pizze mi vengono piuttosto bene anche a New York. L’acqua, quindi, ha un suo valore, ma entro una certa misura» dichiara Salvatore. Dopodiché, lavoro manuale, sale, lievito di birra e farina.
E a proposito di farina, quale utilizzare? Si parte cronologicamente da un grano tenero, il più diffuso nel meridione d’Italia, dal momento che varietà più forti venivano prodotte e utilizzate perlopiù in Nord e Centro Europa; fino al Piano Marshall, quando iniziano a circolare grani più tenaci (come la varietè Manitoba) provenienti da Canada e Stati Uniti. I pizzaioli napoletani iniziano così a tagliare i loro impasti con i nuovi arrivi riscontrando sin da subito una maggiore elasticità del prodotto finale; riescono, inoltre, a spingere i tempi di lievitazione in avanti, grazie a un impasto resistente, in grado di resistere ore e ore in più.
Salvatore Salvo nel corso della nostra lezione di pizza napoletana secondo la pizzeria Salvo
Oggi la scelta di grani forti è ben più ampia e, come nel caso di Salvatore, non si sceglie la farina, ma le farine andando a creare un blend personalizzato, ottenendo da ciascuna di esse una particolare caratteristica per la pizza.
E passiamo alla cottura.
Quanti di noi conoscono i pizzaioli di una pizzeria? Blasoni, maestri, cortei di pizzaioli dal Nord al Sud Italia. Ma quanti di noi, invece, ne conoscono il fornaio? Un mestiere sin dalle origini bistrattato perché essere un fornaio ha sempre suonato un po' come il garzone del pizzaiolo e il compenso lo attesta, a discapito, ahimè, del fornaio. Eppure, giorni interi di lievitazione, la riuscita dell’impasto, la sua sublimazione dipendono da quei circa 50/60 secondi di cottura a opera proprio di questa figura.
Il panetto si stende partendo sempre dal centro e con i palmi delle mani “si spinge” l’impasto verso l’esterno, poi rapidi e lievi capovolgimenti e la pizza a poco a poco prende forma; ecco che allora, una volta condita, è pronta a incontrare il fuoco.
«Una delle domande che mio padre poneva sempre agli aspiranti fornai era “se conoscessero i colori del forno”», ci spiega Salvatore. Esatto, i colori: le ombre, i riflessi, il calore, i raggi, il timbro che l’appoggio della pizza e una sua iniziale “sudorazione” imprime sulla pietra al di sopra della quale cuoce. La gestione della temperatura non è un gioco: aggiungendo legna, il forno assorbe calore che dovrà essere distribuito in maniera equa su ogni singolo spicchio di pizza, sopra e sotto; la base deve risultare maculata, quasi a pois, e per far sì che ciò avvenga esistono precise rotazioni della pala, da impugnare “un po’ come se stessi guidando un motorino”, fino a portarla alla bocca del forno.
Scrigni di un’arte gelosamente custodita, in qualsiasi momento di manutenzione o costruzione dei forni, nessuno poteva o può ancora oggi orbitare attorno all’artigiano, che un tempo prelevava sabbie vulcaniche in area flegrea.
Il Vesuvio, il fuoco, il suolo vulcanico caratterizzano gli ingredienti selezionati per le pizze di Salvatore
Questa storia, questo intreccio di arti sono gli elementi che spingono Salvatore a non poter che scegliere il fuoco quale ingrediente principe della sua pizza perchè è il contatto con questo elemento vivo, solo apparentemente indomabile, a sigillare non solo una passione che origina dal suo stesso sangue, ma anche il risultato degli studi relativi agli impasti a cui, ne siamo certi, non ci sarà mai fine.
Il Piennolo, pomodoro dalla buccia spessa, dal gusto concentrato perchè cresce con poca acqua - essendo coltivato su terreno vulcanico - ideale per le conserve, ha un sapore minerale, quasi amaro; risulta perfetto per la cottura in forno perchè resiste alle alte temperature
E ora gli assaggi del percorso degustazione ideato da Salvatore Salvo in occasione della nostra visita: preziosa semplicità, un uso ricorrente del pomodoro – dal Piennolo del Vesuvio (che conserva nel tempo la sua succosità, ma anche un “guscio” corposo e resistente) al datterino caramella, varietà coltivata anche in questo caso in area vesuviana e che, come suggerisce il nome, sprigiona una dolcezza delicatissima in cottura.
Il fuoco, insomma, torna anche nella scelta degli ingredienti – la lava, il vulcano, il Vesuvio sono la culla, le radici di Salvatore, delle sue idee e dei prodotti che condiscono i suoi scioglievoli dischi.
GLI ASSAGGI
L'inizio della nostra degustazione è una Montanara, la pasta cresciuta con pomodoro datterino Caramella. Un impasto davvero soffice, ricorda la consistenza di un babà dagli alveoli più grandi; un fritto asciutto perchè la pasta cresciuta, fredda, viene cotta a temperature molto alte evitando l'assorbimento dell'olio. Il datterino Caramella è dolce, zuccherino, avvolge la bocca come una confettura
Doppio assaggio di Margherite
A destra la Margherita Flegrea con Pomodoro “Cannellino Flegreo”, fior di latte, Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi, olio extravergine d’oliva Raro di Madonna dell’Olivo, basilico - il pomodoro in questo caso risulta molto più salino perchè il suolo vulcanico e la brezza che soffia alle pendici del Vesuvio apportano insieme sapidità; questa intensità viene rafforzata anche dall'uso del Parmigiano Reggiano, che crea un velluto sulla superficie della pizza.
A sinistra, la Margherita Caramella, che rispecchia l'anima dolce del pomodoro utilizzato. Due sensazioni tattili e gustative completamente diverse, eppure è la stessa pizza
La Scarpariello Pomodoro Caramella di Nola, pomodori datterini grigliati, battuta di pomodoro biologico, olio aromatizzato all’aglio, prezzemolo e peperoncino, Tuma Persa siciliana grattugiato, Pecorino toscano Gran Riserva grattugiato e basilico.
Persiste tra le diverse varietà e cotture del pomodoro l'acidità della Tuma Persa che arriva tagliente alla fine dell'assaggio, poi il pomodoro torna lentamente, lasciando la leggera nota affumicata dei datterini grigliati
Marinara 4.0 Salsa di pomodori marinata agli agrumi e zenzero , maionese di alici, origano fresco, polvere di aglio nero, alici crude, colatura di alici, olio all’aglio e basilico
La Scapece Base bianca, fiore di zucca, zucchine alla scapece marinate con menta, basilico e aceto balsamico, e guanciale di maiale nero casertano
La pizza resta succosa, fresca con un piacevole gioco di texture che si alternano: la croccantezza delle zucchine, la parte più ruvida del fiore di zucca e l'elasticità del fior di latte
Oshirase Bianca con fior di latte, filetto di manzo marinato alla soia con spezie orientali, salsa di friggitelli, olio extravergine d’oliva Origini di Olio Cru
Questa pizza trova una sua declinazione stagione dopo stagione: nella versione estiva viene utilizzata una salsa di friggitelli, dolce, leggermente acidula, rinfresca la carne marinata e poi scottata al cannello
La pizza a portafoglio, piegata a libretto, con pomodoro del Piennolo in conserva e mozzarella di bufala campana
Tutte le notizie sul piatto italiano più copiato e mangiato nel pianeta
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Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre. Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.
Salvatore Lioniello con il suo immancabile cappello, marchio di fabbrica come la sua diversamente napoletana
Dario Tortorella, a sinistra, e Salvatore Salvo: i protagonisti di una serata intrisa di napoletanità
Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani