16-03-2023

Alessandro Pipero e Ciro Scamardella: «Al ristorante ci vai per la cucina, ma poi ci torni per la sala»

Intervista al patron e allo chef del ristorante romano sulla crisi di vocazione dei camerieri: «Sul tema c'è più attenzione che in passato ma si premiano ancora solo i cuochi. Tutti facciano di più»

Ciro Scamardella e Alessandro Pipero del ristorant

Ciro Scamardella e Alessandro Pipero del ristorante Pipero di Roma, una stella Michelin

Sala e cucina, il discusso binomio. Non c’è dubbio che l’ultimo ventennio ha spostato l’attenzione verso la seconda, a discapito della prima. Per esempio, l’abitudine di aprire un ristorante e chiamarlo col nome dello chef, molto diffusa oggi, era impensabile nell’altro secolo. Nel cuoco-centrismo imperante resistono però ancora le insegne che portano il nome dell’oste/patron, come Pipero a Roma.

Questo tema è lo spunto per un’interessante chiacchierata, organizzata col docente Gabriele Zanatta: da un parte c’erano in collegamento lo stesso Alessandro Pipero e Ciro Scamardella, rispettivamente maître-patron e cuoco del ristorante in questione; dall’altra noi studenti del Master in Food marketing e critica enogastronomica. Pubblichiamo gli estratti più rilevanti della conversazione.

Negli ultimi tempi si è parlato più di sala che in passato. Oggi il tema ha la considerazione che effettivamente merita?
Pipero
: Rispetto a 10 anni fa, c’è maggiore consapevolezza della sua importanza, ma la crescita di interesse è ancora relativa. Si tratta di un problema strutturale: si premiano quasi solo gli chef. Perciò i ragazzi dell’alberghiero sognano di diventare i nuovi Cracco o i nuovi Bottura, non camerieri o maître di rilievo. Soltanto la prospettiva di fare il cuoco offre loro uno sbocco, un premio. Perché, allora, dovrebbero investire sul percorso professionale della sala?
Scamardella: Provate a fare un gioco, chiedete a chi è appassionato di questo mondo di nominare 10 cuochi famosi. Risponderanno senza batter ciglio. Chiedetegli invece di nominare 10 camerieri/maître. A stento arrivano a 3.
Pipero: Di 100 curriculum che ci arrivano, 95 sono candidati che vogliono stare in cucina. La mise-en-place non ha fascino per loro. E in Italia il 99% dei camerieri lavora in nero, o lo fa come secondo lavoro, servendo magari ai matrimoni.

Le guide di settore hanno qualche responsabilità in tutto questo?
Pipero
: La Michelin ha dichiarato che il giudizio delle stelle verte esclusivamente sulla cucina; è un altro messaggio che accende i riflettori sugli chef ed eclissa inevitabilmente la sala. Le recensioni di ogni guida si concentrano al 90% sulla cucina. Alla fine c’è quasi sempre un contentino: ‘Attento il servizio, ricca la carta dei vini’.

Maître si nasce o si diventa?
Pipero
: Tutto si può imparare a fare, se c’è la volontà di farlo. Ma i maître migliori che ho conosciuto io hanno il senso dell’accoglienza innato. Certe accortezze o le hai dentro o non le hai.

Ciro, lei ha mai avuto la tentazione di fare il cameriere?
Scamardella
: No, ma grazie ad Alessandro ho acquisito una percezione diversa del mio mestiere. Mi ha insegnato che l’abilità di un cuoco non si misura solo al di qua del pass ma può anche andare oltre, fino a costruire importanti interazioni con l’ospite.
Pipero: Ciro in sala ci sa fare benissimo, è quasi più bravo a spiegare che a cucinare. Quasi quasi gli cambio le mansioni [ridono, ndr].

Voi avrete un ristorante del cuore. Ci tornate per la sala o per la cucina?
Scamardella
: Ho imparato a capire che in un ristorante ci torno perché sono stato bene, più che perché ho mangiato bene. Un piatto non riuscito si perdona; l’accoglienza scadente, la scortesia o la maleducazione no.
Pipero: Sono sempre più convinto che al ristorante ci vai per la cucina, ma poi ci torni per la sala.

Storicamente, nel modello francese classico, le brigate di sala e cucina sono divise da un muro, metaforico e reale. La pandemia ha attenuato o accentuato quest’incomunicabilità?
Pipero
: Nell’emergenza di quei giorni, da noi si verificava una cosa positiva: tutti lavoravano uno accanto all’altro, senza steccati. Sono stati gli scambi più belli. Come quando Achille [Sardiello, il sommelier di Pipero, ndr] entrava in cucina per aiutarci a comporre i piatti del delivery.

Per migliorare i rapporti tra cuochi e camerieri, c’è chi suggerisce di far fare, per un certo periodo, il cuoco al cameriere e viceversa. Può essere una soluzione?
Pipero
: Mettere a turno un cameriere ai fornelli o un cuoco a fare il maître è cosa che si fa da sempre nella ristorazione. Funziona però solo se l’individuo vuole davvero crescere. A fare la differenza è sempre l’essere umano, ricordiamocelo.

Scamardella lavora con lei da 5 anni. Ha inciso in qualche modo anche sull’assetto imprenditoriale?
Pipero
: Ciro è un ragazzo intelligente che ha saputo promuovere aspetti che non erano nelle mie corde. Lo ringrazierò sempre perché mi ha convinto a togliere l’opzione del menu à la carte. Il menu degustazione genera ricavi maggiori e sprechi inferiori, consentendo al cliente di mangiare meglio e sentirsi più coccolato. Prima, poteva accadere che un tavolo ordinasse solo la carbonara, facendo incassare molto meno di quanto non accada oggi. Un ristorante vive anche di queste scelte importanti.

Qual è la sua ricetta per fare innamorare i ragazzi di questo mestiere?
Pipero
: Deve cambiare la percezione del cameriere, che deve poter far sognare i ragazzi esattamente come lo chef: dovete trasmetterlo voi comunicatori. Il nostro paese ha una cultura gastronomica eccezionale; merita persone che sappiamo raccontarla e accogliere.


In sala

Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri

a cura di

Eugenio Marini

romano, gastromaniacale dalla nascita, background americano, laureando in Scienze Politiche, ha deciso di credere nel cibo quale formidabile veicolo culturale

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