04-01-2021
«Non è semplice il lavoro di sala in quello che è uno degli indirizzi più prestigiosi e carichi di storia del nostro Paese, che proprio in questo 2020 così complicato festeggia il proprio mezzo secolo di vita. Per reggere la prova, bisogna essere grandi professionisti, capaci di empatia con il commensale e di grande preparazione; di essere accoglienti e impeccabili nello stesso tempo. Lui - classe 1988, origini in un piccolo borgo irpino - ci riesce splendidamente»: sono le parole della motivazione del premio Identità di Sala assegnato a Identità on the road 2020 a Francesco Cioria
Ha solamente 32 anni Francesco Cioria, sommelier e responsabile della cantina dello storico San Domenico di Imola, ma alle spalle ha già una carriera concreta e importante, in buona parte passata proprio nel ristorante fondato da Gianluigi Morini. Durante il Congresso in versione digitale di Identità on the road 2020 ha ricevuto il premio Identità di Sala (in collaborazione con Cantine Ferrari), ma non si tratta del primo riconoscimento che ottiene: nel 2016 era stato infatti nominato Miglior sommelier d'Italia dai Best Italian Wine Awards e nel 2019 aveva ricevuto un premio dall'Académie Internationale de la Gastronomie.
Se gli si dice che è giovane, Cioria sorride quasi spaesato: «Io? Veramente quasi tutti i ragazzi della brigata di sala, loro sì che sono tutti giovanissimi, mi chiamano "papà", mi vedono come un fuori quota!». Sarà che la strada che l'ha portato a essere il professionista di oggi si è aperta grazie a una passione purissima, esplosa quando era ancora bambino, e tanto intensa da portarlo, appena finite le scuole medie, a impegnarsi per vincere le resistenze del padre riguardo alla sua iscrizione alla Scuola Alberghiera.
Il padre di Francesco Cioria, dopo aver inizialmente ostacolato la scelta del figlio, è stato anche colui che quando, dopo un primo anno comprensibilmente ostico per un appena quattordicenne lontano da casa, mostrò segni di cedimento, lo stimolò a non mollare, a tenere duro e andare avanti: «Se oggi sono la persona che sono, lo devo moltissimo a lui e a quel suo intervento. Avrei lasciato tutto per tornare a casa, invece così mi sono innamorato del lavoro di sala, capendo molto presto che mi interessava decisamente di più di quello di cucina».
Al ritorno in Italia arriva per la prima volta al San Domenico di Imola, come cameriere. E intanto conclude gli studi AIS per diventare sommelier. Poi parte ancora, questa volta verso l'Australia: «Sentivo il bisogno di un'altra esperienza all'estero, avevo anche delle opportunità in Francia, ma scelsi l'Australia perché un amico fraterno, con cui avevo anche condiviso il lavoro in brigata, andò lì per aprire un suo ristorante e io lo raggiunsi per aiutarlo». Il San Domenico però lo chiama di nuovo, questa volta per prendere il ruolo di sommelier e gestire una cantina di grande prestigio: dopo circa sette anni, Francesco Cioria è ancora saldamente al comando di quel luogo pieno di storia e ci racconta come interpreta questo ruolo che lo appassiona come il primo giorno.
Nelle motivazioni del premio che hai ricevuto per Identità di Sala si cita l'empatia nei confronti del cliente come uno dei tuoi punti di forza. Come descriveresti il tuo modo di essere un sommelier? La prima cosa a mio parere è cercare di capire chi hai di fronte: non tutti i clienti vanno trattati nello stesso modo, ma questo non significa certamente che chi spende di più deve essere privilegiato rispetto agli altri. I clienti arrivano al ristorante cercando cose diverse: c'è l'appassionato di vini, che gradisce avere un dialogo sul tema, e di cui il sommelier deve essere in grado di decifrare i gusti; ma ci sono molte persone che invece cercano principalmente un'esperienza nel piatto, altre ancora che vogliono soprattutto rilassarsi per un paio d'ore. L'uomo di sala, il sommelier, a mio parere non deve mai cedere alla tentazione di diventare protagonista: per mettere i clienti a proprio agio, consigliarli nel modo migliore e accompagnarli in un pranzo o una cena creando appunto dell'empatia, è fondamentale avere anche una buona dose di umiltà.
La crisi causata dal Covid19 ha colpito duramente tutta la ristorazione: per chi è in sala, per chi cerca empatia e contatto umano con i clienti, è però forse ancora più difficile. Credi che questa esperienza lascerà dei segni a lungo termine sul modo in cui si fa il tuo lavoro? Penso che per chi, come me, ha lavorato per molti anni in sala, ci siano valori costruiti nel tempo che non scompariranno a causa della pandemia. Nel nostro caso poi ci sono davvero molti clienti che frequentano il San Domenico da 40 o 50 anni, persone con cui si è creata un'amicizia anche fuori dal ristorante. Sono rapporti umani ricchi e profondi che non perderemo: in questi mesi è stato davvero bello e confortante vedere proprio quelle persone non perdere l'occasione di venire a trovarci, anche quando eravamo aperti solo a pranzo, per mostrarci il loro affetto e la loro voglia di sostenerci.
Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri
di
Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare Instagram: @NiccoloVecchia
Pichaya Soontornyanakij, più nota come chef Pam, e il suo maître marchigiano Sacha Di Silvestre: sono i protagonisti di Potong, uno dei migliori ristoranti del mondo, cucina "Progressive Thai-Chinese" a Bangkok, in Thailandia. Foto Carlo Passera
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