10-02-2021

Dalla sala alla cantina. Passato presente e futuro di Gianni Sinesi, che al Reale sarebbe dovuto essere di passaggio...

La storia e le idee del grande sommelier. Con i Romito ha ridefinito i cardini di accoglienza ed esperienza gastronomica. E ora riflette sui codici che le governeranno, dopo i lockdown

Gianni Sinesi,

Gianni Sinesi, "uomo della cantina" al Reale Casadonna di Castel di Sangro, fotografato da Barbara Santoro dietro a una finestra della struttura

L’estate 2004 sarebbe entrata nel vivo di li a qualche settimana quando Gianni Sinesi, diploma d’alberghiero appena messo in tasca, decise di varcare il portone legno chiaro al 49 di via Regina Elena. Rivisondoli è un paesino piccolo piccolo della provincia aquilana autentica e incontaminata, ai tempi conosciuto più dagli amanti dello sci che dai gastronomi.

Lui, pugliese fuori sede, in Abruzzo s’era ritrovato per caso (avrebbe dovuto studiare al conservatorio, vicino casa), invece eccolo li: Roccaraso sullo sfondo, Pescocostanzo di lato. Ancora non sapeva che il suo piano “studio, faccio esperienza e torno al ristorante di famiglia, a Barletta” sarebbe andato presto a farsi benedire: col senno di poi l’incontro al di là di quell’uscio diventerà il primo di una serie di momenti che si allineeranno, disegnando un destino. Quello che legherà il suo percorso professionale alla visione e al sogno di Cristiana e Niko Romito.

La porta era quella del primo Reale, attività di cui i fratelli avevan dovuto prendere in fretta redini e sorti (correva il 2000, e il papà era mancato da poco): ex bar pasticceria già stra-nota per le "bombe", poi trattoria di paese, grazie alla loro visione evoluta rapidamente in ristorante: una trentina di coperti eleganti, legni chiari e tabacco, mezz’archi, mattoni a vista. Un locale che avrebbe avuto la propria ragion d’esistere in qualsiasi altro posto - tra i jazz club del Greenwich newyorkese o le viette parigine a Les Halles - e invece era incastonato tra montagne solenni, placide e bellissime. Ritmi e riverberi globali arrivavano un po' alla volta, come ci fosse troppo mondo, lontano da lì.

La prima sede del Reale a Rivisondoli

La prima sede del Reale a Rivisondoli

Una foto storica dello staff del Reale, Sinesi è il primo a sinistra

Una foto storica dello staff del Reale, Sinesi è il primo a sinistra

Quella dei Romito doveva essere una breve parentesi di gestione, prima di vendere e tornare ognuno alla propria vita. Divenne invece il luogo delle fondamenta: si fecero fatti le ossa per davvero, lì dentro, domando texture in cucina, consumando suole sul pavimento di sala. Era il momento in cui le stelle erano soltanto quelle alte nel cielo, loro ci videro intere costellazioni. Anche l’Assoluto di cipolle sarebbe arrivato qualche anno più tardi, su quei tavoli.

«Ho iniziato che avevo già qualche bella esperienza alle spalle - racconta Sinesi - Ma onestamente non conoscevo davvero a fondo il mondo della ristorazione, del vino, i meccanismi delle guide. Nemmeno tante di quelle cose che messe insieme fanno ciò che può definirsi una cultura gastronomica”.

Firmò il suo contratto che bastò il tempo di un amen. «Quindi devi rimanere due anni con noi? È un sacco di tempo, è tosta»: così venne accolto dallo chef. Nessuno immaginava sarebbero diventati diciassette, quegli anni, durante i quali il nucleo “storico” e indissolubile del Reale avrebbe scritto pagine importantissime della ristorazione italiana, e vissuto l’epica (e l'epoca) dell’ascesa agli astri di quella mondiale.

Altra foto storica, anno 2004: Sinesi sempre a sinistra, in sala con Tomas Torsiello

Altra foto storica, anno 2004: Sinesi sempre a sinistra, in sala con Tomas Torsiello

Nel 2007 la prima stella Michelin, due anni più tardi la seconda; nel 2011 il trasferimento in quel che era il monastero cinquecentesco Casadonna, dove nel 2014 arrivano (in tempi record) il terzo macaron e l’accelerata definitiva al successo internazionale.

Durante le milestones che ne hanno scandito il percorso la sala è evoluta in parallelo a quel che succedeva in cucina, nei piatti, negli arredi e nelle architetture: «È stata una fortuna aver vissuto tutti gli step, da locale di provincia a ristorante di caratura globale» ammette Gianni. «Soprattutto quando, di volta in volta, si è trattato di ridefinire gli standard dell’accoglienza e del comfort dei nostri ospiti. Viviamo di sfumature, la differenza l'hanno sempre fatta i dettagli: abbiamo 9 tavoli, possiamo concentrarci su cose microscopiche».

