16-04-2020
Tina ed Eric Kragh Vildgaard, la prima in sala e il secondo in cucina, hanno conquistato con il loro ristorante Jordnær, in Danimarca, il riconoscimento Welcome and Service per la migliore accoglienza nei Paesi Nordici, assegnato grazie alla partnership con Cantine Ferrari. In questo articolo Tina ci spiega i segreti che l'hanno portata a questo successo
L’espressione Jordnær in danese equivale a dire "Down to Earth": non tanto rimanere "coi piedi per terra", quanto "torniamo a tenere entrambe le gambe solidamente piantate", lì, nel terreno che è la nostra casa, il nostro nutrimento, la fonte del nostro equilibrio, il memento della nostra umiltà.
Un’ispirazione, questa, che nella ristorazione e nel servizio incontra uno spettro potenzialmente infinito di declinazioni, dal coltivare le proprie barbabietole per farne un piatto iconico e minimalista, con formaggio di capra e rabarbaro, all’accogliere i propri avventori in una sala familiare, in perfetto stile scandinavo con tanto di travi di legno bianco a vista, con l’unico desiderio di farli stare bene: non solamente "come a casa", anche qui (trattandosi peraltro di un’espressione quantomai abusata e sempre distante dall’effettiva realtà di un due stelle Michelin), ma più precisamente unici e speciali, conosciuti e riconosciuti, come quando si accoglie per cena - in questo caso sì, a casa propria - un ospite atteso da tempo che non vedevamo l’ora di avvolgere con tutte le attenzioni di cui siamo capaci.
Un momento della premiazione: Camilla Lunelli, a sinistra, tra Thomas Giertsen, Tina Kragh Vildgaard e Gwendal Poullennec
Un doppio blasone che è servito ad accendere all’improvviso un gigangesco riflettore sull'indirizzo che i Vildgaard hanno testardamente voluto aprire a Gentofte, alla periferia nord di Copenaghen, correndo il rischio di restare un po’ all’ombra rispetto ai fuoriclasse della capitale (Eric ha al suo attivo, tra l’altro, un passaggio al Noma, dove’è rimasto il suo - già parecchio famoso - fratello Torsten) e invece dimostrando l’audacia e il talento di chi, con le idee chiare, è pronto a bruciare le tappe.
«Il nostro pensiero fondamentale era quello di creare un ristorante dove avremmo voluto cenare noi stessi e, soprattutto, sentendoci molto a nostro agio nel farlo», racconta Tina, che di quel premio è sicuramente la titolare: in sala è lei la padrona di casa, il primo volto che gli ospiti incontrano all’ingresso e l’ultimo che salutano.
La sala del Jordnær
«Cerchiamo di personalizzare l'esperienza il più possibile - racconta Tina - e per questo cerchiamo di entrare in contatto con gli ospiti personalmente ancor prima che vengano a trovarci. Facciamo una ricerca approfondita su chi potrebbero essere e orientiamo gli spunti della conversazione, anche le più piccole osservazioni, nella direzione in cui loro potrebbero sentirsi "visti" e, di conseguenza, speciali ai nostri occhi, come effettivamente sono».
Tina ed Eric
Ci penserà poi la stessa Tina a riservare agli ospiti un tocco di gran classe e preparazione, attraverso meticolosi ma disinvolti abbinamenti ai vini, che attingono a una wine list «in cui - assicura - abbiamo messo solo le bottiglie che ci piacciono. Non ci sono quelle che non saremmo felici di servire a noi stessi. A questo criterio, uniamo nella selezione un’attenta predilezione per le etichette che immaginiamo perfettamente complementari alla cucina di Eric. E facciamo sì che non manchino mai i vini preferiti dai nostri ospiti, dato che molti di loro sono ormai clienti abituali».
Due piatti del Jordnær. Qui Gamberi crudi, wasabi, aneto...
...e qui Germano reale, prugne, sottaceti estivi
Una cosa, nel frattempo, non vi abbiamo detto: mentre mettevano in piedi un ristorante dal tale potenziale, Eric e Tina hanno anche avuto il tempo di mettere al mondo - e trovano quotidianamente il tempo di occuparsi di loro - sei bellissimi figli, che ogni hanno tra i 2 e gli 11 anni. «Ed è proprio il più piccolo - svela la mamma - che secondo noi diverrà senza dubbio un nuovo chef Kragh Vildgaard!». Una nuova storia familiare, una futura visione da raccontare.
Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri
a cura di
classe 1987, giornalista professionista testardamente modicana, sommelier in formazione permanente. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie, persone e imprese legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo
Pichaya Soontornyanakij, più nota come chef Pam, e il suo maître marchigiano Sacha Di Silvestre: sono i protagonisti di Potong, uno dei migliori ristoranti del mondo, cucina "Progressive Thai-Chinese" a Bangkok, in Thailandia. Foto Carlo Passera
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