Il Reale è diventato uno di quei luoghi dove alcuni termini e alcune parole perdono di qualunque significato, e la parola “bellezza” ne acquista di sorprendenti. A Castel di Sangro ci sono oggi dei mondi del gusto - estetico, palatale - che prima non c’erano, e  la visione corale d’un certo tipo di ristorazione che il gruppo Romito ha tirato fuori dal nulla e (alla fine) imposto, facendo invecchiare d’incanto tutto il resto. Un rigoroso lavoro di sottrazione: costante, esatto. Via qualsiasi opulenza, ogni ridondanza: il lusso diventa quello che non vedi, ma c’è.

Sinesi ritratto da Barbara Santoro

Sinesi ritratto da Barbara Santoro

«Ho sentito immediatamente fiducia, puntavano su di me. Soprattutto: abbiamo avuto la possibilità di sbagliare, perfettamente inseriti in un percorso di crescita dove erano ponderati anche gli errori. Negli anni abbiamo virato sempre più sull’eleganza: i dettagli di chi lavora in sala, gli abiti, il portamento, i tempi del servizio, la cultura su vini e formaggi, le lingue straniere conosciute. Abbiamo assecondato la nostra crescita e il mutare dei nostri clienti: all'inizio erano del posto, pian piano da tutta Italia, oggi arrivano da ogni angolo del mondo. La soglia d’attenzione sul nostro lavoro è diventata sempre più alta: quella degli altri e anche la nostra. A volerlo sintetizzare, l’obiettivo è rendere indimenticabile l’esperienza di chi giunge in quest’angolo di territorio, perciò facciamo un buon lavoro quando gli ospiti non devono chiedere nulla. Osservandoli, riusciamo a dedurne le necessità, a volte persino ad anticiparle».

Il servizio del Reale vive di gesti millimetrici, calibrati, sincronizzati. Tutto trasmette armonia, purezza, tranquillità. Più che azioni sono equazioni, di quelle che dimostrano cos’è una scienza esatta applicata all’esperienza di fine dining.

I ruoli sono ben definiti: Gianni si muove tra i dettagli e le sfumature della sommellerie (sembra non tocchi mai il suolo, tant’è la leggerezza con cui lo fa); Cristiana è la padrona di casa e l’anima della sala, ne scandisce i tempi, supervisiona i modi. Coordina le abilità e il talento di un sacco di persone, coinvolte nelle attività del ristorante e dell’hotel di charme. La sua è una leadership granitica, ma tra le sue mani diviene lieve, rara, senza perdere un grammo d’efficacia.

Cristiana Romito e Gianni Sinesi al lavoro (foto Barbara Santoro)

Cristiana Romito e Gianni Sinesi al lavoro (foto Barbara Santoro)

Insieme danzano con un pubblico ancora limpido, che ha voglia di farsi stupire: un privilegio fantastico. «A chi lavora con noi proviamo innanzitutto a dare l’esempio: in questo modo tutti saranno portati a mettere la nostra stessa cura nelle cose, anche soltanto per emulazione. Se c’è bisogno di una posata a tavola siamo i primi a metterla, se c'è da portare un vassoio lo facciamo senza alcun problema. Il contributo di ognuno è importante, ogni membro della squadra è in grado di far tutto, in modo corale».

Ai ragazzi di sala del Reale non viene richiesto di imparare a memoria i menu, ma conoscerli allo stesso livello dello chef che quelle sequenze di piatti ha concepito e realizzato. Devono capirne ogni aspetto per saperli raccontare (sono portate complesse, serve farlo con una certa misura). Hanno schede tecniche, assaggiano tutto. «È una cosa a cui teniamo molto - spiega ancora Sinesi - Cerchiamo di dar loro da subito ogni strumento per fare un grande lavoro».

Per entrare alla perfezione nei meccanismi è necessario rimanere in contrada Piana Santa Liberata almeno un anno, assimilare concetti, entrare davvero nella filosofia del gruppo. «Ai nuovi facciamo una presentazione di tutto ciò che gestiamo e che fa parte del mondo Niko Romito. Da lì si parte per evolvere. Devono capire dove si trovano, che il gruppo offre grandi opportunità se sai guadagnartele: se non si trovano bene qui e magari hanno attitudine per un posti e situazioni diverse abbiamo le realtà degli Spazio, di Alt, dei Bvulgari nel mondo. Sono occasioni che possono essere colte soltanto se credi nel progetto ed entri nella nostra visione. E devi dimostrare che la fiducia che ti viene affidata è ben riposta. Il personale di sala viene selezionato in base a qualità e curriculum, certo, ma assumiamo anche ragazzi con poca esperienza, se con grandissime motivazioni. Quando ci sono passione, voglia di fare e crescere, quando si è motivati davvero a imparare, allora la formazione la facciamo tranquillamente noi».

Niko Romito con lo staff di sala

Niko Romito con lo staff di sala

Questo è un mestiere che può prendere molteplici declinazioni, Sinesi l’ha vissuto sulla propria pelle: viveva la sala e stava già frequentando i corsi per diventare sommelier quando Niko lo incoraggiò ad approfondire il discorso enologico, mandandolo Da Caino, casa di Maurizio Menichetti, luogo dove anche lo chef aveva vissuto i suoi approfondimenti sotto l’ala protettrice di Valeria Piccini.

Bei ricordi: «Montemerano era isolata, non c'era un'anima, il telefono non prendeva. È stata un’esperienza indimenticabile. Maurizio lo considero il mio maestro, colui che mi ha aperto la strada e fatto appassionare al mondo del vino. Andavamo a visitare cantine, abitudine che è rimasta centrale nel mio modo di vivere questo mestiere. Anche adesso approfitto di ogni momento libero per conoscere le aziende e le persone che le animano. È come se fossi sempre a lavoro, in realtà è puro piacere».

All’inizio si concentrava a capire cosa c’era nel bicchiere, i perché di determinati profumi, come ogni sensazione veniva sollecitata. Soltanto poi l’attenzione andava alla geografia delle bottiglie. E come Romito cucinava cose che piacessero a lui per primo, così anche Sinesi sceglieva vini che gli trasmettessero particolari emozioni, a suo gusto: «Adoro i Borgogna, per esempio, ma so bene di non poter cercare quell’identità ovunque. Ogni bottiglia ha una propria personalità, che amo scoprire e valorizzare».

La cantina del Reale Casadonna (foto Alberto Zanetti)

La cantina del Reale Casadonna (foto Alberto Zanetti)

Attualmente in quelle che erano le vecchie stalle di Casadonna ne riposano 8mila, selezionate a seconda di cardini qualitativi molto precisi: pulizia, piacevolezza, bevibilità, riconoscibilità del vitigno, rispetto del territorio. Sono queste le caratteristiche che definiscono l’eccellenza al Reale. Il che non significa possedere soltanto etichette blasonate, ma anche sensibilità e attenzione verso microproduttori e piccole realtà che ugualmente fanno un lavoro enologico straordinario.

«Niko e Cristiana mi hanno sempre lasciato carta bianca per la costruzione della wine list. Ci siamo sempre confrontati, certo, prima di iniziare ad andare in giro a comprare. Sono contento di quello che abbiamo creato, scegliendo prodotti che potessero dare immediatamente alla cantina una bella personalità e un carattere ben definito. Abbiamo avuto pazienza, costruendola un passo alla volta. E, tranne per qualche rara eccezione, la rifarei esattamente così».

In tutto questo tempo ci sono stati dei frangenti in cui esigenze o tentazioni lo hanno portano a guardare altrove, «ma nei momenti chiave di questa mia carriera sia Cristiana che Niko mi hanno fatto sentire parte di una famiglia, prima che di un progetto. Ho sposato un sogno che, almeno all’inizio, non era il mio: lo è diventato, ponendomi obbiettivi che sono andati di pari passo con il percorso del ristorante».

La sala del Reale Casadonna (foto Barbara Santoro)

La sala del Reale Casadonna (foto Barbara Santoro)

Con qualche punto fermo: «Ho sempre avuto un rapporto stupendo con entrambi, in Niko ho sempre visto una fratello maggiore, colui che mi avrebbe insegnato un sacco di cose. Se è vero che il successo può farti montare la testa, nessuno di noi ha mai dimenticato che siamo partiti da zero. Il segreto è stato anche non aver mai dimenticato che loro sono i miei titolari: il rispetto dei ruoli non deve mai mancare. Dopo tanti anni viene spontaneo prendersi qualche confidenza in più, o scavalcare involontariamente le gerarchie: bisogna separare le cose, perché non vadano confusi ruoli e situazioni. C'è bisogno di grande intelligenza per farlo».

Su ruolo e nuove regole dell’accoglienza Sinesi va cauto con i pensieri, cercando di immaginare gli scenari che arriveranno e ci si troverà a gestire: «Sicuramente ricominceremo dagli standard che abbiamo creato nel tempo, ma conoscendoci alla ripresa ritroveremo la perseversanza nel migliorarci in ogni frangente del nostro lavoro. L’accoglienza continuerà ad avere grande importanza nelle dinamiche e nella percezione dell’esperienza. Credo che da parte nostra e da quella dei nostri ospiti ci sarà molta sensibilità: le persone saranno molto felici di tornare nei ristoranti, noi saremo altrettanto felici di riaccoglierle».


In sala

Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri

a cura di

Andrea D'Aloia

abruzzese, classe 1979, nel mondo della comunicazione dal 2001. Negli ultimi anni ha maturato una specie di ossessione per la ricerca continua di cuochi emergenti. Mangia, beve, scrive: di territori e ingredienti, di produttori e cuochi. E scatta tante foto, per non dimenticare nessun particolare

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